Il piccolo Giuseppe Di Matteo a cui piacevano i cavalli... |
Pubblichiamo un documento terribilmente crudo, che fa inorridire: il racconto dell'assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo, di 13 anni, fatto dal "pentito" Vincenzo Chiodo al processo e riportato nelle pp. 30-31 nella sentenza del 10 febbraio 1999 della Corte d'Appello di Palermo, presieduta dal giudice dott. Vincenzo Oliveri, attuale sindaco di Villabate e presidente del Cidma di Corleone. Anche per avere un'idea della ferocia di cui erano (sono) capaci i mafiosi, per i quali in queste ore c'è chi invoca dignità, rispetto ed altro...
Chiodo ha
confermato che aveva fatto appoggiare il bambino al muro con le braccia alzate,
gli aveva messo la corda al collo, l'aveva tirata ed erano intervenuti gli
altri. In pochi attimi il piccolo era rimasto soffocato.
“...Allora il bambino, per come io gli ho detto, si è messo
di fronte il muro, diciamo, a faccia al muro. Io ci sono andato da dietro, ci
ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte, me lo sono tirato
indietro e l'ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo
... e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muoveva”.
“...Il bambino non ha capito niente, perché non se
l'aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era..., come
voglio dire, non aveva la reazione più di un bambino, sembrava molle, ... anche
se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente… non lo so, mancanza
di liberta`, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di
burro...”.
“... Io ho spogliato il bambino e il bambino era urinato e
si era fatto anche addosso dalla paura di quello che abbia potuto capire, diciamo,
o è un fatto naturale perché è gonfiato il bambino...”
Il Chiodo ha
precisato che la morte per il bambino era stata sicuramente una liberazione, “... per quello che aveva passato il bambino,
... per quello che passava lì
dentro, anche se era trattato bene da me... perché vivere in quelle condizioni, vivere in quelle
condizioni, chiuso lì,non sapere se c'è il sole, se esiste sole, come può
essere il cielo, come può essere un bambino di 15 anni, che poi non aveva 15
anni, poteva avere all'incirca 13 - 14 anni il
bambino”, era un incubo continuo.
L’ultima
dolente immagine che scorre davanti gli occhi nella lettura dell’epilogo di
questo tremendo calvario evoca - attraverso il ricordo del racconto freddo e
incolore di Chiodo Vincenzo - “... un pezzo
di gamba che affiora dall’acido”
e del Monticciolo, secondo cui: “... si
vedevano i piedi del bambino...”.
Sentenza della Corte d’appello di Palermo,
presieduta dal giudice Vincenzo Oliveri, del 10 febbraio 1999, sul sequestro e
l’assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo di anni tredici, pp. 30-31.
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