MATTEO SCIRE'
Per influenzare le elezioni servono 400 mila dollari, mentre per screditare un giornalista ne bastano solo 55 mila. Sono questi i risultati di uno studio condotto dagli esperti di Trend Micro.
Esiste un vero e proprio mercato delle fake news con tanto di tariffe per commissionare a siti specializzati una notizia falsa o una campagna di disinformazione sul web. Gli importi cambiano in base alla finalità, alla durata e alla mole di lavoro da svolgere per raggiungere l’obiettivo. I servizi offerti sono molteplici e riguardano la creazione e la vendita di contenuti, account, like, commenti, condivisioni e visualizzazioni. Così per influenzare le elezioni servono 400.000 dollari, mentre per screditare un giornalista ne bastano solo 55.000.
Per influenzare le elezioni servono 400 mila dollari, mentre per screditare un giornalista ne bastano solo 55 mila. Sono questi i risultati di uno studio condotto dagli esperti di Trend Micro.
Esiste un vero e proprio mercato delle fake news con tanto di tariffe per commissionare a siti specializzati una notizia falsa o una campagna di disinformazione sul web. Gli importi cambiano in base alla finalità, alla durata e alla mole di lavoro da svolgere per raggiungere l’obiettivo. I servizi offerti sono molteplici e riguardano la creazione e la vendita di contenuti, account, like, commenti, condivisioni e visualizzazioni. Così per influenzare le elezioni servono 400.000 dollari, mentre per screditare un giornalista ne bastano solo 55.000.
Sono queste le risultanze di uno studio condotto dagli esperti di Trend
Micro, società specializzata in sicurezza informatica, dal titolo “The
fake news machine: how propagandists abuse the Internet and manipulate the
public”. La ricerca ha preso in esame i mercati cinese, russo,
mediorientale e inglese.
Dai risultati ottenuti
emerge un quadro molto preoccupante per la facilità con cui è possibile fare
ricorso a questo tipo di servizi. La cyberpropaganda è
diventata una delle principali attività online per manipolare l’opinione
pubblica su un fatto o su una persona. A differenza dei media tradizionali
il web, e soprattutto i social nerwork, rendono molto semplice e
poco rischiosa la diffusione di notizie false. Basta collegarsi ad internet,
fare una ricerca nei vari circuiti più o meno oscuri della rete e acquistare
uno dei servizi offerti dalla miriade di realtà che della disinformazione ne
hanno fatto un business estremamente lucroso. Inoltre, l’utilizzo di servizi,
strumenti e circuiti tipici del web sotterraneo garantisce l’anonimato, sia di
chi li vende, sia di chi li commissiona.
Tali campagne fanno
leva sull’ingenuità degli utenti che, abilmente ingannati, diventano spesso
essi stessi portatori sani di fake news. Si tratta di un processo articolato
che va dalla definizione degli obiettivi all’individuazione del pubblico di
riferimento, dalla scelta degli argomenti alla costruzione delle notizie
false, dalla selezione dei canali alle strategie migliori per diffondere i
contenuti. Lo sanno bene gli esperti della East StratCom, la task force
europea che all’inizio dell’anno ha scoperto l’esistenza di una troll factory a San Pietroburgo. Un enorme edificio in cui
centinaia di professionisti fabbricano giornalmente bufale da liberare nel web,
con l’obiettivo di influenzare la vita pubblica degli altri Paesi a vantaggio degli
interessi sovietici. Per non parlare dell’inchiesta dell’Fbi sull’ingerenza
della Russia nell’ultima campagna elettorale americana a favore dell’elezione
di Donald Trump.
Sono, infatti, le
elezioni o comunque gli appuntamenti elettorali, come i referendum,
uno dei bersagli privilegiati dalla cyberpropaganda. In questo caso le opzioni
da scegliere sono numerose. Ad esempio, mettere in piedi un sito di
notizie verticale, ovvero calibrato su uno specifico target geografico o
tematico, può costare 3.000 dollari. L’aggiornamento costante e la moderazione
di commenti costa 5.000 dollari al mese. Per la promozione dello stesso sui
social media e su piattaforme come YouTube bisogna aggiungere
altri 3.000. Mentre per rendere ancora più efficace l’opera di distorsione
possono essere acquistati like, condivisioni e commenti.
“Una campagna di 12 mesi
con un budget di 400.000 dollari – spiegano i ricercatori – è in
grado di attrarre una moltitudine di persone la cui percezione e credenza sono
allineati con l’agenda dei temi della campagna. Il fattore determinante del
loro successo è, comunque, il tempismo o la velocità con la
quale il contenuto falso può essere diffuso prima che la decisione venga
presa”.
Nel mirino possono
finire anche i giornalisti, soprattutto quelli scomodi che con la
loro attività danno fastidio. La macchina delle fake news propone una soluzione
anche in questi casi. Al costo di 2.700 dollari a settimana è possibile
acquistare 50.000 retweet o like e 100.000 visite di notizie false
sfavorevoli alla sua immagine. Un’altra cartuccia da poter sparare è la
realizzazione di video dello stesso tenore da diffondere su YouTube al
costo di 2.500 dollari.
La strategia può farsi
ancora più sottile con l’acquisto di un pacchetto di 500 commenti, 400 dei
quali positivi rispetto alla linea perseguita, 80 neutrali e 20 negativi. Una
volta rafforzata la credibilità della campagna il colpo di grazia può essere
dato con l’acquisto di 200.000 bot follower, ovvero account falsi gestiti
mediante programmi chiamati bot in grado di esprimere like, di commentare e
condividere post, ovviamente sempre a danno della vittima. A questo punto condizionare
il sentiment degli utenti in relazione ad un argomento oggetto
dell’attività del giornalista o alla sua reputazione è davvero un gioco da
ragazzi.
L'Unità, 25 giugno 2017
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