SALVO PALAZZOLO
Per il presidente del Senato è sempre il capo di Cosa
nostra “Dica chi erano le persone importanti che lo contattarono”
PALERMO - «Salvatore Riina è ancora il capo di Cosa nostra». Non ha dubbi Pietro
Grasso, il presidente del Senato, che da procuratore nazionale antimafia ha
indagato a lungo sulle complicità del padrino di Corleone. «Riina potrebbe
interrompere il regime del 41 bis collaborando ». Grasso, intervistato da
Radio24, indica un tema ben preciso: «Ci faccia sapere chi erano le persone
importanti che lo hanno contattato prima di fare le stragi». È il mistero
attorno agli eccidi di Capaci e via d’Amelio. «Il progetto di Riina era quello
di uccidere Falcone a Roma - ricorda Grasso - poi richiamò il commando dicendo
che il giudice sarebbe stato ucciso in Sicilia. Cosa gli aveva fatto cambiare
idea? Questo ancora non l’ha detto».
A Roma, era stato inviato un commando guidato da Matteo Messina Denaro, il
boss di Castelvetrano che resta latitante dal 1993. Dopo Falcone e Borsellino,
Riina disse che «ci voleva un altro colpetto». Era Pietro Grasso l’obiettivo.
«Un colpettino per riavviare una trattativa che probabilmente languiva spiega
il presidente del Senato - Poi, per l’arresto di Riina, per il sistema di
sicurezza di una banca vicina che avrebbe potuto interferire sui telecomandi e
per il cambio di strategia che si spostò dalle persone ai monumenti,
l’attentato contro di me non ci fu». Ma Grasso restava comunque nel mirino di
Cosa nostra. «Nel corso delle indagini uscì fuori che era stato progettato il
sequestro di mio figlio».
Intanto, Riina non vuole perdere un’udienza del processo “Trattativa”.
Anche ieri, è stato il primo a presentarsi alla videoconferenza con l’aula
bunker di Palermo, dopo essere stato trasferito in ambulanza dalla clinica
universitaria di Parma al carcere. Da sei mesi, il capo di Cosa nostra è ormai
in barella. «Ritengo che siano adottate tutte le misure idonee per poter
rendere dignitosa la detenzione di Riina», dice ancora Grasso, citando l’ultima
sentenza della Cassazione che ha sollevato tante polemiche. I giudici della
Suprema Corte hanno ordinato una nuova pronuncia del tribunale di sorveglianza
di Bologna, sottolineando il diritto del boss a una «morte dignitosa». Il
presidente del Senato si dice «certo che i magistrati riusciranno a motivare
l’attuale pericolosità dell’imputato e l’umanità con cui viene trattato nel
migliore polo specialistico che abbiamo sul territorio».
Questa mattina, nuovo appuntamento per il padrino di Corleone. Ancora al
processo “Trattativa”. Trasferimento ospedale-carcere e altra udienza. Mentre
il ministero della Giustizia comunica a uno dei pm del processo, Nino Di
Matteo, che potrà subito insediarsi nel suo nuovo incarico alla procura
nazionale antimafia. Una marcia indietro rispetto a un altro provvedimento, di
due mesi fa, con il quale si stabiliva che Di Matteo dovesse restare a Palermo
fino a dicembre, nonostante la nuova nomina. Il dietrofront dopo una nota del
procuratore generale di Palermo Scarpinato, in polemica con il procuratore Lo
Voi, che aveva chiesto il posticipato possesso per motivi di sicurezza. Di
Matteo verrà comunque applicato alle udienze di Palermo.
La Repubblica, 9 giugno 2017
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