EMANUELE LAURIA
La sindaca paladina dell’accoglienza battuta a Lampedusa: “Io fenomeno
mediatico? L’immagine serve”
PALERMO - L’unica consolazione, per la figura simbolo dell’accoglienza sbalzata di
sella dai suoi concittadini, è stato un sms di Matteo Renzi: «Mi ha detto di
non abbattermi e di proseguire nell’impegno. Gli ho risposto che mi prendo
una breve vacanza e ricomincio con più energia di prima». Ma il day after di
Giusi Nicolini, da ieri ex sindaco di Lampedusa, è stato mesto. Tutto il giorno
chiusa nella sua stanza del Comune «a fotocopiare carte molto delicate», con il
conforto di due dipendenti – due sole – che sono salite a esprimerle
solidarietà dopo la sconfitta. Un’immagine eloquente della solitudine in cui
all’improvviso è piombata l’amministratrice delle frontiere aperte, l’emblema
di un’isola candidata al Nobel per la pace, la donna che Renzi volle con
sé alla Casa Bianca per rappresentare l’Italia delle eccellenze. La notorietà
internazionale non ha impedito a Nicolini una sconfitta in casa: solo terza in
amministrative con 4 mila votanti, dietro il neo-sindaco Totò Martello,
appoggiato da un’altra parte del Pd, e il giovane iscritto a M5S
Filippo Mannino.
«Beh, sapevo di correre questo rischio. Ma ho pensato che valesse la pena
provarci per continuare in questo importantissimo percorso di svolta. La mia
ricandidatura a Lampedusa ha mostrato a tutti che non sono una carrierista:
potevo accettare incarichi o candidature che mi avevano offerto. E non l’ho
fatto. Purtroppo sono stata punita».
Perché?
«Guardi, attorno al mio avversario Martello si sono coagulati interessi che
con me erano stati soffocati, non avevano più rappresentanza».
A cosa allude?
«La mia sostanza amministrativa è stata di aver fatto scelte dure a favore
della legalità, a difesa del suolo e dell’ambiente. Non abbiamo pagato le
imprese coinvolte nelle inchieste giudiziarie, ci siano costituiti parti civili
in delicati processi. Questo Comune, prima di me, era amministrato da un
sindaco, De Rubeis, condannato in appello a 7 anni per corruzione. Beh, i suoi
voti, l’altra volta dispersi, stavolta sono andati a Martello».
Dicono che lei a Lampedusa si vedeva poco, i suoi avversari l’hanno
accusata di essere un fenomeno mediatico.
«Ma l’immagine era la prima cosa da curare. Quest’isola cinque anni fa,
nell’immaginario collettivo, era la porta dell’inferno, non dell’Europa. Bisognava
spezzare l’isolamento, pretendere dalle istituzioni una risposta solidale: qui
è venuto pure Barroso, l’abbiamo fatto inchinare davanti alle bare. Oggi
Lampedusa non è più l’unica via d’accesso in Europa e non è più neppure il
luogo di vacanza dove si fa il bagno con il morto. Il turismo, con una sola
pausa, dal 2012 è in costante crescita».
Quanto le ha dato fastidio la presa di distanza di Pietro Bartolo, medico
di Fuocammare, l’altro simbolo dell’isola dell’accoglienza?
«Non mi ha sorpreso. Bartolo è un uomo di centrodestra, era un assessore di
De Rubeis»..
Il Pd l’ha sostenuta abbastanza?
«Io non ho chiesto nulla. Ho fatto sapere solo, prima che si chiudessero le
liste, che a Lampedusa c’erano due candidati che provengono dal partito
democratico. Il Pd siciliano non mi piace, credo che ci sia stata una
degenerazione della sua politica negli ultimi anni che ha favorito l’avanzata
dei Cinque stelle. Ma continuerò il mio lavoro in segreteria. Spero solo che
questa mia battuta d’arresto a Lampedusa non venga letta come la sconfitta dei
sindaci che predicano l’accoglienza solidale degli immigrati».
La Repubblica, 13 giugno 2017
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