ANGELO G. PORTELLA*
Dopo “Ioppolo
Giancaxio: fra storia e memoria”, che rievoca la storia e i principali
avvenimenti politici e sociali del paese, Agostino Spataro pubblica quest’ampia
raccolta (circa 100) di “Racconti di Realturco”, estrapolati dalla tradizione
locale del “cuntu” e della poesia vernacolare.
Il lavoro,
diviso in due volumi, vuole essere un contributo alla ricostruzione della
nostra identità culturale e alla salvaguardia della memoria collettiva. In tal
senso, l’opera riscopre un percorso culturale interessante, per molti versi
inedito, attraverso il quale è possibile ripercorrere sentieri smarriti o
ignoti ai più giovani, cogliere taluni aspetti, anche etnografici, della nostra
vicenda umana così come si è dipanata negli ultimi decenni.
Si tratta,
infatti, di un contributo prezioso che, unitamente a quelli di altri autori,
arricchisce il patrimonio culturale di Ioppolo Giancaxio. Un lavoro davvero propizio specie in questa
fase nella quale siamo impegnati a rilanciare la prospettiva economica del
nostro paese, soprattutto sui versanti dell’agricoltura, dell’accoglienza
turistica e dell’intrattenimento.
Questi
“racconti” sono un “lascito” che consegniamo agli scolari e agli studenti delle
nostre scuole, alle nuove generazioni, ai nostri tanti emigrati in varie parti
del mondo, a tutti i cittadini residenti e ai graditi ospiti che vorranno
venire a trovarci.
Ritenendo
d’interpretare il pensiero del Consiglio comunale e della cittadinanza,
l’Amministrazione comunale di Ioppolo Giancaxio ha deciso di pubblicare il
lavoro di Agostino Spataro, già consigliere e assessore comunale e deputato
nazionale, ringraziandolo per avere egli concesso, gratuitamente, al nostro
Comune i diritti d’autore e reso così possibile la presente edizione. Buona lettura.
* Sindaco di
Ioppolo Giancaxio
Maggio 2017
SCHEDA DEI DUE VOLUMI
Titolo: “I RACCONTI DI REALTURCO”
Autore: Agostino Spataro
1° Volume: n. 56 racconti, 24 foto d’epoca - Pagine 288
2° Volume: n. 41 racconti, 29 foto d’epoca - Pagine 256
Edizione speciale a cura del Comune di Ioppolo Giancaxio, 2017
(in corso di stampa)
Nota dell’autore / La nostra storia
(cenni)
1... Prima di
presentare questi racconti, che nell’insieme formano una sorta di “romanzo popolare”,
desidero accennare alla vicenda storica e politica di questo nostro, grazioso
paesino, accucciato sopra una delle due colline emergenti dall’immenso cratere
insistente lungo la fascia che va dai templi di Agrigento alle propaggini dei
monti Sicani. Il libro vuole essere il “romanzo” del nostro popolo e del suo
borgo che, come tanti altri in Sicilia, nel Meridione, nel Mediterraneo, sta
vivendo una grave crisi sociale, condannato com’è dall’emigrazione storica e da
quella attuale che si porta via i giovani, soprattutto, diplomati e laureati.
Paese in prevalenza di anziani, sembra rassegnato ad affidare la sua speranza
di sopravvivenza non al naturale ricambio generazionale ma al modesto flusso
d’immigrati. Questo l’identikit del paese, secondo i dati Istat, forniti dal
Comune: popolazione 1.248 abitanti (censimento del 2011). Nel 1922 era di circa
3.000 abitanti. Rispetto a tale dato c’è una perdita del 59%. La decrescita non si è fermata. Oggi, il
paese presenta un saldo demografico assai negativo (-119) nel periodo 2002-15,
durante il quale si sono registrati 258 decessi e solo 137 nascite. Il picco
più preoccupante si è avuto nel 2014 con 5 nascite e 16 decessi. C’è, dunque,
poco da festeggiare e molto da capire, e da fare, per invertire la tendenza e
mettere il paese al passo con lo sviluppo possibile. In assenza di una
iniziativa adeguata, ci resteranno, come qui si dice, solo “gli occhi per
piangere”.
2...
Nell’attesa del cambiamento e per avere un’idea da dove veniamo, è utile
ricordare alcuni cenni della storia del paese desunti da libro “Ioppolo
Giancaxio: fra storia e memoria” (del 1996) al quale rinvio. Il paese fu
fondato nel 1696 da un rampollo della famiglia Colonna di Cesarò, nel quadro di
una nuova politica di ripopolamento dei feudi e dei latifondi siciliani.
L’obiettivo prioritario era quello di fornire ai proprietari, mediante i nuovi
insediamenti, manodopera a basso costo da sfruttare in maniera continuata. Il possesso di un maggior numero di feudi, di
“anime” e di “fuochi”, serviva a quell' aristocrazia, oziosa e assenteista, per
assicurarsi un posto di rilevo a corte e/o in parlamento e di vivere nel lusso
delle loro sontuose dimore di Palermo, di Napoli e di Parigi.
In Sicilia,
nemmeno la sua formale abolizione (1812) fece scomparire il feudo e il sistema
socio-economico generato. Di fatto, sopravvisse fino al secondo dopoguerra del
1900, anteponendosi al progresso, ritardando le conquiste sociali e le riforme
politiche importanti già in vigore in altre contrade d’Italia e d’Europa. Tale
storico ritardo spiega molti dei mali che ancora affliggono la Sicilia e i
siciliani.
3... Sulla
realtà del feudo non si è scritto abbastanza. Ancor meno si è fatto per
informare, per formare le coscienze delle generazioni post-feudali. Per liquidarlo
ci sono volute lotte gloriose di popolo e il sacrificio di contadini eroici che
caddero sotto il piombo di una mafia barbara e servile. Anche il popolo del
nostro paesino partecipò, con esiti alterni, a questa epopea politica e sociale
che segnava il suo vero, primo rinascimento. Le terre del duca furono
espropriate e assegnate alle famiglie dei contadini senza terra i quali
andarono perfino a seminarle. Un ettaro a testa per 180 capifamiglia. La
riforma agraria aveva trionfato anche in questa landa desolata, dimenticata.
Contro gli espropri dei feudi, le figlie eredi dell’ultimo duca Colonna di
Cesarò e i loro tirapiedi prezzolati usarono ogni astuzia, ogni inganno,
ricorsero alle violenze per far revocare i decreti prefettizi. Purtroppo, a
causa di un banale (?) errore della cooperativa richiedente l’esproprio, le
eredi riuscirono nell’intento e vendettero le proprietà (terre e castello), in
fretta e furia, a un prete che agiva per se stesso e per conto terzi. Quei 180 padri di famiglia assegnatari,
furono costretti ad abbandonare i lotti già seminati e con essi la speranza di
una vita più degna. Quasi tutti
emigrarono all’estero a cercare lavoro e libertà: in Belgio, in Venezuela, in
Canada, negli Usa, in Argentina, in Australia perfino. Anche loro continuano a
essere parte di noi. (Agostino Spataro)
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