di ANGELO
SPOSATO*
Anche Angelo
Sposato, segretario generale della Cgil calabrese, partecipa al dibattito
aperto sul Corriere della Calabria da Antonino De Masi. De Masi ha chiesto alla
società civile di scomunicare i mafiosi (potere
leggere qui il suo appello) e la sua “provocazione” non è
rimasta lettera morta. Intellettuali, docenti universitari, giornalisti sono
intervenuti sulle nostre colonne o hanno detto la loro sui social. Oggi è il
turno di un pezzo importante del sindacato. Che propone di sottoscrivere un
“Manifesto per la nuova Calabria” dal quale partire per risvegliare le
coscienze addormentate.
Il dibattito aperto da Antonino De Masi, con il suo appello dalle pagine del
Corriere della Calabria, merita profonda considerazione. Ha ragione Antonino,
in gioco non c’è la posizione di un singolo ma il destino della Calabria, dei
nostri giovani, dei nostri figli. E non è più solo un problema politico, la
politica la scelgono i cittadini, liberi.
Ma il punto sta in questo: sono i
cittadini calabresi liberi di scegliersi la classe dirigente che la Calabria
merita? Ritengo di no. La corruzione, la pervasità della ’ndrangheta, gli
intrecci con la politica e la massoneria che non si limitano solo al territorio
calabrese, hanno creato un antistato parallelo. Oramai non si parla più solo di
infiltrazioni criminali della ’ndrangheta, perché, come già ho avuto modo di
dire e scrivere recentemente, vi è stato un salto generazionale, per cui la
’ndrangheta “in alcuni casi” si è sostituita direttamente alla politica,
diventando purtroppo classe dirigente. Una delle motivazioni per cui come Cgil
ci siamo voluti costituire al processo “Gotha” a Reggio Calabria è proprio per
ribellarci a questo sistema. Una ’ndrangheta che controlla ogni spazio di
libertà, nella scelta del voto, negli appalti, nella sanità, nel commercio,
nello sport, nel mercato del lavoro, dove lavoratori e imprese molte volte sono
assoggettate al potere mafioso, si può e si deve combattere. Ritengo anche io
che vi è ancora una strada. Gli occhi dei bambini di San Luca che per una
settimana hanno partecipato alle Olimpiadi della legalità sono l’orizzonte che
ci deve far capire che ancora un’altra Calabria è possibile, che rifiuta di
soccombere al giogo mafioso e che ci sono tanti uomini e donne calabresi che
vogliono partecipare al cambiamento. Ma non si può non considerare anche le
riflessioni del professore, storico, antropologo, Vito Teti. C’è una
considerazione antropologica culturale con cui fare i conti nel tessuto
calabrese. Vito Teti nelle sue opere ha sempre anticipato i mutamenti sociali.
La sua narrazione delle migrazioni, dei luoghi, dei linguaggi delle Calabrie
traccia il perimetro entro cui muoversi. Il linguaggio delle Calabrie è
mutevole, a tratti fa il paio con le realtà dei luoghi con tutti i suoi pregi e
le sue contraddizioni, e a volte lo stesso linguaggio lo si percepisce come un
messaggio, un avvertimento, non importa da dove proviene. Occorre affrancarsi
da una subcultura limacciosa che oramai è diventata abitudine di vita, un
qualcosa che “puzza” con cui convivere. Da qui è necessario il ruolo della
famiglia, della scuola, delle università. Così come è necessario un piano
nazionale e regionale per creare sviluppo e lavoro ed adottare misure contro la
povertà dilagante per togliere la manovalanza di cui la ’ndrangheta si
alimenta, nei meandri del disagio sociale e giovanile. Per fare ciò noi dobbiamo
fare la nostra parte, lo Stato deve fare la propria. Per queste ragioni
riteniamo dover accogliere appieno l’appello lanciato da Nino De Masi che
abbiamo incontrato di recente e costruire insieme alle tante persone oneste e
operose un “Manifesto per una nuova Calabria” per fare risvegliare le tante
coscienze addormentate. Una “Calabria Parte Civile” che dica no al puzzo della
corruzione, della politica del malaffare, del comparaggio, alla ’ndrangheta. Lo
dobbiamo ai nostri figli, al nostro futuro e forse anche a noi stessi.
*segretario
generale Cgil Calabria
Corriere
della Calabria, domenica, 25 Giugno 2017
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