Trapani, corso Vittorio Emanuele |
RINO GIACALONE
Due indagini della procura distrettuale di Palermo irrompono nella campagna
elettorale per eleggere sindaco e Consiglio comunale e raccontano i retroscena
di chi diceva di voler cambiare tutto per non cambiare niente.
Non è nostro costume dire “noi lo avevamo detto”, ma oggi la tentazione di farlo è parecchio forte, dopo i due colpi giudiziari inferti contro il sen. Tonino D’Alì e l’on. Mimmo Fazio, protagonisti contrapposti, dopo una lunga alleanza persona e politica, di una campagna elettorale per le amministrative in pieno svolgimento a Trapani. La richiesta avanzata dalla Dda di Palermo di applicazione della misura di prevenzione per pericolosità sociale contro l’attuale senatore ed ex sottosegretario all’Interno Tonino D’Alì, per via dei suoi contatti con la criminalità mafiosa “targata” Messina Denaro, e l’arresto per corruzione dell’on. Mimmo Fazio, deputato all’Ars, vice presidente dell’Antimafia regionale, colui che nel 2001 fu eletto sindaco a Trapani (restandolo per dieci anni, per due mandati) e che fu indicato come enfant prodige che D’Alì tirò fuori dal suo cappello all’indomani di un’altra inchiesta giudiziaria (Trapani nel 2001 andò al voto anticipatamente dopo l’arresto del sindaco in carica Nino Laudicina espressione anche lui di una aggregazione politica capeggiata dal D’Alì), sono la conseguenza di quello che da anni scriviamo su queste pagine di Libera Informazione, a proposito dell’intreccio tra mafia, politica e imprese a Trapani.
Non è nostro costume dire “noi lo avevamo detto”, ma oggi la tentazione di farlo è parecchio forte, dopo i due colpi giudiziari inferti contro il sen. Tonino D’Alì e l’on. Mimmo Fazio, protagonisti contrapposti, dopo una lunga alleanza persona e politica, di una campagna elettorale per le amministrative in pieno svolgimento a Trapani. La richiesta avanzata dalla Dda di Palermo di applicazione della misura di prevenzione per pericolosità sociale contro l’attuale senatore ed ex sottosegretario all’Interno Tonino D’Alì, per via dei suoi contatti con la criminalità mafiosa “targata” Messina Denaro, e l’arresto per corruzione dell’on. Mimmo Fazio, deputato all’Ars, vice presidente dell’Antimafia regionale, colui che nel 2001 fu eletto sindaco a Trapani (restandolo per dieci anni, per due mandati) e che fu indicato come enfant prodige che D’Alì tirò fuori dal suo cappello all’indomani di un’altra inchiesta giudiziaria (Trapani nel 2001 andò al voto anticipatamente dopo l’arresto del sindaco in carica Nino Laudicina espressione anche lui di una aggregazione politica capeggiata dal D’Alì), sono la conseguenza di quello che da anni scriviamo su queste pagine di Libera Informazione, a proposito dell’intreccio tra mafia, politica e imprese a Trapani.
Quante volte vi
abbiamo raccontato di appalti pilotati, voto di scambio, omicidi, risultati
tutti di un “sistema”. Vi abbiamo spiegato in che modo a Trapani comanda la più
potente Cosa nostra, quella che sa sparare bene quando è ora di sparare, sa
votare bene quando è ora di votare ma sopratutto sa bene essere la “cassaforte”
dei guadagni illeciti della mafia.
Abbiamo riferito il
contenuto di sentenze che hanno dimostrato come a Trapani la mafia non è fatta
solo da “coppole e lupare” sul modello corleonese, ma c’è stata e c’è ancora
una mafia fatta da borghesi, dai colletti bianchi. Qui le imprese hanno pagato
non il pizzo alla mafia ma la quota associativa a Cosa nostra, a Trapani la
mafia ha utilizzato le mazzette per oliare i meccanismi, a Trapani la mafia ha
guadagnato terreno grazie all’aiuto della massoneria, la corruzione spesso è
passata dalle segrete stanze di logge e templi massonici, ed oggi c’è uno
zoccolo duro della nuova Cosa nostra, la “massomafia”.
C’è tutto questo nelle
ultime indagini firmate dal capo della Procura di Palermo Francesco Lo
Voi. La misura di prevenzione contro il senatoreAntonino D’Alì, la
misura cautelare dell’operazione “Mare Monstrum” che ha visto
finire ai domiciliari l’on. Mimmo Fazio e in cella l’armatore Ettore
Morace, non sono altro, oltre la descrizione di fatti penalmente rilevanti,
che il compendio di diversi inchieste condotte nel tempo dalla Procura
distrettuale antimafia di Palermo e dalla Procura della Repubblica di Trapani.
E ci piace dare atto del lavoro di bravi investigatori, che non sono stati
quasi mai ripagati bene per la loro attività, al fianco di magistrati come Paolo
Guido e Andrea Tarondo. Pensiamo ai poliziotti della Squadra
Mobile di Trapani, tre nomi su tutti: quelli di Rino Germanà, Giuseppe
Linares eGiovanni Leuci, (Germanà sfuggì nel 1992
ad un agguato di Messina Denaro, Bagarella e Graviano, Linares e Leuci sono
stati promossi e trasferiti da Trapani). Quell’eredità oggi è nelle mani di Fabrizio
Mustaro, al quale è rimasto a disposizione quel pugno di donne e uomini
protagonisti di pesanti indagini contro la mafia trapanese e i clan del
latitante Messina Denaro e che già loro da soli potrebbero
scrivere nuove utili strategie d’assalto a Cosa nostra.
Pensiamo ai
carabinieri del comando provinciale dei Carabinieri di Trapani che sopratutto
con l’arrivo del comandante provinciale Stefano Russo e del
nuovo capo del nucleo operativo Antonio Merola, sono stati
capaci di mettere mano sui riorganizzati clan della provincia trapanese e che
da ultimo hanno scoperchiato la pentola del malaffare della corruzione con
l’arresto dell’on. Fazio e dell’armatore Morace, una
indagine arrivata fin dentro le stanze dei Governi nazionale e regionale.
E pensiamo al prefetto Fulvio
Sodano, che nel 2003 fu trasferito in un lampo da Trapani per avere messo
mano alll’assegnazione dei beni confiscati alla mafia che restavano di fatto in
mano ai mafiosi, fu affrontato dall’allora sottosegretario D’Alì che
gli diede del “favoreggiatore” perché in particolare difendeva la Calcestruzzi
Ericina dall’assalto criminale e che i mafiosi volevano vedere fallita. A Fulvio
Sodano fu negata la cittadinanza onoraria di Trapani che a gran voce
molti chiedevano, proprio da parte dell’allora sindaco Mimmo Fazio.
Trapani a cominciare
dal 2001 sembrava destinata a vivere una stagione di rinnovamento segnata
proprio da una intensa attività investigativa della Squadra Mobile diretta da Linares,
ci fu l’arresto del capo mafia storico della città, Vincenzo Virga,
fu scoperta la corruzione dentro il Municipio, fu delineata l’esistenza del
tavolino degli appalti pilotati alla Provincia, nel corso solo di un anno
furono arrestati per mazzette e favoreggiamento alla mafia ben 12 capi di uffici
tecnici di Comuni del trapanese. E spuntarono fuori nuovi politici, come Mimmo
Fazio. In quegli anni, dal 2001 in poi tanti sembravano mostrare
consapevolezza circa la diffusa presenza del malaffare mafioso, ma fu solo
apparenza. Fu applicato molto bene il teorema gattopardiano, tutto deve
cambiare per non cambiare nulla. E così è stato.
A Trapani ai tempi
della strage di Pizzolungo si diceva che la mafia non esisteva, nella stagione
“gattopardesca” si cominciò a dire che la mafia era sconfitta. E proprio in
questi giorni di campagna elettorale, all’indomani della fiction televisiva che
raccontava il difficile e contrastato lavoro di un commissario di polizia a
Trapani, tra mafia e intrighi dentro i palazzi del potere, la reazione di una
parte della città è stata di fastidio, si è sentito dire di proposizione di una
presenza mafiosa in città frutto di stereotipi, perché, è stato detto, parlare
di una mafia sconfitta e che non esiste più, Fazio in tv ha
addirittura esordito dicendo “mi sono rotto le scatole di vedere esportata
questo genere di comunicazione”. Lui che è stato capace di muoversi affianco di
questori e prefetti, come Carmine Esposito e Valerio
Valenti, poche ore dopo quelle dichiarazioni in tv è stato arrestato
accusato di far parte di un “sistema” che ha incancrenito la Regione.
Stesse scene a livello
regionale con l’arrivo nel 2012 del governatoreRosario Crocetta. Il
suo rinnovamento antimafia è stato travolto dalle sue stesse azioni tanto che è
finito indagato per concorso in corruzione nell’operazione di questi giorni
“Mare Monstrum”. Tanti gattopardi. In Sicilia la prova che niente è mutato è
dato dal ritorno in campo di due grandi colpevoli del disastro morale della
Sicilia, Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro, anziché
contestati sono stati applauditi. Anche la mafia ha mutuato il metodo pensato
da Tancredi nel Tomasi di Lampedusa. Arrestato Virga il nuovo
capo mafia Ciccio Pace ha introdotto la pratica della
sommersione. Le complicità con la politica hanno permesso a questa nuova mafia
di rifarsi l’abito, niente più assalti alla diligenza degli appalti, ma una
fine infiltrazione nel mondo delle imprese. Alcune di queste sono state
sequestrate e confiscate, altre restano in campo. A disposizione di una mafia
che nonostante l’arresto dei suoi capi resta presente, forse finita nelle mani
di antiche famiglie mafiose tornate in auge. Altro che rappresentazione
stereotipata!
E’ questo il “sistema
Trapani” come emerge dalle indagini di oggi. E’ un sistema, illegale, dove
politica e affari vanno a braccetto. Per tante cose. E tante volte per favorire
Cosa nostra che in questa terra ha come capo quello che resta l’imprendibile
capo mafia Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993. Un “sistema” da tante
facce. L’ultima di queste facce la Procura di Palermo ed i carabinieri l’ha
trovata…in mare.
L’hanno chiamata
operazione “Mare Monstrum”, un mare di mazzette e corruzione per favorire
l’armatore Ettore Morace nella conquista di quello che è diventato l’assoluto
monopolio del traffico navale veloce in Sicilia esercitato dalla sua società,
la Liberty Lines, tradotto in soldoni oltre 50 milioni di contributi all’anno. Partendo
da Trapani dove longa manusdell’armatore fin dentro gli uffici
della Regione Sicilia per la Procura di Palermo è stato l’attuale deputato
regionale del gruppo misto Mimmo Fazio,per i pm ha fatto “mercimonio”
del suo incarico parlamentare. Un “sistema” con importanti agganci dentro ai
Governi di Roma e Palermo. Con Crocettaindagati sono l’oramai ex
sottosegretario alle Infrastrutture Simona Vicari, Marcello Di Caterina,
ex capo della segreteria del ministro Lupi, Massimo
Finocchiaro, uomo vicinissimo a Crocetta, due donne a capo di
strutture importanti dell’amministrazione regionale come Marianna
Caronia eSalvatrice Severino, quest’ultima vistava le pretese
finanziarie della flotta diMorace avendo una figlia che era
dipendente di questa società armatrice, l’armatore messinese Vincenzo Franza (citato
in una interrogazione parlamentare del deputato Pd Mattiello come
imprenditore legato al latitanteMatacena), l’ex giudice
amministrativo Raffaele De Lipsis. Sfiorati dalle indagini l’attuale
presidente del Cga siciliano, Claudio Zucchelli, il presidente
dell’Antitrust, l’avv. Giovanni Pitruzzella, e ancora il ministroClaudio
De Vicenti, che da Morace è stato indicato indagato
come colui che lo ha aiutato a conquistare la flotta di aliscafi della ex Siremar.
Ai domiciliari è finito Giuseppe Montalto, segretario particolare
dell’assessore regionale ai Trasporti, Giovanni Pistorio, pronto a
intascare mazzette e a raccomandare giornalisti come Piero Messina. Un’altra
della facce del “sistema” criminale è rappresentato da quanto contenuto nella
richiesta di applicazione della sorveglianza speciale che ha colpito il senatore Tonino
D’Alì, soggetto pericoloso per via dei suoi contatti con Cosa nostra.
In poco più di venti
pagine la Procura distrettuale antimafia di Palermo ha evidenziato gli indizi
di pericolosità sociale come spiegati nelle due sentenze, di primo e secondo
grado, che hanno visto il senatore D’Alìprescritto e assolto
dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. La richiesta si
aggancia sopratutto agli scenari che hanno visto i Messina Denaro bravi (nel
senso manzoniano del termine) campieri a disposizione della famiglia D’Alì,
tanto che la prima campagna elettorale che Tonino D’Alì affrontò,
quando si candidò nel 1994 al Senato per Forza Italia, secondo i giudici fu
condotta con il sostegno della massima espressione di Cosa nostra trapanese,
quella dei padrini Ciccio e Matteo Messina Denaro. E dopo che i pubblici
ministeri lo hanno indicato come persona “accorta, sottile e prudente”, i
giudici di appello hanno concluso pur all’interno di una sentenza diremo
andreottiana (prescrizione e assoluzione) sottolineando una “accertata condotta
illecita” dell’imputato. E sebbene il resto dell’accusa, dagli anni della sua
prima elezione sino ai giorni degli appalti ultra milionari nell’area portuale
trapanese per le gare della gara velica Coppa America, le interferenze con
l’attività a difesa dei beni sequestrati e confiscati condotta dall’allora
prefetto di Trapani Fulvio Sodano, tra il 2001 e il 2003, i
rapporti indiretti con il capo della mafia trapanese Francesco Pace e
prima ancora con Vincenzo Virga, sono rimasti non provati in sede
di processo penale, l’elencazione dei rapporti “pericolosi” fatti dal
collaboratore di giustizia Nino Birrittella, ma anche dal sacerdote Ninni
Treppiedi, per la Dda di Palermo benissimo rientrano nell’alveo che prova la
pericolosità sociale dell’ex sottosegretario all’Interno.
Una cosa chiara
dobbiamo dirla. D’Alì e Fazio in questi
giorni di campagna elettorale, e prima ancora di essere colpiti dai
provvedimenti giudiziari, hanno trovato una città seppur divisa tra la scelta
da farsi tra i candidati in campo, e sopratutto chi scegliere tra loro due
ritenuti i più accreditati alla vittoria, tanti non hanno nascosto il comune
sentire rispetto ad una magistratura quasi colpevole di fare indagini e quindi
di proporre una immagine distorta del territorio. Una affermazione che ancora è
stata ripetuta dinanzi alle gravi e pesanti accuse che hanno riguardato i due
candidati. Colpevoli non sono mafiosi, politici e burocrati corrotti, ma i
magistrati, i giudici, sono stati delineati scenari di “giustizia ad
orologeria”, invece di soffermarsi (lo hanno fatto in pochi) sui fatti per come
sono emersi da indagini e…intercettazioni. Eccola la città gattopardiana dove
non si vuole cambiare nulla. Tanto che ad alcuni è balenata l’idea di chiedere
il rinvio del voto. Se così fosse è come dire, visto che i due candidati più accreditati
hanno difficoltà a muoversi, fermati da legacci giudiziari, riconosciamo loro
il diritto a non far votare nessuno. Situazione incandescente che ha
probabilmente ha indotto l’ufficio di presidenza della commissione nazionale
antimafia a convocare in audizione a San Macuto il prefetto Giuseppe
Priolo, per il prossimo 24 maggio. Per rispondere a
domande su mafia e massoneria ma anche per capire meglio ciò che si sta
muovendo a Trapani in queste frenetiche ore.
Liberainformazione, 20 maggio 2017
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