Giovanni Falcone e Pietro Grasso |
ATTILIO BOLZONI
SALVO PALAZZOLO
Il presidente del Senato ricorda gli
amici uccisi 25 anni fa: se fossero vivi, l’Italia sarebbe diversa
PALERMO. Ricorda i due amici, ricostruisce le indagini che sono seguite alle stragi,
si tormenta sulle «verità che ancora mancano». E si chiede: «Fu solo mafia?».
Nel suo ultimo libro riavvolge tutte le vicende dolorose di Palermo, pubbliche
e private. Pietro Grasso, presidente del Senato, l’ex procuratore nazionale
antimafia che per tanto tempo ha lavorato al fianco di Giovanni Falcone, in
quest’intervista parla dell’Italia di ieri e di oggi. Quella delle stragi del
1992 e quell’altra che è venuta dopo.
Presidente, che Italia avremmo oggi con Falcone e Borsellino ancora vivi?
«Sarebbe certamente un’Italia diversa. Se questi due colleghi, amici,
avessero potuto realizzare tutte le loro idee, l’Italia sarebbe cambiata in
modo radicale. E forse, alcune forze che non volevano questo, sono anche
intervenute per evitare che ciò avvenisse ».
Cosa, di Falcone, faceva paura a quelle forze?
«Falcone aveva ideato una direzione nazionale antimafia per tutte le
investigazioni, riteneva che dovesse fare anche i piani strategici di indagine.
Punto che è stato poi cancellato nel decreto legge istitutivo. Falcone era
destinato al vertice di quella super procura, con Borsellino che era
procuratore aggiunto di Palermo e che sarebbe potuto diventare procuratore
capo, la storia sarebbe cambiata. Perché sarebbe stata combattuta con tutte le
forze possibili quell’economia criminale che poi sì ha ricevuto colpi, ma non
così forti come se loro fossero stati ancora in vita. Pensate a quanto sarebbe
bello, Falcone e Borsellino oggi vivi».
Nel suo ultimo libro – “Storie di sangue, amici e fantasmi” – scrive una
lettera al suo amico Giovanni. E immagina che anche lui si chieda: ma fu solo
mafia?
«Continuo a chiedermelo. Perché abbiamo tanti punti che sono stati
accertati e che danno l’idea di una qualche presenza esterna oltre alla mafia,
che per certo si è occupata delle stragi sul piano operativo. Ma prendiamo alcuni
elementi. Nel febbraio ‘92 c’era un commando a Roma che aveva l’incarico di
uccidere Giovanni, però fu richiamato da Riina in Sicilia. E poi organizzarono
l’esplosione sull’autostrada. Se pensiamo a certe presenze nella fase
preparatoria dell’omicidio Falcone e ad alcune presenze, esterne a Cosa
nostra, emerse nelle indagini sull’omicidio Borsellino, ci sono elementi sui
quali riflettere. Purtroppo al momento mancano i riscontri per portare a un
accertamento giudiziario: io però non perdo mai la speranza e spero che prima o
poi si possa raggiungere almeno la verità storica».
Ma dopo tutto questo tempo ci sono ancora “pezzi mancanti”.
«Penso che si sia fatto tutto quello che si doveva sul piano
dell’accertamento giudiziario. Ma non è detto che non ci possano essere altri
pezzi di verità da fare emergere. All’inizio della legislatura, nel
discorso di insediamento, posi il problema: ho proposto una commissione
d’inchiesta su tutte le stragi per ricercare un filo conduttore».
Nel libro c’è anche una prefazione del presidente Mattarella, che descrive
il suo approccio “mai rassegnato” nei confronti della mafia.
«Dobbiamo contrastare il mito di quella invincibilità. Un altro mito che va
contrastato è quello semplicistico che vede Falcone e Borsellino come eroi.
Così vengono presentati ai ragazzi, allontanandoli dalla realtà: erano
certamente dei fuoriclasse, ma erano persone normali».
I ricordi più cari su Falcone e Borsellino «Tanti. Una volta con
alcuni magistrati, fra cui Chinnici e Falcone, eravamo con le nostre famiglie a
Pantelleria, a fare i presidenti di seggio elettorale. All’aeroporto, scatta
l’allarme. In una borsa si vede un’arma: era la pistola giocattolo di mio
figlio. Scoppiamo a ridere. Era l’inizio degli anni ‘80».
Anni pericolosi.
«I palermitani si lamentavano delle sirene e delle zone rimozione. Ho
incontrato Giovanni Paparcuri, che ha creato un museo nel bunker del tribunale,
mi ha raccontato di una donna in visita che piangeva: “Sono stata una di quelle
persone che si lamentava, me ne vergogno”. Oggi c’è una Palermo diversa».
Un ricordo di Borsellino.
«Una volta lo incontrai al supermercato, solo. Mi disse: “Se mi devono fare
qualcosa preferisco non avere accanto la scorta”. Alla cassa una persona lo
riconobbe, voleva farlo passare avanti. E lui: “Grazie, faccio la fila”».
La mattina dell’Epifania di 37 anni fa, lei e il fratello del presidente
della Regione Piersanti Mattarella eravate a pochi metri uno dall’altro in una
Palermo prigioniera della mafia.
Oggi rappresentate le prime due cariche dello Stato.
«Uno dei momenti più emozionanti della mia vita è stato il passaggio di
consegne al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con molto affetto e
molti auguri di buon lavoro. Il paese ne ha fatta tanta di strada e ancora se
ne potrà fare. Ma tutte le istituzioni devono conoscere bene il fenomeno mafia,
per combatterlo. Solo così potremo arrivare a sconfiggerlo ».
La Repubblica, 18 maggio 2017
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