FRANCESCO PALAZZO
Nei prossimi giorni ricorrerà il venticinquennale delle stragi. Ma bisogna
interrogarsi su molte cose E il Centro Impastato può essere un esempio
Quest’anno ricorrono i 25 anni delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Di
strada se ne è fatta tanta. Alcuni studiosi sono sicuri nel dire che la mafia
non ha vinto, che non abbia sempre la meglio e che non sia dappertutto. Ci sono
ragioni per sostenere ciò. Ma, nello stesso tempo, si vede un’antimafia in
crisi. C’è chi addirittura propone di mandare in archivio il termine stesso.
C’è chi prova da quarant’anni (vedi l’intervista di domenica 7 maggio a Umberto
Santino di Salvo Palazzolo), a percorrere una strada non legata al
sensazionalismo e all’emotività. Che riconosce i passi in avanti, senza per
questo parlare di mafia completamente sconfitta o ininfluente, e non nega i
passi falsi dell’antimafia, senza fare di tutta l’erba un fascio. È nato nel
1977 il Centro Siciliano di Documentazione poi intestato a Giuseppe Impastato.
Nel difendere e promuovere la biografia dell’attivista politico di Cinisi,
troviamo una prima traccia per un’antimafia dalle basi solide. Il centro è
stato protagonista in questa storia, sia dal punto di vista giudiziario che
politico.
Dopo “I cento passi” è facile parlare di Impastato. Non lo era nel 1978.
Allora, una prima cosa che può essere utile all’antimafia è lavorare non sulla
mera condanna della criminalità organizzata, ma sull’individuazione di contesti
precisi spendendosi per essi. Ma non basta. Ci vuole l’analisi, capire cosa è
la mafia, non in generale, ma proprio indagarla nei suoi aspetti operativi e
organizzativi, territorio per territorio, altrimenti si rischia di girare a
vuoto. Il Centro Impastato, ecco un’altra pista per un’antimafia non di
cartone, ha fornito studi e interpretazioni del fenomeno mafioso.
Contemporaneamente c’è stata la militanza attiva. Pensare sì, per l’antimafia,
ma anche agire, sporcarsi le mani. Un altro aspetto che ha contraddistinto la
realtà fondata da Santino e Anna Puglisi sono i soldi pubblici. Siccome non condividono
le modalità con le quali vengono assegnati i finanziamenti, si sono tenuti
fuori. Tanti denari girano nell’associazionismo, non soltanto antimafia. Non di
rado sono state scoperchiate situazioni che hanno lasciato l’amaro in bocca. Un
altro che non voleva soldi pubblici era don Puglisi. Con le scarpe bucate e l’auto
scassata fece molta paura alla cosca di Brancaccio, sino alle estreme
conseguenze. Le amministrazioni pubbliche, per evitare di elargire somme senza
criterio, potrebbero fornire solo beni e servizi per singole attività. In modo
che quanti vogliono lavorare possano farlo. Un esempio ci viene dalla
recentissima “La via dei Librai”. Il Comune ha fornito diversi presidi per la
riuscita della manifestazione. Il volontariato benedetto da fondi a pioggia
rischia di creare stipendifici e holding di potere, scatole vuote talvolta, con
gente che si abbarbica a vita a rendite di posizione. Se non si è disposti a
metterci gratuitamente anche del proprio, e i fondatori del Centro Impastato
utilizzano una parte della loro casa per ospitare quella che oggi è una onlus,
ci si deve chiedere perché lo si fa. Un altro pezzo di antimafia virtuosa è
rappresentato dalla capacità di fare percorsi comuni. Il Centro, negli anni
ottanta, si è impegnato nel coordinamento antimafia e nelle sue successive
declinazioni. Ha anche, con altre realtà, avanzato richieste, vane, alle
amministrazioni comunali affinché si individuasse un immobile per farlo
diventare sede dell’associazionismo. Il comune ha mostrato interesse, ma non
abbiamo sinora visto risultati concreti.
La Repubblica Palermo, 11 maggio 2017
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