Il ministro dell’Interno: “Combattere l’illegalità è di sinistra. Ho
disposto controlli in 2mila centri per rifugiati e per fermare le infiltrazioni
i nuovi contratti di affidamento saranno scritti dall’Anac”
ROMA - «IL lavoro che ho cominciato al Viminale quattro mesi fa può piacere o
meno. Ma è figlio di un metodo, di un disegno, e di una certezza. Che sulle
questioni della nostra sicurezza, si chiamino emergenza migranti, terrorismo,
reati predatori, incolumità e decoro urbano, legittima difesa, non si giocano
le prossime elezioni politiche. Ma il futuro e la qualità della nostra
democrazia. La tenuta del tessuto connettivo del Paese. A chi mi accusa di
essere di destra perché lotto per governare il senso di paura e l’illegalità,
dico che lo faccio non perché sono il ministro dell’Interno, ma perché sono un
uomo di sinistra. Che si sente a posto con la sua storia. E da uomo di
sinistra, ad esempio, ho disposto in queste ore 2.130 ispezioni ministeriali
nei centri di accoglienza per migranti. Anche quelli attivati in via d’urgenza.
Perché solo chi è credibile nella repressione dell’illegalità, anche domestica,
può essere creduto quando pretende di affermare legalità». Per due ore, ospite
del Forum nella redazione di Repubblica, il ministro dell’Interno
Marco Minniti affronta senza diplomazie i nodi di un’agenda politica impiccata
da mesi alle parole d’ordine di una campagna politica giocata sui temi della
sicurezza. E prova a rovesciare la narrazione della destra leghista e del
populismo pentastellato.
Ministro, cominciamo dalla cronaca di queste settimane. Dai migranti. La
vicenda delle sospette collusioni tra Ong e trafficanti di uomini ha riproposto
un canovaccio che, all’osso, suona così: «L’Italia è il Paese che fa servizio
taxi sotto costa per i boat people. Il Paese in cui si arriva per poi sparire
nel nulla. Dove chi deve essere rimpatriato non lo è e le mafie si
arricchiscono e riciclano con il business dell’accoglienza».
«Il populismo vive e ingrassa della paura del Paese. E per tenere viva la
paura è necessario coltivare un’ossessione. Cosa che è possibile fare
raccontando agli italiani come sia semplice ciò che non lo è ed elidendo dal
discorso pubblico quello che non fa comodo dire e dirsi».
Cosa verrebbe taciuto?
«Provo ad andare con ordine. La partita dei flussi migratori si gioca fuori
dai confini nazionali e non riguarda o coinvolge solo l’Italia. Ha a che fare
con l’Europa e l’Africa. Oggi e per i prossimi 15 anni. Io avrei potuto fare
e dire, e non sarei stato il primo, che il problema è ciò che deve fare
l’Europa. E invece ho deciso di dimostrare che l’Italia è in grado di fare. E
ora, forte di questo, posso chiedere che l’Europa si assuma le sue
responsabilità. Mi spiego. I dati indicano che, nel 2016, i flussi di migranti
della rotta balcanica occidentale sono diminuiti dell’86 per cento, quelli
della rotta balcanica orientale del 72 e, al contrario, quelli del Mediterraneo
centrale aumentati del 18. Questo significa che lo sforzo finanziario assunto
dall’Europa con la Turchia, 6 miliardi di euro, ha consentito di arrestare di
fatto il flusso dai Balcani e che la partita si gioca dunque di fronte alle
nostre coste. Bene. C’è un ulteriore dato che indica come il 90 per cento dei
flussi del Mediterraneo arrivi dalla Libia. E questo consente di focalizzare
ancora di più l’origine del problema. E allora, io dico che, oltre ad aver
lavorato per la stabilizzazione politica di quel Paese, in quattro mesi,
abbiamo firmato un accordo con il governo libico e che, entro fine giugno, la
Libia avrà a disposizione le 10 motovedette che ci siamo impegnati a
consegnarle — due sono già operative da fine aprile — con equipaggi già formati
e con cui pattugliare le sue acque territoriali. Ricordo anche che, a Roma, le
tribù del sud del Sahara, quelle in grado di presidiare il traffico di uomini
diretto a Sabrata e da lì alle nostre coste, hanno firmato una pace che
consentirà di rendere quel corridoio presidiabile. Ricordo infine che, nei
giorni scorsi, a chiusura di questo circuito virtuoso, la Commissione europea
ha stanziato 90 milioni di euro per la costituzione di campi di accoglienza sul
territorio libico sotto la responsabilità dell’Unhcr e dello Iom, il che, oltre
a impedire la vergogna di campi di concentramento gestiti da scafisti, renderà
più agevoli le procedure di rimpatrio volontario assistito. Questo per spiegare
cosa intendo quando parlo di metodo. E perché dico che oggi l’Italia è più
forte e autorevole nel chiedere all’Europa uno sforzo».
Rispettando ad esempio l’accordo disatteso sui ricollocamenti?
«A dire il vero, abbiamo raggiunto ormai i 5.400 ricollocamenti. E ho
personalmente siglato un accordo con la Germania per un ricollocamento di circa
500 migranti al mese. Il problema è un altro. Quell’accordo è diventato inutile
semplicemente perché è “invecchiato”. Mi spiego. Nel 2016, le nazionalità dei
migranti erano principalmente irachena, siriana e somala. Oggi quei gruppi
etnici non sono più presenti nei flussi e quindi c’è poco da ricollocare. Oggi,
le prime tre etnie di migranti provengono da Nigeria, Bangladesh e Guinea.
Quindi, ad esempio, è necessario che l’Europa aggiorni i suoi profili etnici
per il ricollocamento. Ed è necessario che tutti comprendano la portata
globale del fenomeno. Perché è evidente che chi, per 10 mila dollari, parte dal
Bangladesh, raggiunge in aereo il Cairo o Istanbul e di lì viene preso dai
carovanieri per essere condotto prima nel sud del Sahara e poi, a Sabrata e di
lì sulle nostre coste con barconi, non sta sfuggendo a una guerra. È chiaro
che, legittimamente, cerca opportunità di vita migliori e si affida all’unica
industria sopravvissuta in Libia. Quella dei trafficanti di uomini. Ora, il mio
dovere democratico, sottolineo, democratico è chiudere quell’industria,
toglierle agibilità lungo la rotta sahriana e punti di appoggio in Libia.
Perché solo in questo modo, dando dimostrazione di governare l’illegalità,
potrò allora parlare di accoglienza nel solo modo che conosco».
Quale?
«Coniugandola con integrazione. Perché chi oggi pensa che i due termini,
accoglienza e integrazione, non debbano andare di conserva e non dipendano
l’uno dall’altro non mette a rischio i destini della sinistra in Italia, mette
a rischio il futuro del Paese. Se io sono credibile su questo, sono credibile
quando, come ho fatto in queste ore, chiedo 2.130 ispezioni nei centri di
accoglienza e quando firmo accordi con l’Anci per l’accoglienza diffusa o
quando ottengo il voto del Parlamento sul decreto sicurezza».
Converrà che sui centri di accoglienza c’è un problema di infiltrazione
mafiosa.
«È il motivo per cui ho disposto le ispezioni ed è il motivo per cui, con
la collaborazione dell’Autorità nazionale anticorruzione, abbiamo predisposto
un nuovo tipo di contratto unico che prevede tre novità. La fine del gestore
unico, la separazione dei lotti e l’aumento dei poteri ispettivi del ministro
dell’Interno».
Si obietta, è stato fatto anche dalle colonne di “Repubblica” da Roberto
Saviano, che il segno complessivo di queste politiche è una concessione alla
pancia del Paese. Alle parole d’ordine della destra.
«Vi racconto un episodio. Nel ’99, ero un giovane sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio, andai a Bologna per un’iniziativa politica sulla
sicurezza. Arrivai armato di statistiche non molto diverse da quelle che
abbiamo oggi e che indicavano i delitti cosiddetti predatori in calo. E
conclusi spiegando che non vedevo dove fosse il problema. Un vecchio compagno
si alzò dalla platea e mi disse: “Se vieni qui a raccontarci le statistiche non
hai capito niente di noi, di Bologna e del Paese”. Per inciso, a Bologna vinse
Guazzaloca e io quella lezione non l’ho dimenticata. E suona così. Io non posso
combattere la paura biasimando chi ha paura. Io devo aiutarlo a liberarsi dalla
paura. La sicurezza è un sentire. E la cosa più impegnativa, dunque, è il
sentirsi, che è qualcosa di vicino al sentimento. Dove si ragiona con le
statistiche non c’è sentimento. Io sto con chi prende l’autobus tutte le
mattine. Io devo riuscire a sentire quello che prova lui. Non chi ha tre auto
di scorta come me. La sicurezza è un problema che colpisce i deboli. Perché i
ricchi la sicurezza se la comprano. È di destra stare con i più deboli? È di
destra coinvolgere i sindaci nell’accoglienza dei migranti, nella
predisposizione del controllo del territorio, mettendoli nelle condizioni di
allontanare dall’ingresso di una scuola chi ha precedenti per spaccio? È di
destra portare da quattro a tre gradi di giudizio il procedimento per il
riconoscimento dell’asilo per ragioni umanitarie per dare tempi certi al
diritto di chiede di essere accolto e alla sicurezza di chi accoglie? Io, da
uomo di sinistra quale sono e ritengo di essere, ho il problema di includere.
Fosse anche un solo cittadino. Ho l’obbligo di non abbandonarlo alla paura, che
è il sentimento che distrugge prima una democrazia e poi le ragioni dello stare
insieme».
È una legge di sinistra anche quella votata alla Camera sulla legittima
difesa?
Chi l’ha votata non si sarà lasciato prendere troppo dal “sentimento”?
«Io penso sia opportuno, come accadrà, che il Senato lavori a correggere
quel testo perché deve essere chiaro che la legge deve tenere insieme due punti
cruciali. Nessuna vittima di un reato sconvolgente come una rapina in casa deve
essere lasciato solo o sentirsi solo ed è nostro obbligo tutelarne
l’incolumità. Ma deve essere altrettanto chiaro che siamo dentro una
democrazia. E in una democrazia, il contratto sociale prevede che la difesa
armata della democrazia spetti ai corpi dello Stato e non al singolo».
Tornando ai migranti e alla questione delle Ong. Non crede che quanto
emerso, a maggior ragione alla luce di quanto lei dice dell’industria dei
trafficanti di uomini, non sia opportuno un ripensamento quantomeno delle
modalità di soccorso al limite delle acque territoriali libiche?
«Come dicevo, dalla fine di giugno, la Libia disporrà di 10 motovedette.
Dunque di una Guardia Costiera degna di questo nome che le darà piena
competenza sulle sue acque interne. Detto questo, mi sembra che i fatti diano
ragione di quanto ho detto in Parlamento il 27 aprile e di una linea che
intendo mantenere. La dico in due parole. Un Paese serio non ha paura di
affrontare nessun problema. A maggior ragione se interpella il lavoro cruciale
e delicato delle Ong in campo umanitario. Ma un Paese serio aspetta di
conoscere dati certi. Dunque, l’esito delle indagini, parlamentari e della
magistratura. E solo all’esito di questi, decide se e su cosa intervenire».
La Repubblica, 10 maggio 2017
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