GIOVANNI PERRINO
Il mio amico era molto schivo, parlavamo molto di tutto
ma poco del rispettivo lavoro creativo, solo accenni pieni di pudore. Credo che
Pino Governali, consapevole della serietà del suo impegno, preferiva che gli
altri considerassero il lavoro di ricerca sulla lingua e le usanze dei padri
alla stregua di Petrarca che chiamava “nugae” i suoi sonetti. I francesi, in
particolare Blaise Pascal, usarono poi il termine “divertissement” elevando il
banale passatempo a godimento sì ma ragionato, inquadrato cioè in una logica
rigorosa e progettuale. Chi ha conosciuto Pino Governali sapeva di questa sua
riservatezza, della sua radicata preferenza per l’essere più che per
l’apparire. Pino alla prima fila preferiva sempre i posti defilati e non per
timidezza ma per un codice morale che è fra i suoi lasciti più importanti. E’
vero che Pino si divertiva studiando, passava intere giornate nel suo studio,
provava una grande soddisfazione nel sentire le voci del passato, gli echi di
una saggezza oggi sbiadita, e, proprio nell’ascoltare quei suoni e quelle voci,
si trasformava in attento ricercatore. Partiva da lì il lavoro di decodifica e
di indagine critico-esegetica che lo portava alla sistematizzazione scientifica
di quel prezioso materiale spesso frutto di incontri con gli anziani del
paese…” la gintuzza “ come amava dire con affettuosa vicinanza.
Ma sono
convinto che non basta amare qualcosa per raccoglierla e riprodurla, e quindi
non può bastare affermare che Pino lavorava per passione, aveva la passione del
dialetto. Pino, come molti di noi, amava conservare e proteggere le cose che
riteneva avessero valore e fra queste rientrava la ricchezza sapienziale del
parlare antico. Egli quindi per temperamento e per cultura non può definirsi
studioso per passione, né un sagace collezionista di motti e proverbi. Il suo
sguardo sulla vita che lo circondava nella sua Corleone è sempre stato logico e
consapevole, fatto di lucida severità e forte della saggezza tramandata dalle
generazioni precedenti. Certo, la sua
condanna per tutto ciò che in paese rappresentava un ostacolo allo sviluppo
culturale e sociale, dicasi mafia o malapolitica, quei valori negativi che gli
antropologi chiamano “familismo amorale”, era netta e senza appello. Di fronte
alle malefatte, Pino non esitava ad esprimersi con rabbia condannando senza
remore, come diceva G. Falcone, ciò che più si ama proprio per desiderio
profondo di cambiamento.
Pino Governali fu fra i primi collaboratori del giornale
“ Cittanuove”, simbolo di una forte coscienza antimafia e di rinascita civile
del Corleonese. Allo stesso modo dedicò tempo alla città come Assessore alla
Cultura in una fortunata parentesi amministrativa e, ancora in anni recenti, fu
fondatore della Biblioteca dedicata alle Sorelle Patti. Questo per dire che con
Pino Governali siamo di fronte ad una figura di intellettuale a tutto tondo
della cui generosità si sentirà sempre
bisogno nei nostri difficili territori. Tanto in questo Pino Governali era uomo
di parte, per amore del luogo natio, quanto diventava tenero e ironico nel
momento in cui il suo ottimo italiano cedeva il passo alla locuzione
dialettale, al proverbio, al modo di dire antico e disusato. Proprio questi
erano i momenti in cui si scioglieva nel sorriso e affiorava la soddisfazione
per il possesso di radici così salde e radicate. La gamma dei valori che questo
parlare racconta è dichiaratamente espressa in questo come nei precedenti libri
di Pino. Le pagine che il lettore ha davanti a sè rappresentano un repertorio,
direi completo e profondo, di una parlata, quale quella corleonese, che Pino
non solo dimostra di padroneggiare con
competenza ma di cui fa un’esegesi rigorosa cercando persino i
correlativi letterari fra i più impensabili, come i grandi della letteratura
latina e di quella italiana, senza escludere incursioni nei testi sapienziali.
Lungi dal voler scrivere un dizionario o una compilazione, sono certo che Pino,
di fronte ad ogni voce, pensava ai suoi amati studenti, a coloro che oggi
parlano un dialetto diverso, semplificato e contaminato dall’italiano dei
media. Pino Governali teneva moltissimo a mettere in contatto i giovani con il
loro passato, si preoccupava di far sentire loro l’eco di un linguaggio
arcaico, proprio delle generazioni precedenti, ma per niente misterioso in
quanto profondamente aderente alla realtà, ad una visione della vita che è
cambiata nei fatti ma i cui valori i padri ci hanno tramandati e affidati per sempre.
Questo lavoro di Pino, ultimo di una serie di pubblicazioni che, per qualità e
rigore scientifico, non potrei mettere in ordine di importanza, ci rende
l’immagine dell’uomo di studi, del ricercatore attento e rigoroso, ma anche
cultore di valori essenziali per la società civile di ogni epoca, dalla fede
religiosa al culto della famiglia, dal lavoro al rispetto delle tradizioni,
dall’onestà alla pratica della legalità che nel passato, sotto il velo di un
istintivo buon senso, era innata negli strati più sofferenti della popolazione, spesso oggetto di
ingiustizie e di sopraffazioni. Per i vicoli e le strade della sua Corleone,
Pino ha raccolto con amore infinito e grande sensibilità, odori e umori, lampi
di sole e bui improvvisi, lamenti e grida, calpestio di zoccoli e cantilene di
nonne e voci di bimbi. Fra quelle vie, quei ciottoli a volte sconnessi, come
preghiere laiche, Pino Governali ha lasciato le sue parole “ parlate”, perché
non ci sentissimo mai soli “ …come un aratro senza buoi/ che pare dimenticato/tra
il vapor leggero.”, quello di ”Lavandare” del suo amatissimo Giovanni Pascoli.
Giovanni Perrino
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