Giovanni Perrino |
GIOVANNI PERRINO*
“Reperti” nasce come seconda edizione aggiornata della raccolta “ Giudizi –
pregiudizi - ricordi fantasie”
pubblicata nel 1990. Il
volume di oggi è la sesta opera in ordine cronologico cui Giuseppe Governali si
è dedicato lungo decenni caratterizzati da un’ipotesi di ricerca che ha
impegnato gli interessi culturali dell’autore a partire dalla sua
collaborazione ai Quaderni Eleusini che accompagnò la feconda amicizia con il Prof. Isidoro Fogazza. Le
sue ipotesi rientrano infatti nell’ambito esegetico e pedagogico. Non
c’è esegesi, cioè studio e interpretazione critica, che prescinda da un’assidua
frequentazione con i riferimenti culturali e gli studi del Governali studioso e
uomo di scuola. Partiamo da quello che considero un filone principale,
l’incontro fra culture e religioni, fra il cattolicesimo attivo di Don Lorenzo
Milani e il socialismo umanistico di Pier Paolo Pasolini. Ho vivo i ricordi di
lunghe conversazioni, tipiche fra gente di scuola, a proposito di Don Lorenzo
Milani e del famoso “I care”. GUARDA L'ALBUM FOTOGRAFICO
* Intervento pronunciato alla presentazione del libro di G. Governali di sabato 13 maggio nell'Auditorium del Liceo delle Scienze Umane "Don G. Colletto" - Corleone
Il
“mi sta a cuore” il prendersi cura degli
umili, degli ultimi per rivoluzionare il mondo affermando diritti
imprescindibili quale la terra, il pane per tutti, il lavoro e la dignità
prima di tutto. A
Don Lorenzo Milani seguì importantissimo l’incontro con l’amato Pasolini che avrebbe
accompagnato in Governali una presa di coscienza critica e politica da tradursi
per Corleone nelle note battaglie per la legalità e per una scolarizzazione di
massa che portasse all’emancipazione civile delle classi subalterne.
“Lingua
e Dialetto” fu il titolo del Convegno di Bari cui, presente Pasolini, Governali
partecipò pochi giorni prima dell’assassinio dello scrittore.
Mi
raccontò a lungo dell’intelligenza brillante di Pasolini e condividemmo il
dolore per la sua perdita. Un giorno ci ritrovammo a Roma a visitare il
cimitero a cattolico della Piramide Cestia dove riposa Gramsci e tetammo con
emozione di ricordare alcuni versi dell’opera pasoliniana.
Parte
da qui, a mio avviso, l’impegno di Governali
che costituisce il punto di partenza di ogni sua opera.
Erano
quelli gli anni di Don Milani con la sua “Lettera ad una professoressa”, ma
anche di Paulo Freire con la sua “Pedagogia
degli oppressi” e “ L’educazione come pratica della libertà”, di Jean
Piaget “ Dove va l’educazione”, letture
che Governali aveva fatto sue rileggendo
e portando a piena maturazione il suo Cristianesimo sociale e
soprattutto dedicando le sue riflessioni al futuro dei giovani ai quali insegnava, con i classici della
letteratura, la via del riscatto e dell’umana dignità, quei giovani cui il Paese
non offriva strade diverse da quelle di una grama e spericolata sopravvivenza.
Nella
sua premessa a “ Reperti”, Governali
scrive: “ Non si tratta di custodire quanto del passato resta e lambisce il
presente ma di conoscerlo per realizzare le sue speranze, per evitare che “ il
passato continui come distruzione del passato”.
Solo
in questo senso egli riteneva che fosse utile conservare e proteggere le cose
che avevano valore in quanto frutto naturale di un nucleo sapienziale che era
il parlare antico e i ritmi che scandivano il tempo dei padri, le strade che
essi attraversavano, le trazzere che calpestavano, quel poco di cui si
nutrivano.
Uno
sguardo lucido e severo quello di Governali sui suoni e i colori della sua
amata Corleone di un tempo scomparso, uno sguardo che non risparmiava certo ironia e
sardonici sorrisi.
Prezioso
il suo mettere al servizio dell’antica lingua locale la sua cultura classica,
quel suo personale trasformarsi in detective della parola, seguire ogni
indizio, ogni traccia che portasse ad una spiegazione, a trovare il giusto accordo fra le origini culturali,
spesso nobili nel senso più alto e la sua paremiologia, parà oimè, che
accompagna il canto quando si fa racconto.
L’approfondita
analisi della parlata della Corleone antica in Governali diviene, come si usa dire oggi, lo story
telling di una comunità che coralmente si racconta, si definisce, si identifica
e riprende corpo quasi una resurrezione al modo delle donne di Betania davanti
al corpo sepolto e maleodorante di Lazzaro.
Allo
stesso modo delle donne di Betania, Governali chiede al passato non certo un ritorno impossibile quanto di
manifestarsi nel presente come linfa vitale in un tempo segnato dalla ricerca
di senso e da un’acritica rincorsa al futuro.
Giuseppe
Governali rinviene nel parlare antico la ricchezza sapienziale, la saggezza
tramandata, quel parlare colto, proprio dei sapienti che le classi popolari nel
tempo hanno interiorizzato e fatto proprio.
Questo
valore della parola, quasi fosse oggetto, parte inscindibile di una identità,
in Governali traspariva dal suo stesso parlare, colto e raffinato da un lato ma
che, con un sorriso, defluiva nel “
detto” ove era il detto o proverbio che fosse, a garantire, con tratti di
assoluta originalità, valore alla parola in lingua e mai viceversa.
Il
fatto che così parlavano gli antichi padri esprimeva una conferma, voleva dire
che era proprio così, parola verità, parola che non mente e non tradisce,
parola quindi che nutre e conforta.
Come
autorevolmente scrive Dino Paternostro, la parlata corleonese, pur essendo la
città “soror mea” con la vicina Palermo, ha un che di suo.
Storicamente
accertati restano gli accordi di Brescia del 1237 e l’emigrazione in Sicilia di
genti lombarde in senso lato.
Certa
è l’origine di alcuni cognomi corleonesi da Pontecurone, oggi prov. di
Alessandria in Piemonte ma in realtà
periferia di Voghera in prov. di Pavia cioè Lombardia.
E’
inevitabile che vicende storiche lontane hanno sedimentato nei secoli un
melange culturale in cui le parole, come le persone, sono il frutto di lenti ma
inesorabili processi di integrazione fra parlate e culture le più diverse e
sovrapposte nei secoli.
La
lingua attraversa gli stessi complessi itinerari di commistione generando quello
che gli antropologi chiamano “salad bowl”, cioè un bacino multietnico e
multiculturale il cui esito finale è dato dal parlato in uso ma in cui le
parole hanno distintamente, come le verdure nell’insalata mista, il sapore di
una provenienza loro propria, di un percorso.
Scoprirlo,
seguirne le tracce è il lavoro prezioso che Governali ha fatto in questo come
nelle sue opere precedenti.
Togliere
la cenere che ricopre il parlare antico, offrirlo come risorsa di riscatto ai
giovani della sua scuola milaniana, voleva dire tracciare un percorso di vita
in cui ciascuno, ogni giovane in formazione,senza smarrire se stesso, potesse
ritrovare fra i ciottoli indistinguibili della lingua impoverita che oggi è in
nell’uso corrente, parole autentiche, tracce, seguendo le quali, si disegna
un’identità che non è quella dell’adeguamento acritico alle prassi del
consumismo odierno.
Studioso
delle tradizioni popolari e di antropologia culturale, egli insisteva piuttosto sulla necessità di un’identità
nuova e competitiva con gli sviluppi futuri delle esigenze umanistiche e delle
nuove tecnologie, una visione di sé che porti all’epifania dell’altro ed al
riconoscimento di questo come parte di sé fondata sulla coscienza che il futuro
non sarà mai fonte di paura se proviene dalla rifondazione dei diritti
inalienabili della persona umana.
E’
mia convinzione che questo libro nasca da questa lucida ipotesi di ricerca, ma anche dal
desiderio della famiglia e degli amici di mantenere e diffondere nei giovani il
già noto impegno professionale e culturale dell’autore.
Noi
oggi siamo emozionati e suggestionati dalla fatica di Pino, del nostro impareggiabile
amico cui, con tanta nostalgia, rendiamo sincero e riverente omaggio sottolineando
la sua preziosa eredità cultuale.
Giovanni
Perrino
Nessun commento:
Posta un commento