CHI ERA GIUSEPPE LETIZIA?
Il piccolo Giuseppe Letizia è morto alle ore 13.00 del 14 marzo 1948, nella sua casa di via Arena 36. Quattro giorni dopo l’assassinio di Placido Rizzotto. Spulciando i registri dello Stato civile del comune di Corleone, apprendiamo che il pastorello era nato a Corleone il 4 novembre 1935, in piena epoca fascista, da Giuseppe senior, contadino, che allora aveva 39 anni, e da Anna Carollo, nella stessa casa in cui sarebbe morto di via Arena 36. All’epoca della morte, quindi, avvenuta il 14 marzo 1948, aveva appena compiuto 12 anni. A denunciare la morte del Letizia non furono i genitori, disperati per il dolore di aver perso il figlio, ma Matteo D’Ippolito, un contadino di 22 anni, insieme a due testimoni: Salvatore Militello, contadino di 42 anni, e Leoluca Labruzzo, un altro contadino di 32 anni. In quegli atti, Letizia risulta ancora formalmente “scolaro”. Invece sappiamo che a scuola non andava da tempo, perché aiutava il padre nei lavori di campagna.
Infatti, quella maledetta sera del 10 marzo 1948 Giuseppe Letizia era in campagna, in contrada Malvello, a custodire il suo gregge, come gli aveva raccomandato il padre. E fu lì che vide arrivare la Fiat 1100 scura di Luciano Liggio, dove i mafiosi avevano caricato a forza il segretario della Camera del lavoro, Placido Rizzotto. Col cuore in gola, il piccolo Letizia vide i mafiosi accanirsi con una violenza inaudita contro il povero Placido. Infine, vide Luciano Liggio che gli sparò a bruciapelo tre colpi di pistola.
La mattina dell’11 marzo, Giuseppe fu trovato febbricitante dal padre e tre giorni dopo morì. Durante il delirio accennò all’assassinio di un contadino, il cui corpo era stato fatto a pezzi. Fece anche dei nomi, ma i genitori si guardarono bene dal riferirli. Erano paralizzati dalla paura.
Il caso Letizia esplose con forza tra l’opinione pubblica, grazie al primo servizio pubblicato su «L’Unità » di domenica 13 marzo: «C’é motivo di pensare, e molti in paese sono a pensarla così - scriveva il giornale - che il bambino sia stato involontariamente testimone dell’uccisione del Rizzotto e che le minacce e le intimidazioni lo abbiano talmente atterrito da provocargli uno shock e come conseguenza di esso la morte». Ancora più esplicito fu il settimanale «La Voce della Sicilia», che il 21 marzo così titolò: «Un bimbo morente ha denunciato gli assassini che uccisero Placido Rizzotto nel feudo Malvello». Nell’articolo si sosteneva che il segretario della Camera del lavoro di Corleone sarebbe stato sequestrato dalla mafia con l’aiuto di Pasquale Criscione e condotto nel feudo Malvello, «dove un ragazzo..., Letizia Giuseppe, rimasto in quel feudo per sorvegliare il gregge, avrebbe visto gli assassini compiere il delitto». «Atterrito e sconvolto per la scena terribile che si sarebbe svolta sotto i suoi occhi - proseguiva l’articolo - il ragazzo avrebbe avuto delle allucinazioni e nonostante le cure prodigategli dai medici dottori Navarra e Dell’Aira sarebbe morto dopo pochi giorni per cause non accertate».
Le rivelazioni non si fermarono qui. Dopo pochi giorni (il 26 marzo 1948), lo stesso giornale incalzava con un altro articolo dal titolo inquietante: «Per avvelenamento o per trauma psichico l’allucinazione e la morte del bambino?». Nel servizio si faceva notare la contraddizione tra la diagnosi formulata dal dott. Ignazio Dell’Aira, dove si parlava genericamente di “tossicosi”, e la cura da lui prescritta al ragazzo a base di “Serenol”, che era un calmante e non un disintossicante. «Noi pensiamo che il dott. Dell’Aira potrebbe dare altri utili chiarimenti...», affermava l’articolista. Sia i carabinieri che la polizia interrogarono i familiari del Letizia, che però esclusero nella maniera più assoluta che il loro congiunto avesse raccontato di omicidi e violenze.
Gli inquirenti, stranamente, non ebbero nemmeno il sospetto che Giuseppe Letizia fosse morto in seguito alle “cure” praticategli dal dott. Navarra e dal dott. Dell’Aira. E trascurarono la circostanza che il dott. Dell’Aira, «apparentemente senza alcun motivo, si affrettò a chiudere lo studio, salire su una nave e rifugiarsi in Australia», scrive Marco Nese (Nel segno della mafia). Mentre, invece, diedero eccessivo credito ai genitori del Letizia, che, interrogati dai carabinieri, «esclusero» che il figlio avesse narrato di avere assistito all’uccisione di Placido Rizzotto». Eppure non doveva essere difficile immaginare che la mafia era in grado di usare mezzi molto persuasivi per impedire testimonianze pericolose. Si ebbe l’impressione che polizia e magistratura volessero chiudere tutto nel più breve tempo possibile, senza “disturbare” il capofamiglia don Michele Navarra. E ci riuscirono perché nessuno indagò sulla morte di Giuseppe Letizia. E sulla tragica vicenda si spensero per sempre i riflettori.
Solo nel 2011 il comune di Corleone dedicò una strada al pastorello. Mentre il 12 giugno del 2012, dopo i funerali di Stato per Placido Rizzotto, che si erano svolti il 24 maggio, la Scuola Media “Giuseppe Vasi” di Corleone, d’intesa con l’Assessorato regionale all’Istruzione, nel corso di una toccante cerimonia, volle consegnare ai familiari un diploma di licenza media alla memoria del piccolo Letizia, che aveva dovuto lasciare gli studi quasi senza averli mai iniziati. Allora non riuscimmo a trovare una sua foto, per il semplice e amaro motivo che Giuseppe non aveva mai fatto una foto. A quei tempi, infatti, i poveri la foto la facevano solo quando andavano a prestare servizio militare o quando si sposavano. Letizia, a causa della sua prematura scomparsa, non era riuscito a fare né l’una né l’altra cosa. E non esiste nemmeno una sua tomba. Allora fu sepolto nella nuda terra e, dopo alcuni anni, le sue ossa furono raccolte e depositate nell’ossario comunale.
Un motivo in più per cui adesso potrebbe essere arrivato il momento di realizzare un monumento in sua memoria.
Dino Paternostro
Nessun commento:
Posta un commento