VILLABATE, DOMANI IL 70° ANNIVERSARIO DELL’UCCISIONE DI VINCENZO
SANSONE, SINDACALISTA CGIL. GLI SARA’ INTITOLATO UN GIARDINO
Palermo 3 aprile 2017 – Domani a Villabate alle 9,30 sarà
scoperta una targa in memoria di Vincenzo Sansone, uno dei primi sindacalisti
della Cgil uccisi dalla mafia: quest’anno ricorre il 70°
anniversario. E’ il secondo anno consecutivo che la
Cgil lo ricorda, insieme ai suoi familiari e all’amministrazione comunale
di Villabate. Quest’anno gli sarà dedicato un giardino lungo il corso del paese, dove sarà posta una targa in sua
memoria nell'aiuola tra
corso Vittorio Emanuele e la parte terminale di viale Europa, alla
presenza delle autorità, con i rappresentanti della Cgil e del
centro “Pio La Torre” e
gli alunni delle ultime classi della scuola elementare G. Rodari. Alle ore 10 presso il plesso scolastico Liceo
sociopsicopedagogico Danilo Dolci incontro con gli studenti sull’argomento
"La vita di Vincenzo Sansone e i protagonisti di generazione futura nel
risveglio delle coscienze". Ne
discutono: Vincenzo Oliveri, sindaco di Villabate, Maria
Cristina Picciolini, autrice del libro Generazione futura, Vito
Lo Monaco, presidente del centro “Pio La Torre”, Alessia Gatto,
della segreteria Cgil di Palermo e Dino Paternostro, responsabile del
dipartimento Legalità Cgil Palermo. “Finalmente la memoria di un
personaggio come Vincenzo Sansone sta diventando memoria condivisa dalla
società civile e dalle istituzioni – dichiara Alessia Gatto -
Intitolargli uno spazio pubblico, come faremo domattina, significa che Sansone
non è più un personaggio relegato ai margini della storia ma una
figura da riscoprire come esempio per le giovani generazioni. “E’ proprio
questo l’obiettivo che ci prefiggiamo col progetto del ‘calendario della
memoria’, che da due anni portiamo avanti – aggiunge Dino Paternostro
- La memoria rende giustizia ai caduti e e ci dà una forte
spinta ideale nelle lotte per il lavoro e i diritti che anche oggi, come
allora, portiamo avanti”.
LE TESTIMONIANZE DEI FAMILIARI
“In famiglia dopo la sua morte fu steso un velo
di silenzio - dice il nipote Vincenzo Sansone, che porta il suo stesso
nome - . La nonna, che era rimasta vedova da poco, aveva altri 7
figli e tanta paura. Sansone fu così dimenticato da tutto il
paese. Da bambino di questo zio di cui portavo il nome ho saputo qualcosa
dai racconti di mia nonna. C'è molto ancora da approfondire sulle dinamiche e
sui motivi di questo delitto. La luce che si sta cominciando a fare oggi
speriamo contribuisca a riscrivere la verità”.
“Era un punto di riferimento per tutto il popolo,
una persona altruista, buona, generosissima – aggiunge la nipote Giuseppina
Sansone -. Fondò la Camera del Lavoro di Villabate, che presto
diventò il luogo dove la gente poteva trovare una risposta ai propri bisogni.
In quegli anni di guerre e di miseria, coi bambini che camminavano scalzi per
strada, inviò una lettera chiedendo gli aiuti del Piano Marshall, viveri,
vestiario e soldi per i familiari dei morti in guerra. Quando arrivarono i
vagoni carichi di beni, quelli che comandavano in paese pretesero di
impossessarsi della roba. Mio zio, che lottava per il bene degli altri, fu
minacciato e allontanato”. “Lo zio Vincenzo – ha aggiunto - aveva un solo
abito, che indossava in estate e in inverno. E quando si strappò, lui copriva
lo strappo con uno scialle. E andava in giro così, coperto con lo scialle della
nonna. Ha condotto la sua vita per i poveri e per gli orfani”. “Ricordo
benissimo quando avvenne questo omicidio
- dice Vincenzo Oliveri, sindaco
di Villabate ed ex presidente della Corte d’appello di Palermo
–. Ci fu una specie di sommossa, tutti volevano capire cosa fosse successo.
Sansone organizzava i lavoratori della campagna per la raccolta dei mandarini.
Aveva un grande consenso e questo dava fastidio ai mafiosi, in un periodo
storico in cui tutti erano ossequiosi con loro. A chi si opponeva, facevano
radere al suolo tutti gli alberi. Una delle ipotesi fu che avesse pestato i
piedi a qualche proprietario terriero”.
CHI ERA VINCENZO “NUNZIO” SANSONE?
Nel periodo che copre l’arco temporale che va dal 1945 ai primi
anni ’50, furono tante le case ed i comuni della Sicilia dove si piansero
le morti ingiuste di sindacalisti uccisi dalla mafia.
A Villabate venne assassinato Nunzio -
“Vincenzo” Sansone, che cadde sotto i colpi di lupara il 13 febbraio
1947. A narrare la sua storia, dimenticata da
tutti, è il professore Edoardo Salmeri nelle sue “Storie Vil labatesi”.
Ricorda alcuni episodi, come quando Sansone tentò di consegnare una lettera a
Mussolini e fu malmenato, arrestato e condotto
all’Ucciardone. ‹‹Povero Vince nzo Sansone! [...] La sorte fu
avara con lui. L’avevo conosciuto in una particolare circostanza, in
occasione del passaggio del Duce per Villabate. Quando la macchina
dell’alto Capo del Fascismo si fermò per un istante sulla strada per ricevere
dalle autorità del paese l’omaggio di un folto ramo di arance, egli, giovane
studente, corse verso l’eminente personaggio per porgergli una lettera. Tosto
l’aperta vettura si mise in moto e l’audace giovane corse dietro di essa,
tendendo la mano. Fu trattenuto dalla forza pubblica, che non solo gli impedì
di consegnare la lettera, ma cominciò a malmenarlo come un malfattore.
Quindi, messegli le manette, lo trascinò verso la caserma, tempestandolo
brutalmente di pugni e di calci [...] Il fatto è che l’indomani l’infelice
giovane, carico di catene, fu trasportato all’Ucciardone di
Palermo. [...]. Salmeri si trovava con Sansone poco prima della sua
uccisione. “Anche Villabate ebbe il suo martire: Vincenzo Sansone,
mio compagno di partito, fedele collaboratore, che aveva cercato di
fondare una cooperativa agricola. La mafia del paese lo eliminò
crudelmente, freddandolo a colpi di lupara all’uscita dall’abitato, mentre
percorreva il tratto solitario che divide Villabate dal borgo di
Portella di Mare. Lo uccisero nella sera, mentre rincasava, proprio come
il padre del Pascoli. Ci eravamo appena separati. Io appresi la notizia
della sua morte l’indomani [...] A duecento metri da casa mia c’era un
gruppo di gente con la polizia, che piantonava il corpo
dell’ucciso. Ricordai allora come la sera prima, appena rientrato,
avevo sentito dei colpi di fucile. Non vi avevo dato importanza, credendo
che fossero spari di cacciatore. Non avevo sospettato per nulla che in
quel momento il mio povero amico e compagno fosse caduto sotto il piombo
della mafia. Non immaginavo che quella sanguinaria associazione criminale
sarebbe stata capace di commettere un tale efferato delitto. A chi faceva
male il povero Vincenzo Sansone, insegnante di lettere, che nella sua
gioventù aveva tanto lottato contro la povertà, sopportando dure prove e
umilianti privazioni? Egli che conosceva la triste indigenza, voleva riscattare
le masse operaie e contadine dalla loro miseria, dall’abiezione materiale
e morale in cui esse vivevano nel prolungato servaggio dei tempi, ma era
stato stroncato dalla mafia, da quella cosiddetta ‹‹onorata società›› che
si arrogava il vanto di interpretare gli ideali di giustizia dell’antica
setta dei Beati Paoli, e invece salvaguardava gli interessi del baronato e
degli agrari, degli sfruttatori, del lavoro umano. Ecco perché la mafia
l’aveva ucciso››.
Per questo delitto, come di consueto, nessuno pagò.
Fu incriminato, come racconta il Giornale “L’Ora” dell’1-2 luglio 1963,
il mafioso Giovanni Di Peri, ma venne subito prosciolto in istruttoria.
Il Di Peri era il titolare dell’autolavaggio che nella notte tra 29 e il 30
giugno 1963 venne interessato dallo scoppio della “Giulietta”.
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