EMANUELE LAURIA
È sempre più difficile organizzare le rappresentazioni
religiose nei comuni A Roccamena hanno lanciato un appello su Facebook: hanno
risposto in due. Giallo sull’incarico non rinnovato al giovane che interpretava Gesù. Il
sindaco: “Le aree interne si sono svuotate, gli studenti vengono solo nei
weekend”
Gesù è già morto, a Roccamena. Non è stato giudicato né flagellato.
Semplicemente accantonato, messo da parte, scomparso dalla rappresentazione
della Via crucis che, a cascata, ha perso pure gli altri figuranti. È la Pasqua
più triste, per un paese di mille anime devote ma tormentate da piaghe poco
divine e molto terrene: l’emigrazione, il disinteresse dei giovani e, pare, la
diffidenza reciproca. È la Pasqua più mesta: la processione, quest’anno, non si
farà. Ci hanno provato, i ragazzi della parrocchia, a reclutare gli attori
necessari per una messinscena complessa ma portentosa: l’arresto e il processo
in piazza, l’ascesa al Golgota lungo il corso principale, la crocifissione
all’inizio del centro abitato.
E qui la storia si fa un po’ più complessa, a tratti oscura, alimentata dal
rombo forte della vox populi. Nel 2015, anno dell’ultima processione, i
figuranti c’erano e c’era soprattutto Gesù. Al secolo Gioacchino
Giangrosso, dipendente comunale che alla parte si era dedicato con grande
applicazione. «Sa, c’è chi si traveste semplicemente e chi si immedesima nel
ruolo. Io, modestia a parte, mi sono immedesimato. Chieda un po’ in giro».
Il fatto è che, dopo quell’esperienza, a Giangrosso non è stato rinnovato
l’incarico: «Perché? Non lo so. Non me lo spiego neppure io», dice. Qualcuno
mormora di un veto del parroco, don Francesco Cucciniello, legato a presunte
pratiche esorcistiche di cui sarebbe esperto Giangrosso. Sarebbe poco
conveniente, insomma, un Gesù che possiede o millanta il potere di scacciare il
diavolo. «Ci sono delle voci in questo senso, non posso negarlo — afferma il
sindaco — Ma non posso certo darle conferme». E di questo, l’ex Gesù non vuole
parlare: «Magia? No, guardi siamo fuori strada. Io di magie, propriamente
dette, non ne faccio. Riti similari? Su questo, se permette, non dico nulla».
Ma è possibile che le defezioni degli altri attori della processione siano
dovute proprio alla solidarietà nei confronti del Cristo messo da parte?
«Certo, molti amici li avevo coinvolti io. È possibile che la mia assenza non
li abbia motivati — ancora Giangrosso — Io comunque non mi sono risparmiato
nella ricerca dei protagonisti, sia chiaro». Il mistero rimane, e non è quello
pasquale. In mancanza della testimonianza- chiave di don Francesco, che al
telefono non si fa trovare, questa storia rimane sullo sfondo di una Via crucis
fantasma, di una Settimana Santa senza il suo clou. Resta a fare da suggestivo
retroscena di un problema che emerge in chiaro: i riti tradizionali, nei paesi,
si fanno con sempre maggiori difficoltà. Ne parla Francesco Rimi,
l’organizzatore dell’ultima manifestazione di Roccamena e per diversi lustri in
passato “padre” della Via crucis di Alcamo: «A Roccamena, come altrove, è arduo
coinvolgere la gente. Ci siamo rivolti a Camporeale, dove avevamo trovato anche
un altro Gesù. Di altre questioni non so. So invece — ancora Rimi — che anche
in altri centri della Sicilia c’è qualche difficoltà ad allestire una Via
crucis degna di questo nome: ad Alcamo non si è fatta per 10 anni, in
altri paesi si svolge in tono minore. Colpa anche dei contributi comunali che
scarseggiano. Per fortuna la tradizione resiste, malgrado tutto, in molte
località siciliane, anche sotto forme diverse: dal musical alla recita in
dialetto». Ragiona il sindaco Ciaccio: «Il problema sta soprattutto in un
approccio dei giovani a queste tradizioni che è diverso rispetto al passato. E
poi, i giovani dove sono? Le aree interne della Sicilia sono svuotate
dall’emigrazione, i ragazzi se non partono in modo definitivo stanno fuori per
l’intera settimana e tornano al paese nei week-end. È difficile farli
partecipare a un’organizzazione comunque complicata come quella di una Via
crucis. Ma non demordiamo, anche perché questi riti non vanno persi».
La Repubblica Palermo, 13 aprile 2017
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MAH
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