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Salvatore Giuliano |
LEANDRO SALVIA
“Salvatore Giuliano non era semplicemente un bandito, ma un mafioso. Oggi
neanche il giudice più garantista avrebbe difficoltà a condannarlo ai sensi del
416 bis”. A sostenerlo, carte alle mano, è lo storico di Piana degli Albanesi
Francesco Petrotta. Che da anni conduce una attenta ricerca archivistica sulla
strage di Portella della Ginestra e sulle lotte contadine. La ricerca diventerà
a breve un volume all’interno del quale l’autore spiega la sua tesi sul bandito
di Montelepre. “Oggi possiamo affermare – anticipa Petrotta - che Salvatore
Giuliano non era semplicemente un bandito aiutato dalla mafia, ma un mafioso,
un uomo d’onore, che faceva parte dell’organizzazione criminale Cosa Nostra”.
La conferma si troverebbe nelle testimonianze dei pentiti e nei documenti
americani dell'Office of Strategic Services, desecretati nel 2000. Ma non solo
in quelli. A raccontare del bandito mafioso sono gli stessi scritti di Giuliano
e le rivelazioni del suo luogotenente Gaspare Pisciotta. Preziose conferme
arrivano inoltre dalle numerose testimonianze dei collaboratori di giustizia.
Molte delle quali si trovano negli archivi della Procura di Palermo, e di cui
si alimenta la ricerca di Petrotta.
Una di queste testimonianze, finora
inedita, è di Emanuele Brusca, figlio di Bernardo, boss di San Giuseppe Jato.
“Emanuele nel 1998 – racconta lo studioso - rivelò al magistrato Alfonso
Sabella che fu il padre Bernardo, componente della cupola di Cosa Nostra, ad
uccidere personalmente Nitto Minasola, mafioso di Monreale. L’omicidio avvenne
tra San Giuseppe Jato e San Cipirello, il 20 settembre del 1960, in occasione
della tradizionale fiera del bestiame. Minasola – spiega Petrotta - venne
ucciso perché aveva tradito Giuliano ed aveva convinto Gaspare Pisciotta a fare
la stessa cosa. Così con l’omicidio di Minasola e di Pisciotta, e con lo
scioglimento delle famiglie di Montelepre e di Monreale, all’interno delle
quali si erano annidati alcuni traditori, Cosa Nostra – sostiene Petrotta
-vendicò Salvatore Giuliano. L’uomo d’onore più popolare del secondo
dopoguerra”.
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Una scena della strage di Portella della Ginestra tratto dal film "Salvatore Giuliano" |
Il primo a rivelare che Giuliano non fosse un semplice bandito era stato
proprio il suo luogotenente, prima di essere avvelenato nel 1954 all’interno
del carcere Ucciardone di Palermo. “Pisciotta rivelò al giudice Pietro
Scaglione che Giuliano era stato “battezzato secondo i riti della mafia”. –
racconta lo storico -. La tesi è stata poi confermata, anni dopo, anche da
Tommaso Buscetta”. Nel 1989 anche Francesco Marino Mannoia rivelò al giudice
Giovanni Falcone che il bandito era un uomo d’onore. Versione confermata da un
altro collaboratore di giustizia: Giovanni Mazzola, figlio di Giuseppe, boss di
Montelepre e vicino alla banda Giuliano. A parlare del noto bandito come di un
mafioso fu nel 1992 pure Gaspare Mutolo, che a proposito della Strage di Portella,
raccontò: «L'azione era stata realizzata da Giuliano Salvatore e dalla sua
banda. A questo proposito, appresi che il Giuliano era un uomo d'onore». Tante
conferme dunque per una tesi che aggrava ulteriormente la caratura criminale
del bandito separatista divenuto anche colonnello dell’Evis. Ma Giuliano,
nonostante gli oltre 400 omicidi e le centinaia di sequestri e rapine commesse
con la sua banda, gode ancora in alcuni ambienti di un’aura leggendaria.
Complice forse la narrazione “fantasiosa” fatta nel 1984 dallo scrittore
americano Mario Puzo, nel romando “Il Siciliano”, divenuto tre anni dopo anche
un famoso quanto criticato film.Il “re di Montelepre”, descritto come un improbabile “Robin Hood”, è
diventato così il simbolo della rivolta contro lo Stato. Un uomo che agirebbe
per vendetta sociale e in nome dei poveri. Poveri che però, come nel caso di
Portella della Ginestra, non esitò ad uccidere. E proprio quest’anno si ricorda
il 70° anniversario di quella terribile strage del 1° maggio ’47 in cui
morirono 12 innocenti. Tra cui due bambini. E non fu l’unica volta. Petrotta
cita, tra i tanti delitti, anche l’omicidio di Angela Talluto, una bambina di 1
anno, commesso da Giuliano a Montelepre il 7 settembre del 1945. “Durante
l’attentato al militante socialista Giovanni Spiga – racconta lo storico, non
esitò a sparare su parenti e vicini di casa dell’uomo. Tra cui c’era la piccola
Angela, che morì, ed fratellino Francesco, di 4 anni, che rimase ferito, così
come un altro ragazzino di 11 anni”.Ciononostante sul web e sui social media non mancano pagine apologetiche. Così
l’immagine di un feroce criminale si trasforma in un simbolo “Pop del made in
Sicily”. E la sua foto la puoi trovare nei locali per turisti. E, fino a pochi
anni fa, anche nei corridoi di un assessorato regionale.Leandro Salvia(Giornale di Sicilia, martedì 18 aprile 2017)
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