FLAVIA AMABILE
Un libro, scritto da Pierluigi Basile, Dino Paternostro e Diego Gavini, ricostruisce le stragi in Sicilia (1944-48) in cui morirono quasi quaranta persone
Dovrebbero fare tutti come Antonella
Azoti. All’indomani della strage di Capaci andò come tanti sul luogo della
strage. Ma non le bastò lasciare un fiore o scrivere un biglietto come facevano
tutti. Prese il microfono e urlò: «La mafia non uccide solo adesso, ha ucciso
anche mio padre, Nicolò Azoti, il 21 dicembre 1946, e prima e dopo di lui ha
assassinato tanti altri sindacalisti che lottavano insieme ai contadini per la
libertà e la democrazia in Sicilia». Fu come squarciare un primo velo su
una realtà che nessuno più ricordava, la strage dei sindacalisti agricoli
siciliani sterminati dalla mafia tra il 1944 e il 1948. Se la vita di Placido
Rizzotto è stata raccontata al cinema e in tv, tutti gli altri sono stati
rimossi. Sono quaranta-cinquanta persone uccise. Non si sa con precisione
nemmeno il numero, figurarsi il resto. Per la prima volta un libro prova a
ricostruire quello che accadde. Si intitola La strage ignorata ed è stato realizzato dalla Fondazione
Argentina Altobelli e dalla Fondazione di studi storici Filippo Turati.
Siamo nel pieno della Seconda guerra
mondiale quando inizia questa pagina di storia che in pochi conoscono. La
Sicilia viene liberata nell’estate del 1943, nel resto d’Italia si combatte, stanno
per essere compiute le stragi più efferate, Marzabotto, Civitella in Chianti,
le Fosse Ardeatine a Roma. Ma c’è anche un governo che prova a dare il via alle
prime riforme come la legge Gullo che riconosce ai contadini riuniti in
cooperative il diritto di ottenere in concessione le terre incolte e mal
coltivate degli agrari. Per i contadini dovrebbe essere il momento della
riscossa, in realtà inizia una dura stagione di lotte che in Sicilia acquista
un carattere particolare. Come sottolinea Michelangelo Ingrassia, coordinatore
del Comitato Scientifico della Fondazione Altobelli, nell’isola i nemici sono
due, «il padronato agrario che negava i diritti sociali» e «la mafia che negava
i diritti individuali».
Le terre siciliane sono ancora nelle
mani dei grandi proprietari. «Nel 1946 – racconta il giornalista Dino
Paternostro – la proprietà che superava i 50 ettari era pari al 39,3% della
superficie agraria siciliana, mentre appena 282 proprietari possedevano il
10,6% della superficie agraria dell’isola. Secondo i dati del censimento del
1936, i 4/5 della popolazione addetta all’agricoltura non possedevano neanche
un pezzo di terra o ne possedevano talmente poca da potersi considerare poveri.
I contadini, quindi, incoraggiati dal nuovo quadro legislativo, cominciarono ad
associarsi in cooperative e a presentare le domande di concessione per i feudi
incolti o mal coltivati. Le loro richieste, però, rimasero inevase per mesi e
mesi sui tavoli delle Commissioni provinciali che avrebbero dovuto esaminarle.
Fu per protestare contro questi ritardi che decisero di occupare simbolicamente
le terre».
A organizzare le lotte sono i partiti
democratici e i sindacati, da poco ricostituiti dopo il fascismo. La strage dei
sindacalisti inizia il 5 agosto 1944 con l’assassinio di Andrea Raja,
comunista, componente di una commissione di controllo dei granai del popolo.
Provano a descriverlo come un poco di buono, donnaiolo e spesso «alticcio», ma
lo stesso maresciallo della stazione dei carabinieri di Casteldaccia, dove
avviene l’omicidio, finisce per ammettere che il motivo va cercato nella sua
attività sindacale. Nessuno pagherà per la morte di Raja e la questione viene
messa presto a tacere.
L’ultimo morto di mafia raccontato nel
libro è Calogero Cangialosi, ucciso l’1 aprile 1948 a Camporeale in provincia
di Trapani. Segretario della Camera del Lavoro, 41 anni e quattro figli, viene
trucidato da decine di colpi sparati a pochi metri da casa. Tra depistaggi,
indagini svogliate, insabbiamenti, assoluta impunità, si va avanti così,
omicidio dopo omicidio, per cinque anni. A morire sono sindaci, farmacisti,
contadini, politici. In pochi hanno un funerale perché agli ammazzati, per
giunta comunisti, in quegli anni deve bastare un po’ di acqua benedetta lungo
la strada per il cimitero. «Fu una vera e propria guerriglia contro i
lavoratori, nel cui corso caddero a decine non solo gli attivisti e i dirigenti
sindacali, ma quegli elementi che, in qualche modo, solidarizzavano con la
lotta popolare contro il feudo», scrive la Cgil siciliana in un documento
presentato alla prima commissione Antimafia nell’ottobre 1963. Parole che
cadono nel vuoto. E ora che finalmente si prova a restituire la dignità della
storia ai morti di quegli anni, almeno si sa che non è stata una battaglia
combattuta invano: 500 mila ettari di terreno passarono di mano, i latifondi
scomparvero. Le ingiustizie, la mafia, l’omertà e l’indifferenza, no.
Flavia Amabile
La Stampa, 26/09/2014
LA SCHEDA
1944: nella Sicilia occupata dagli alleati, era entrata in vigore la legge Gullo (comunista, ministro dell’agricoltura del governo Badoglio), che riconosceva ai contadini riuniti in cooperative il diritto di ottenere in concessione le terre incolte o mal coltivate degli agrari. Quasi una rivoluzione, in un territorio in cui, secondo il censimento del 1936, i quattro quinti degli addetti all’agricoltura non possedevano neanche un pezzo di terra o ne possedevano talmente poca da potersi considerare poveri.
Le cooperative dei contadini, sostenute dai partiti democratici e dai sindacati, da poco ricostituiti, avviarono le procedure per ottenere i fondi incolti o mal coltivati, ma le loro richieste rimasero per mesi sui tavoli delle Commissioni provinciali preposte ad esaminarle.
I nemici? il padronato agrario, che negava i diritti sociali, e la mafia, che negava i diritti individuali.
Nell’estate del 1944 cade il primo sindacalista, Andrea Roia, componente di una commissione di controllo dei granai del popolo : viene assassinato a Casteldaccia il 6 agosto 1944.
Fra il 1944 ed il 1948 i sindacalisti uccisi sono più di quaranta.
Fra il 1944 ed il 1948 i sindacalisti uccisi sono più di quaranta.
Il libro La strage ignorata cerca di ricostruire quanto accadde fra il 1944 ed il 1948; l’ultima vittima su cui si sofferma è Calogero Congialosi, segretario della Camera del Lavoro di Camporeale, ucciso il primo aprile 1948.
Va ricordato che negli anni presi in esame, grazie anche alla lotta dei sindacalisti, 500 mila ettari di terreno passarono di mano e i latifondi scomparvero.
- Pierluigi Basile, Dino Paternostro, Diego Gavini: Una strage ignorata. Sindacalisti agricoli uccisi dalla mafia in Sicilia 1944-1948.
- Fondazione Argentina Altobelli, Fondazione di studi storici Filippo Turati / Ed. Agra, 2014
Placido Rizzotto : il segretario della Camera del Lavoro di Corleone ucciso a 34 anni
Placido Rizzotto, nato a Corleone nel 1914, aveva combattuto in Carnia; dopo l’8 settembre si era unito ai partigiani della brigata Garibaldi come socialista. Tornò in Sicilia a guerra finita.
Si iscrisse al P.S.I. ed avviò una capillare azione di sostegno ai Decreti Gullo, conducendo la sua lotta come segretario della Camera del Lavoro di Corleone.
Si iscrisse al P.S.I. ed avviò una capillare azione di sostegno ai Decreti Gullo, conducendo la sua lotta come segretario della Camera del Lavoro di Corleone.
Uno dei terreni assegnato alle cooperative era di proprietà di Luciano Leggio, detto Liggio, all’epoca giovane mafioso di Corleone (diventerà poi uno dei più sanguinosi capi della mafia), che Rizzotto umiliò pubblicamente, appendendolo all’inferriata della villa comunale, durante una rissa scoppiata tra ex partigiani e uomini del boss Michele Navarra, a cui Liggio era affiliato.
Un anno dopo, il 10 marzo 1948, Rizzotto, che non si era fatto intimorire dalle minacce ricevute e aveva continuato la lotta per la concessione delle terre, venne rapito e ucciso a Corleone, dopo essere stato attirato in un’imboscata.
Le indagini, condotte dall’allora capitano dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, portarono all’arresto di Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che confessarono di aver rapito Rizzotto insieme a Luciano Liggio.
Collura raccontò inoltre che Liggio aveva fatto scomparire il cadavere del sindacalista gettandolo nelle foibe di Rocca Busambra, dove molti anni più tardi, il 7 settembre 2009, sono stati trovati i resti riconosciuti successivamente come quelli di Rizzotto (il Dna è stato confrontato con quello del padre).
Crescione e Collura ritrattarono la confessione durante il processo e furono assolti per insufficienza di prove.
Nel 2000 è uscito il film Placido Rizzotto, diretto da Pasquale Scimeca, che è stato criticato perché non parla della militanza socialista del giovane, presentandolo come comunista.
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