Maria Rita Logiudice il giorno della laurea |
ALESSIA CANDITO
L’accusa del procuratore Cafiero De Raho “Maria Rita isolata dopo aver rivelato chi era”
REGGIO CALABRIA - C’è stato un momento in cui la vita di Maria Rita Logiudice è cambiata. Che
ha trasformato la brillante studentessa universitaria in una donna tanto
disperata da togliersi la vita a soli 24 anni. A condannarla, sarebbe stata la
sincerità che l’avrebbe indotta a confidare ad alcuni colleghi di facoltà di
avere fra i propri parenti gli uomini di uno dei clan che ha scritto parte
della storia della ‘ndrangheta a Reggio Calabria. Di essere la nipote del boss
pentito Nino “Il Nano” e di Luciano, la mente imprenditoriale del clan, ma
soprattutto la figlia di Giovanni, condannato in appello a 16 anni di carcere
per mafia. Dopo quella “confessione” – hanno riferito il fratello e il
fidanzato storico agli inquirenti – Maria Rita avrebbe iniziato ad essere
isolata, emarginata, esclusa. E a soffrire di un cognome vissuto come
un’onta. Ingiusta e insensata per lei, che, nonostante le vicissitudini
giudiziarie del padre, aveva sempre considerato i propri genitori diversi dai
ben più noti parenti, con i quali – ha riferito chi spesso ha raccolto i suoi
sfoghi– avrebbe evitato anche i contatti sui social network.
Un quadro plausibile per il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de
Raho, che sta seguendo da vicino la vicenda. «È un episodio gravissimo che deve
toccare la coscienza di tutti. Siamo tutti responsabili di questa tragedia»,
dice il magistrato. «Abbiamo perso una ragazza che si è fatta strada nella
vita scolastica per la propria onestà, perché non abbiamo avuto la sensibilità di
comprendere che vi sono che ci sono mutamenti a cui tutti devono concorrere. Se
noi perdiamo queste occasioni per recuperare la libertà, l’onestà, l’etica –
sottolinea - non c’è speranza per il futuro».
Non usa mezzi termini il procuratore. Il suicidio di Maria Rita è una
sconfitta collettiva. Per questo sta seguendo personalmente le indagini. Vuole
comprendere i reali motivi che hanno spinto la studentessa a togliersi la
vita, lanciandosi da un balcone. Il telefono della ragazza è stato sequestrato,
da domenica i suoi account social vengono esaminati con attenzione e i
carabinieri ascoltano familiari e amici con cui Maria Rita era a più stretto
contatto. Ora dopo ora però il quadro si ingarbuglia. Per conto della famiglia,
l’avvocato Renato Russo ha chiesto che sul corpo venga eseguita un’autopsia.
«La sera prima del suicidio la madre l’ha vista alterata, per questo teme che
qualcuno abbia potuto drogarla senza che lei se ne rendesse conto» spiega il
legale. «Una richiesta strana, al momento non ancorata ad alcun elemento
concreto» commenta il procuratore. Ma forse – medita – è l’unico modo che ha
una madre per provare a spiegarsi il suicidio della figlia, senza essere
costretta a rinnegare la propria vita.
Toccherà al tossicologico dare risposte chiare, mentre le testimonianze che
arrivano dall’università complicano il quadro. «Per quello che ho potuto
vedere, non c’è stata alcuna forma di emarginazione nei confronti della
ragazza», dice il professore Massimiliano Ferrara. Ha seguito Maria Rita nei
primi mesi della specialistica e – dice - «la ricordo benissimo, era
sempre al primo banco, sempre presente, attenta, propositiva». Non sapeva delle
parentele ingombranti della ragazza, «e non mi sarebbe importato, ma ascoltando
gli studenti oggi mi sono reso conto che loro invece ne erano a conoscenza.
Però non mi sembra che la cosa abbia mai pesato». Fra i cinquanta ragazzi che
frequentano le lezioni – sottolinea – Maria Rita si era fatta notare, «per la
capacità di lavorare in gruppo. Da noi gli esami si fanno anche presentando
lavori collettivi e lei non ha mai avuto problemi». Eppure domenica ha deciso
di dire basta. I suoi colleghi, per salutarla, hanno preso in prestito i versi
di Emily Dickinson: «non poteva vivere del passato, il presente non la riconosceva
e così alla fine cercò questa dolcezza e gentilmente la prese la natura».
La Repubblica, 5 aprile 2017
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