SALVO PALAZZOLO
L’autista che era con Falcone il giorno della strage racconta in un libro
il suo dramma: “Dopo mi misero a fare fotocopie”
PALERMO - «Al risveglio, dopo l’esplosione, pensavo di aver vissuto il giorno più
brutto della mia vita, il 23 maggio 1992». Giuseppe Costanza, l’autista del
giudice Giovanni Falcone scampato alla strage di Capaci, scuote la testa. «No,
mi sbagliavo. Non era quello il giorno più brutto della mia vita. Restare in
vita è stato peggio. Quasi una disgrazia, una condanna. Perché dopo un anno di
visite e ospedali, al lavoro non sapevano cosa farsene di me».
L’uomo sopravvissuto al tritolo della mafia è rimasto schiacciato per anni
dalla burocrazia del ministero della Giustizia. «Mi misero a fare fotocopie»,
racconta. «Rinchiuso in fondo a un corridoio del palazzo di giustizia di
Palermo, dentro un box. Era mortificante dopo otto anni passati in prima linea
sempre accanto al giudice Falcone. Mi sentivo rinchiuso in una gabbia, per di
più costretto a sopportare il mobbing di un capo ufficio a cui era chiaro che
non andavo a genio ». In quei giorni, a Giuseppe Costanza non importava per
niente di aver ricevuto una medaglia d’oro al valor civile. Lui voleva solo
lavorare. «Non certo come autista — dice — non potevo più farlo, volevo essere
assegnato in un ufficio in cui la mia esperienza potesse essere utile. Ad
esempio, avrei potuto coordinare il parco auto del tribunale». Ma gli
dissero che era necessaria una qualifica più alta per quel lavoro. E gli
spiegarono con pignola precisione burocratica che la promozione per meriti di
servizio è prevista solo per il personale militare. «E che cosa ero stato io se
non un militare? — sbotta — nell’auto blindata di Giovanni Falcone c’era una
radio collegata con la sala operativa della questura, accanto a me c’era il
giudice. E alla cintola portavo sempre una pistola con il colpo in canna».
Venticinque anni dopo la strage di Capaci, l’uomo sopravvissuto a
trecento chili di tritolo ha deciso di scrivere un libro per raccontare la sua
odissea, prima nei gironi infernali accanto al suo giudice, poi, da solo, negli
altri gironi terribili, quelli di una pubblica amministrazione ottusa. “Stato
di abbandono”, si intitola il commuovente libro di Giuseppe Costanza (scritto
assieme a Riccardo Tessarini, edizioni Minerva). La storia di un uomo semplice,
che pensava di avere già vinto la sua battaglia con la vita, e poi invece
scoprì che aveva ancora un altro nemico da sconfiggere. Un esercito di piccoli
burocrati. «Dopo anni di lettere, proteste, piccole vittorie e ancora
altre umiliazioni, nel 2004 sono stato dispensato dal servizio», sussurra
Costanza, come fosse una sconfitta, che lui continua a non accettare. «Pensavo
di poter dare ancora tanto alle istituzioni, pensavo di poter dare un
contributo importante nell’organizzazione di un servizio delicato come quello
dell’autoparco del tribunale di Palermo, impegnato a stretto contatto con i
servizi di scorta. Ma, evidentemente, mi sbagliavo. Mi hanno rottamato».
Ora Giuseppe Costanza va in giro per le scuole di tutta Italia per
parlare del suo giudice e degli anni difficili a Palermo. «C’eravamo sentiti
telefonicamente la mattina di quel 23 maggio, per organizzare l’arrivo a Punta
Raisi. Alle 17,45 sono all’aeroporto assieme alla scorta. Il giudice ha due
borse nelle mani. “Strano”, penso. “Non ha il suo computer”. Lo portava sempre
con sé, lo riempiva di annotazioni. Eppure, l’hanno trovato vuoto, ma questo
l’ho saputo molto tempo dopo». È uno dei misteri del 23 maggio, il computer
portatile era rimasto nell’ufficio di Falcone, al ministero della Giustizia.
«Quel pomeriggio — ricorda Costanza — Falcone è alla guida, accanto c’è la
moglie, Francesca Morvillo. Io sono dietro. Gli dico: “Ecco il resto che le
dovevo”. Mi aveva chiesto di comprare un cric. Mi guarda, sorride: “Aveva un
pensiero — dice — non poteva aspettare più”». Era sereno, Giovanni Falcone, nel
suo ultimo viaggio verso Palermo. «La settimana prima mi aveva detto: “È fatta,
sarò il nuovo procuratore nazionale antimafia”. Quel pomeriggio doveva
incontrare alcuni suoi colleghi, ma non gli hanno dato il tempo. E ancora mi
chiedo chi l’abbia voluto fermare». Presto, l’auto dell’ultimo viaggio di
Falcone tornerà a Palermo. «Verrà sistemata fra i due palazzi di giustizia —
spiega Costanza — non possiamo dimenticare».
La Repubblica, 10 aprile 2017
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