domenica, aprile 09, 2017

Corleone, abbiamo ricordato Pino Governali...

Il prof. Giuseppe Governali
La sera dello scorso 7 aprile, dopo la messa, i familiari e alcuni amici ci siamo riuniti nella biblioteca "Sorelle Patti" e abbiamo ricordato Pino Governali, leggendo alcuni suoi scritti. Io ho letto la sua lettera aperta all'arcivescovo di Monreale, mons. Salvatore Cassisa, pubblicata su "Corleonese-Notizie" del 1990, quando aveva "licenziato" il frate benedettino padre Angelo dal Santuario di Tagliavia; Maria Di Carlo ha letto un'intervista da lei fatta a Pino nel 1995 su "Narcomafie". Sono intervenuti anche Maria Billeri, Enzo Grizzaffi ed altri amici. Pubblichiamo l'intervento introduttivo alla riunione di Leo Sciortino, che la trattato "la religiosità nella cultura contadina attraverso lo studio dei proverbi e dei componimenti dialettali" in Pino Governali.
di LEOLUCA SCIORTINO
Premessa: Il testo seguente tratta della religiosità nella società contadina  attraverso lo studio dei proverbi e dei componimenti dialettali condotto da Pino Governali. L’argomento viene sviluppato utilizzando brani desunti dai suoi scritti e legati da brevi osservazioni e riflessioni.

“Non sono un nostalgico cantore del “buon tempo antico”, - scrive Pino in Reperti di una cultura rimossa” nel n. 6 dei Quaderni Eleusini- né ho mai rivestito d’idillio la fatica del contadino che, in piedi già prima dell’alba per la pulitura della stalla, s’avviava ai campi sul mulo carico di concime. Eppure custodisco in me, religiosamente, quasi testamento d’una civiltà già morta o morente, il ricordo dell’aia e della battitura del grano, del pane fatto in casa e delle magre cene di fredde sere invernali. E con l’odore buono del pane, la miseria, gli stenti, le paure, l’ignoranza….
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Espressione del mondo sommariamente sopra rievocato, la cultura popolare, il dialetto e tutto quello che il dialetto rappresentava sono stati, anche dalle nostre parti, in maniera forse un po' troppo affrettata e inconsulta, rimossi. E a tale rimozione hanno insieme contribuito non tanto la scuola, quanto le grandi scelte politiche del dopo guerra che, legando allo sviluppo industriale il destino della nostra economia hanno finito con l’attribuire all’agricoltura il ruolo di attività del terzo mondo. La televisione, la pubblicità, l’imporsi di nuovi modelli di comportamento, la fuga dalla campagna, l’emigrazione hanno poi fatto il resto. Risultato: la perdita di ogni identità culturale per quella massa di gente che fuggendo dalla campagna ha vanamente tentato di trapiantarsi in città.
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Raccogliere e custodire quanto del passato rimane e lambisce ancora con qualche segno il presente può e deve voler significare riprendere un colloquio bruscamente interrotto, ascoltare, vedere, riappropriarsi di antiche e sopite speranze. La speranza di finalizzare all’uomo la nuova tecnologia dell’era post-industriale, il bisogno di ristabilire un nuovo vitale equilibrio tra uomo e ambiente.”
E questo Pino lo fa analizzando con lo sguardo appassionato di chi vive con tutto se stesso, con la mente e col cuore, “sia l’accondiscendenza, il silenzio, l’omertà” insite nella cultura popolare tramandata nei proverbi, sia le espressioni di una morale positiva e prepositiva che pure emergono, cominciando dal lavoro, che comporta sì sacrifici “ma che è un diritto dovere nel quale risiede la dignità stessa dell’uomo”. Perché lavorare e utilizzare al meglio il proprio tempo sono i primi doveri morali oltre che civili dell’uomo.
“E col lavoro è di frequente esaltato il coraggio della verità, una verità che spesso procura nemici ma è un dovere morale.”
Ricerca della verità sempre e comunque, dovere morale oltre che civico, accompagnata dai valori di  solidarietà e amicizia da cui emerge, accanto alla necessità di riannodare il rapporto con la più autentica cultura popolare, il sostrato religioso che l’accompagna, richiamato già all’inizio di questa presentazione, sostrato religioso inteso nel senso del dialogo intimo, segreto, autentico dell’uomo con Dio, che trova nella verità, nella giustizia, nel sacrificio, nella lotta per la riaffermazione della dignità umana, un fertile terreno di crescita e di sviluppo.
Emerge quel cattolicesimo popolare di cui parla Ernesto Galli della Loggia nel testo “Identità Popolare”, “fatto di immediatezza e devozione, di pietà per la condizione umana che è diventato in qualche modo parte costitutiva dell’antropologia italiana”.
Ma oltre che sulla ricerca della verità e sull’analisi antropologica, il discorso di Pino si concentra anche sull’analisi del sacro nella cultura popolare, nella sua dimensione esistenziale, sacro inteso come “bisogno di riportare all’unità l’episodicità dell’esistenza e di dare a questa un significato che andasse al di là della contingenza”, riscoprendo in tal modo il valore più profondo della religione intesa nel suo significato etimologico di legare insieme, unire.
Capacità che l’uomo moderno ha perduto.
L’analisi che Pino fa di questa perdita ci porta gradualmente alle origini del significato più profondo delle religioni.
“Gli antichi greci - scrive - conoscevano e usavano due verbi dal significato contrapposto. Sunbàllein (da cui sumbolon =simbolo) che significa mettere insieme e diaballein”, (da cui il latino diabolus), che significa separare.
“L’uomo economico e tecnologico, - leggiamo ancora più oltre -, ha preferito fondare il suo progresso sul separare (diaballein), piuttosto che sul pensiero simbolico unificante, rinunziando di fatto a quella “dimensione ulteriore” alla ragione che è parte integrante del nostro essere uomini. Solo il simbolo infatti dà parola e consistenza a ciò che sta oltre la ragione (la poesia, l’arte, la religione, la musica) e solo il simbolo può scandagliare il lato oscuro e misterioso della sua anima.
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Travolto dall’effimero e dal particolare l’uomo delle cosiddette società evolute pare avere smarrito il senso della sua interrelazione coi fatti grandiosi della natura e perduto anche il senso della sua identità.
Quel che è venuto meno è il senso religioso della vita, la capacità di legare insieme l’infinitamente piccolo con l’infinitamente grande, il filo d’erba con la vita universale del tutto.
Nella dispersione l’uomo tecnologico ha smarrito o abbandonato il senso della sua finitudine.  
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Anche Dio è stato strappato dalla coscienza del popolo per risorgere nei nuovi miti della tecnica, del benessere, del successo.”
Risulta adesso chiaro quell’invito che Pino ci ha rivolto all’inizio di questo breve excursus, a non considerare la sua analisi un ritorno nostalgico al passato ma di interpretare il suo lavoro nell’ottica di una ricerca dei valori fondanti che stavano alla base della cultura contadina ma che possono assumere un valore universale.
Questi valori che in estrema sintesi possono essere individuati nella ricerca dell’Unità, della Verità e della giustizia e che dobbiamo cercare di riconquistare se vogliamo dare ancora un senso alla vita dell’uomo contemporaneo.
Per chiudere con le sue parole “Non si tratta di suscitare fantasmi, né di conservare un passato che sa anche di miseria e ignoranza, si tratta di ipotizzare vie che rendano ancora possibile la coesistenza di natura e storia e la riconquista di un confronto con l’universale che offra un antidoto alla dispersione che è alla base del disagio odierno”.
Questo è il messaggio di speranza che ci viene oggi offerto dai suoi lavori e di cui gli siamo grati.

Testi da cui sono tratti i brani riportati:
Giuseppe governali, “Reperti di una cultura rimossa” in Quaderni Eleusini n. 6. Ed. Eleusi;
Giuseppe Governali, “Come in cielo, così in terra” Ed. Eleusi.

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