Il prof. Giuseppe Governali |
La sera dello scorso 7 aprile, dopo la messa, i familiari e alcuni amici ci siamo riuniti nella biblioteca "Sorelle Patti" e abbiamo ricordato Pino Governali, leggendo alcuni suoi scritti. Io ho letto la sua lettera aperta all'arcivescovo di Monreale, mons. Salvatore Cassisa, pubblicata su "Corleonese-Notizie" del 1990, quando aveva "licenziato" il frate benedettino padre Angelo dal Santuario di Tagliavia; Maria Di Carlo ha letto un'intervista da lei fatta a Pino nel 1995 su "Narcomafie". Sono intervenuti anche Maria Billeri, Enzo Grizzaffi ed altri amici. Pubblichiamo l'intervento introduttivo alla riunione di Leo Sciortino, che la trattato "la religiosità nella cultura contadina
attraverso lo studio dei proverbi e dei componimenti dialettali" in Pino Governali.
di LEOLUCA SCIORTINO
Premessa: Il testo seguente tratta della
religiosità nella società contadina attraverso
lo studio dei proverbi e dei componimenti dialettali condotto da Pino Governali.
L’argomento viene sviluppato utilizzando brani desunti dai suoi scritti e
legati da brevi osservazioni e riflessioni.
“Non sono un nostalgico cantore del “buon tempo
antico”, - scrive Pino in Reperti di una cultura rimossa” nel n. 6 dei Quaderni
Eleusini- né ho mai rivestito d’idillio la fatica del contadino che, in piedi
già prima dell’alba per la pulitura della stalla, s’avviava ai campi sul mulo
carico di concime. Eppure custodisco in me, religiosamente, quasi testamento
d’una civiltà già morta o morente, il ricordo dell’aia e della battitura del
grano, del pane fatto in casa e delle magre cene di fredde sere invernali. E
con l’odore buono del pane, la miseria, gli stenti, le paure, l’ignoranza….
…..
Espressione del mondo sommariamente sopra
rievocato, la cultura popolare, il dialetto e tutto quello che il dialetto rappresentava
sono stati, anche dalle nostre parti, in maniera forse un po' troppo affrettata
e inconsulta, rimossi. E a tale rimozione hanno insieme contribuito non tanto
la scuola, quanto le grandi scelte politiche del dopo guerra che, legando allo
sviluppo industriale il destino della nostra economia hanno finito con
l’attribuire all’agricoltura il ruolo di attività del terzo mondo. La
televisione, la pubblicità, l’imporsi di nuovi modelli di comportamento, la
fuga dalla campagna, l’emigrazione hanno poi fatto il resto. Risultato: la
perdita di ogni identità culturale per quella massa di gente che fuggendo dalla
campagna ha vanamente tentato di trapiantarsi in città.
…..
Raccogliere e custodire quanto del passato
rimane e lambisce ancora con qualche segno il presente può e deve voler
significare riprendere un colloquio bruscamente interrotto, ascoltare, vedere,
riappropriarsi di antiche e sopite speranze. La speranza di finalizzare
all’uomo la nuova tecnologia dell’era post-industriale, il bisogno di
ristabilire un nuovo vitale equilibrio tra uomo e ambiente.”
E questo Pino lo fa analizzando con lo sguardo
appassionato di chi vive con tutto se stesso, con la mente e col cuore, “sia
l’accondiscendenza, il silenzio, l’omertà” insite nella cultura popolare
tramandata nei proverbi, sia le espressioni di una morale positiva e
prepositiva che pure emergono, cominciando dal lavoro, che comporta sì
sacrifici “ma che è un diritto dovere nel quale risiede la dignità stessa
dell’uomo”. Perché lavorare e utilizzare al meglio il proprio tempo sono i
primi doveri morali oltre che civili dell’uomo.
“E col lavoro è di frequente esaltato il
coraggio della verità, una verità che spesso procura nemici ma è un dovere
morale.”
Ricerca della verità sempre e comunque, dovere
morale oltre che civico, accompagnata dai valori di solidarietà e amicizia da cui emerge, accanto
alla necessità di riannodare il rapporto con la più autentica cultura popolare,
il sostrato religioso che l’accompagna, richiamato già all’inizio di questa
presentazione, sostrato religioso inteso nel senso del dialogo intimo, segreto,
autentico dell’uomo con Dio, che trova nella verità, nella giustizia, nel
sacrificio, nella lotta per la riaffermazione della dignità umana, un fertile
terreno di crescita e di sviluppo.
Emerge quel cattolicesimo popolare di cui parla
Ernesto Galli della Loggia nel testo “Identità Popolare”, “fatto di
immediatezza e devozione, di pietà per la condizione umana che è diventato in
qualche modo parte costitutiva dell’antropologia italiana”.
Ma oltre che sulla ricerca della verità e sull’analisi
antropologica, il discorso di Pino si concentra anche sull’analisi del sacro
nella cultura popolare, nella sua dimensione esistenziale, sacro inteso come “bisogno
di riportare all’unità l’episodicità dell’esistenza e di dare a questa un
significato che andasse al di là della contingenza”, riscoprendo in tal modo il
valore più profondo della religione intesa nel suo significato etimologico di
legare insieme, unire.
Capacità che l’uomo moderno ha perduto.
L’analisi che Pino fa di questa perdita ci
porta gradualmente alle origini del significato più profondo delle religioni.
“Gli antichi greci - scrive - conoscevano e
usavano due verbi dal significato contrapposto. Sunbàllein (da cui sumbolon =simbolo)
che significa mettere insieme e diaballein”, (da cui il latino diabolus), che
significa separare.
“L’uomo economico e tecnologico, - leggiamo
ancora più oltre -, ha preferito fondare il suo progresso sul separare
(diaballein), piuttosto che sul pensiero simbolico unificante, rinunziando di
fatto a quella “dimensione ulteriore” alla ragione che è parte integrante del
nostro essere uomini. Solo il simbolo infatti dà parola e consistenza a ciò che
sta oltre la ragione (la poesia, l’arte, la religione, la musica) e solo il
simbolo può scandagliare il lato oscuro e misterioso della sua anima.
…..
Travolto dall’effimero e dal particolare l’uomo
delle cosiddette società evolute pare avere smarrito il senso della sua
interrelazione coi fatti grandiosi della natura e perduto anche il senso della
sua identità.
Quel che è venuto meno è il senso religioso
della vita, la capacità di legare insieme l’infinitamente piccolo con
l’infinitamente grande, il filo d’erba con la vita universale del tutto.
Nella dispersione l’uomo tecnologico ha
smarrito o abbandonato il senso della sua finitudine.
…..
Anche Dio è stato strappato dalla coscienza del
popolo per risorgere nei nuovi miti della tecnica, del benessere, del successo.”
Risulta adesso chiaro quell’invito che Pino ci
ha rivolto all’inizio di questo breve excursus, a non considerare la sua analisi
un ritorno nostalgico al passato ma di interpretare il suo lavoro nell’ottica
di una ricerca dei valori fondanti che stavano alla base della cultura
contadina ma che possono assumere un valore universale.
Questi valori che in estrema sintesi possono
essere individuati nella ricerca dell’Unità, della Verità e della giustizia e
che dobbiamo cercare di riconquistare se vogliamo dare ancora un senso alla
vita dell’uomo contemporaneo.
Per chiudere con le sue parole “Non si tratta
di suscitare fantasmi, né di conservare un passato che sa anche di miseria e ignoranza,
si tratta di ipotizzare vie che rendano ancora possibile la coesistenza di
natura e storia e la riconquista di un confronto con l’universale che offra un
antidoto alla dispersione che è alla base del disagio odierno”.
Questo è il messaggio di speranza che ci viene
oggi offerto dai suoi lavori e di cui gli siamo grati.
Testi da cui sono tratti i brani riportati:
Giuseppe governali, “Reperti di una cultura
rimossa” in Quaderni Eleusini n. 6. Ed. Eleusi;
Giuseppe Governali, “Come in cielo, così in
terra” Ed. Eleusi.
Nessun commento:
Posta un commento