Manifestazione contro il governo Andreotti |
ELEONORA LOMBARDO
L’assemblea
di Lettere che sfociò nella prima occupazione, il concerto di Bennato e gli
Indiani: la città col pugno chiuso
Università
pubblica, democrazia e lavoro, queste erano le richieste fatte a gran voce in
corteo da studenti e lavoratori in un clima di deflagrazione dei partiti e di
precariato assillante. Non è cronaca recente, ma di quaranta anni fa, del febbraio
del 1977, l’anno che proprio a Palermo battezzò, durante un assemblea alla
facoltà di Lettere, il Movimento del ‘77, il più creativo che la città ricordi.
Sebbene i fatti più eclatanti accaddero da Roma in su, in effetti nel ‘77 in
Sicilia la situazione era complessa e gli studenti analizzavano con attenzione
la gravità del clima socio-politico. L’Ateneo palermitano, grande azienda
pubblica con 5000 dipendenti quasi tutti precari, è il primo a recepire la
circolare Malfatti che tra le altre cose vieta agli studenti di dare più esami
nella stessa sessione. Lettere e Filosofia, che già aveva vietano ai sindacati
di parlare in facoltà, non ci sta e occupa. E da qui a seguire tutte le altre
facoltà della città e poi gli atenei nel resto d’Italia.
Al governo
nazionale c’è Andreotti, qualche mese prima Enrico Berlinguer, segretario del
Pci, in virtù di una «proficua collaborazione con il governo», aveva stretto la
mano di Aldo Moro, presidente Dc, e siglato il famigerato compromesso storico.
Da questa scelta del partito comunista erano scaturite una costellazione di
sigle della cosiddetta sinistra extraparlamentare, che contestando fortemente
il partito si intestavano la rivoluzione pura: Pdup (Partito di unità
proletaria), Mls (Movimento lavoratori per il socialismo), Praxis (collettivo
dell’omonima rivista), Dp (Democrazia proletaria), Pcmli (Partito comunista
marxista leninista d’Italia), Gcr (Gruppi comunisti rivoluzionari) perfino gli
IM(indiani metropolitani) e Ao (Avanguardia operaia), Aut.Op. (Autonomia
operaia): un’esplosione di suoni da far impallidire Rino Gaetano.
Tra i
giovani, a mediare tra ardore rivoluzionario e la linea del Pci, c’è la
Federazione dei giovani comunisti italiani (Fgci).
In Sicilia
parlare di Dc era davvero difficile, voleva dire ancora Vito Ciancimino,
allora responsabile degli enti locali, e Salvo Lima, mentre il sindaco era il
democristiano Carmelo Scoma.
«Nonostante
le divisioni ideologiche di tattica e strategia politica, a Palermo sul fronte
del ‘’privato’’ c’era maggiore sintonia fra i giovani comunisti ortodossi,
seguaci del partito, e i gruppi extraparlamentari - racconta Mario
Azzolini, allora segretario della Fgci - Mentre il partito discuteva e trattava
intese con i democristiani, i giovani della Fgci si fidanzavano con i
‘’gruppettari e le gruppettare’’».
In un clima
nazionale che si surriscaldava e si preparava alla lotta armata, Palermo viveva
un fermento culturale e critico dovuto soprattutto all’azione della cosiddetta
“ala creativa” della sinistra, agli Indiani metropolitani, e al movimento
femminista.
Racconta
Giuseppe Barbera, ex militante di Lotta Continua che, scioltasi nel ‘76
continuava a esistere come giornale: «Io credo che a Palermo il movimento si
caratterizzò perché fu meno violento che nel resto d’Italia. Era il periodo del
circolo La Base, con attività culturali intense o della libreria “Cento Fiori”
gestita da me e Umberto Santino. La vera ondata violenta in città fu la strage
dell’eroina che si portò via le menti migliori della nostra generazione». La
famosa assemblea della facoltà di Lettere che sancì l’inizio dell’occupazione
viene ricordata dal professore Salvatore Nicosia, in quell’anno già docente di
Letteratura greca, come la più naif della storia: «Ricordo l’aplomb di Giusto
Monaco, allora preside, nel dare la parola al “compagno indiano”.
Gli Indiani
metropolitani arrivarono in aula davvero vestiti da indiani, ma avevano
difficoltà a esprimere le loro istanze. Era una situazione emblematica del
disorientamento di quel periodo, della fine delle certezze e dell’inizio del
dubbio. Qualcuno tentava di politicizzare, cosa che riuscì in altre città. A
Roma, alla Sapienza Lama venne cacciato, ma a Palermo tutto ebbe toni più
sfumati. Ogni discorso era tempestato da una serie infinita di “cioè” che non
portavano a nulla, se non ai soliti buoni propositi dei professori».
Anche
Giovanna Fiume, oggi ordinario di Storia moderna, allora contrattista precaria,
ricorda quell’assemblea: «In pentola bollivano tante cose, il momento storico
era cruciale. Soprattutto nelle fabbriche del nord Italia l’accelerazione della
componente della lotta armata chiudeva molti spazi di azione politica e gli
sforzi dell’ala creativa andavano nel senso del rifiuto della violenza.
All’Università noi formammo il collettivo femminista “Le Comunarde”, con
l’obiettivo di capire come sciogliere l’intreccio tra capitalismo e
patriarcato, rivoluzione e liberazione. Studiavamo l’esperienza del Movimento
di liberazione delle donne inglesi che poneva già il problema del lesbismo,
della razza, delle diseguaglianze e criticava il sistema educativo e quanto
serviva alla costruzione sociale dell’essere donne».
Eppure se
durante quella prima assemblea il clima era disteso e lasciava il tempo per
apprezzare la creatività degli Indiani metropolitani, quelle che seguirono tra
la facoltà di Scienze politiche e quella di Giurisprudenza ebbero toni più
infuocati, e dai temi strettamente inerenti scuola e università si passò al
confronto ideologico, fino a saldare la protesta con il movimento operaio.
Il 15
febbraio ci fu un corteo che attraversò l’intera città, sugli striscioni, nelle
più educata delle formule, campeggiava la scritta “Pci=Nuova Polizia” e AO
e Aut. Op. venivano considerati i bracci del partito contro il movimento.
Durante gli scontri Azzolini viene colpito alla testa.
Qualche
settimana dopo una contestazione sul prezzo del biglietto al Teatro Biondo per
un concerto di Edoardo Bennato, provoca talmente tanto scompiglio che la
polizia spara e ci sono degli arresti. Bennato promette un concerto
all’Università, anche quello finito male come ricorda Barbera: «Eravamo
nell’atrio di Giurisprudenza, c’era una ressa incredibile e il povero
Bennato al secondo pezzo venne fischiato. Mi pare dovette intervenire il
servizio d’ordine del movimento per portarlo via».
Qualche
colpo sparato in aria, contusioni e colpi di spranga, ma a Palermo non ci
furono morti come accadde a Bologna. Sebbene un certo clima di terrore per
strada cominciava a farsi largo, la paura erano i picchiatori fascisti, per
tutte le frange del movimento era vietato passare davanti all’Extra bar di
piazza Politeama.
Lo ricorda
bene Umberto Cantone, allora studente liceale del Meli, e anima di Radio Sud,
una delle radio libere della città.
Difficile
fare un bilancio di quello che resta di quell’esperienza. Commenta Azzolini: «I
giovani che erano in strada allora sono stati in qualche modo la meglio
gioventù palermitana. Ma dal 1978 in poi si dovette fare i conti con la
frammentazione in tante tribù senza più unità. Ne uscimmo sconfitti tutti. Di
quel periodo rimpiango la spinta ideale, la passione per la politica e non come
scorciatoia per conquistare potere».
La Repubblica Palermo, 4 marzo 2017
Nessun commento:
Posta un commento