L'intervento del presidente Mattarella a Locri |
di ALESSIA CANDITO
Il capo dello Stato partecipa all’iniziativa organizzata
dall’associazione Libera e incontra i familiari delle vittime. Don Ciotti:
“Lavoro e scuola antidoti alla peste mafiosa”
LOCRI - Primo
presidente della Repubblica a visitare la Locride dopo Saragat, Sergio
Mattarella sembra aver voluto a tutti i costi dare un segnale di vicinanza a
chi costruisce memoria, impegno e resistenza alle mafie. Associazioni come
Libera, che da oltre vent'anni a marzo, nell'anniversario dell'omicidio di don
Peppe Diana, organizza una giornata nazionale per ricordare chi è stato
strappato alla vita dalla violenza mafiosa.
Gente comune, ma anche uomini delle
istituzioni, come Piersanti Mattarella, fratello del capo dello Stato,
assassinato da Cosa Nostra nel 1980 quando era presidente della Regione
Sicilia.
Forse anche per questo, il presidente ha fatto di tutto per
ritagliarsi una mattinata fra i tanti impegni che precedono il summit della Ue
a Roma, ed essere oggi a Locri, "una terra – dice – così ferita dalla
presenza rapace delle mafie". E dove a chi come lui si è visto strappare
qualcuno dice "tutta l'Italia vi deve solidarietà per il vostro dolore,
rispetto per la vostra dignità, riconoscenza per la vostra compostezza,
sostegno per la vostra richiesta di verità e giustizia. Date la testimonianza
di come la violenza, la morte e la paura non possano piegare il desiderio di
giustizia e di riscatto. Le vostre ferite sono inferte al corpo di tutta la società,
di tutta l'Italia e che il ricordo dei vostri familiari, martiri della mafia,
rappresenta la base su cui costruiamo, giorno dopo giorno, una società più
giusta, più solidale, più integra, più pacifica". Mattarella
parla sotto un tendone allestito sul campo dello stadio di Locri, con davanti
rappresentanti delle istituzioni locali, amministratori, magistrati, giudici,
autorità civili, religiose e militari. Nessuno di loro però oggi non è salito
sul palco. Lì ci sono i familiari delle vittime della ‘ndrangheta e delle altre
mafie. E sono loro, i protagonisti della giornata, insieme ai loro cari e alle
altre vittime che ci si impegna a non dimenticare.
Dopo l'intervento del vescovo di Locri, Francesco Oliva, che al
presidente della Repubblica ha detto "insieme a lei noi diciamo no alla
'ndrangheta, che è una delle cause delle crisi sociali del nostro tempo",
tocca proprio ai familiari delle vittime innocenti delle mafie, rievocarle e
farle rivivere nella lettura dell'interminabile elenco che negli anni Libera si
è impegnata a stilare. Ci vogliono più di 20 minuti per rievocare i 950 uomini,
donne e bambini che nella storia sono morti per mano delle mafie. Uomini delle
istituzioni, giudici, poliziotti, ma anche tanta troppa gente comune, più di
cento bambini. "A loro e a tutte le vittime innocenti di cui non abbiamo
notizia va la nostra memoria e il nostro impegno", dicono.
E chi, come il presidente di Libera don Luigi Ciotti, ha fatto di
quell'impegno una ragione di vita, prende la parola per spiegare il perché di
tanta, storica, dedizione. "La speranza di cambiamento diventa forza
di cambiamento. Questo procedere uniti verso questo obiettivo è urgente oggi.
Per questo è necessario mettere da parte gli egoismi, i protagonismi, per
costruire insieme il bene comune. Sono stati fatti passi avanti, ma ci sono
anche ritardi, timidezze, promesse non mantenute". E ancora – spiega don
Ciotti – troppe ambiguità. "Insieme alle mafie, il male principale del
nostro paese è la corruzione. E questo significa che fra criminalità
organizzata, criminalità politica e criminalità economica è sempre più
difficile distinguere. Ce lo dicono quelle inchieste in cui i magistrati fanno
fatica a individuare una precisa fattispecie di reato nelle norme
esistenti". E se per il presidente di Libera "la nostra Costituzione
è il primo testo antimafia", lavoro, scuola, cultura, i servizi sociali
"restano il primo antidoto alla peste mafiosa, perché tale è, una
peste".
Rivolgendosi ai mafiosi poi, don Ciotti dice "Ma che vita è
la vostra? Papa Francesco ha chiesto ai mafiosi di convertirsi, di abbandonare
il male. Io sono piccolo, piccolo piccolo rispetto alla complessità di quello
che ci circonda. Molti familiari hanno perso i familiari e non hanno avuto
neanche la possibilità di piangere i loro corpi. E allora uomini e donne della
‘ndrangheta vi chiedo almeno di dirci dove sono sepolti, diteci dove sono
sepolti. Questo sussulto di coscienza potrebbe essere l'inizio di un percorso
di vita e non di morte".
Un appello salutato con un lungo applauso, al termine del quale a
prendere la parola è il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Capo di
Stato, ma anche familiare di vittima innocente delle mafie, che ha sperimentato
sulla propria pelle il dolore che conoscono molti presenti in sala, conosce
bene il volto della criminalità organizzata. E lo dimostra. "I
mafiosi – afferma - non conoscono pietà né umanità, non hanno alcun senso
dell'onore, non hanno alcun senso del coraggio, i loro sicari colpiscono
persone inermi e disarmate. Tra le vittime della mafia non ci sono solo quelli
che le hanno affrontate, consapevoli del rischio a cui si esponevano, le mafie
non risparmiano nessuno. Non esitano a colpire chiunque si frapponga fra loro e
i loro obiettivi criminali, che sono denaro, potere, impunità".
Per questo motivo – sottolinea – "la lotta alla mafia
riguarda tutti, nessuno può dire "non mi interessa", nessuno può
chiamarsene fuori. Lottare contro la mafia non è solo una stringente e
certamente dolorosa esigenza morale e civile, è anche una necessità per tutti.
È una necessità per una società che vuole essere libera, ordinata, solidale,
una necessità per lo Stato, che deve tutelare i diritti dei suoi cittadini e
deve veder rispettato ovunque, senza zone franche, legalità e giustizia".
Contro la criminalità organizzata – dice Mattarella – i passi
avanti sono stati fatti, sia nella repressione, sia nella costruzione di una
cultura che faccia loro da argine. Ma "la mafia – ammette - è
ancora forte, ancora presente. Controlla attività economiche, legali e
illegali, cerca di controllare pezzi di territorio, cerca di infiltrarsi in
ogni ambiente. Bisogna azzerare le zone grigie, quelle della complicità, che
sono luogo di coltura di tante trame corruttive". Proprio per questo –
sostiene – combattere la mafia significa anche "prosciugare le paludi
dell'inefficienza, dell'arbitrio, del clientelismo, del favoritismo, della
corruzione, della mancanza di diritti che sono l'ambiente naturale in cui le
mafie vivono e prosperano. I vari livelli, politico e amministrativi, devono
essere fedeli ai propri doveri quindi impermeabili alle pressioni
mafiose".
Fedele al precetto del magistrato Giovanni Falcone, secondo cui
"la lotta alla mafia non può fermarsi ad una sola stanza, ma deve occupare
l'intero palazzo, all'opera del muratore deve affiancarsi quella
dell'ingegnere", Mattarella quasi invoca la partecipazione collettiva ad
una battaglia che non può essere delegata solo allo Stato e ai suoi
rappresentanti. "Le mafie – spiega - sono la negazione dei diritti
di tutti", per questo – afferma - la battaglia per contrastarle
riguarda "tutti noi, nell'agire quotidiano, nei comportamenti personali,
nella percezione del bene comune, nell'etica pubblica che riusciamo a
esprimere".
Un fronte su cui Libera e altre associazioni antimafia –
sottolinea il presidente – sono state avanguardia, ma che deve poter contare
sulla 'resistenza civile' di tutti. E se la scuola è il naturale e principale
terreno "rafforzare e diffondere perché prevalga questa crescita culturale",
si rende necessario anche "un tessuto sociale più solido, dove ci sia
un'effettiva possibilità di lavoro e una qualità di servizi sociali e
sanitari". Un tasto dolente per il Sud, piegato da arretratezza e mancanza
di lavoro, segnato dall'emigrazione e in cui la ‘ndrangheta, sempre di più,
riesce a barattare lavoro con schiavitù.
Una condanna per tanti e una sofferenza per la comunità che il
presidente ha forse voluto toccare con mano, perdendosi fra la folla che si è
alzata in piedi al termine del suo intervento. Una parola e un abbraccio con i
familiari, veloci scambi con sindaci e amministratori presenti in sala, strette
di mano, qualche selfie con i più intraprendenti fra i presenti che hanno avuto
l'ardire di chiederlo, sotto l'occhio vigile – e forse un po' preoccupato dal
fuori programma – degli uomini della scorta. Nessuno fra i presenti ha
rinunciato quanto meno a tentare un contatto con Mattarella, salutato alla fine
del suo discorso quasi come una star. O meglio come un portatore di speranza in
una terra che insieme ai suoi abitanti troppo spesso si sente abbandonata.
La Repubblica, 19 marzo 2017
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