domenica, marzo 19, 2017

Mattarella a Locri per la XXII Giornata della memoria e dell’impegno: “La lotta alla mafia riguarda tutti”

L'intervento del presidente Mattarella a Locri












di ALESSIA CANDITO
Il capo dello Stato partecipa all’iniziativa organizzata dall’associazione Libera e incontra i familiari delle vittime. Don Ciotti: “Lavoro e scuola antidoti alla peste mafiosa”
LOCRI - Primo presidente della Repubblica a visitare la Locride dopo Saragat, Sergio Mattarella sembra aver voluto a tutti i costi dare un segnale di vicinanza a chi costruisce memoria, impegno e resistenza alle mafie. Associazioni come Libera, che da oltre vent'anni a marzo, nell'anniversario dell'omicidio di don Peppe Diana, organizza una giornata nazionale per ricordare chi è stato strappato alla vita dalla violenza mafiosa.
Gente comune, ma anche uomini delle istituzioni, come Piersanti Mattarella, fratello del capo dello Stato, assassinato da Cosa Nostra nel 1980 quando era presidente della Regione Sicilia. Forse anche per questo, il presidente ha fatto di tutto per ritagliarsi una mattinata fra i tanti impegni che precedono il summit della Ue a Roma, ed essere oggi a Locri, "una terra – dice – così ferita dalla presenza rapace delle mafie". E dove a chi come lui si è visto strappare qualcuno dice "tutta l'Italia vi deve solidarietà per il vostro dolore, rispetto per la vostra dignità, riconoscenza per la vostra compostezza, sostegno per la vostra richiesta di verità e giustizia. Date la testimonianza di come la violenza, la morte e la paura non possano piegare il desiderio di giustizia e di riscatto. Le vostre ferite sono inferte al corpo di tutta la società, di tutta l'Italia e che il ricordo dei vostri familiari, martiri della mafia, rappresenta la base su cui costruiamo, giorno dopo giorno, una società più giusta, più solidale, più integra, più pacifica". Mattarella parla sotto un tendone allestito sul campo dello stadio di Locri, con davanti rappresentanti delle istituzioni locali, amministratori, magistrati, giudici, autorità civili, religiose e militari. Nessuno di loro però oggi non è salito sul palco. Lì ci sono i familiari delle vittime della ‘ndrangheta e delle altre mafie. E sono loro, i protagonisti della giornata, insieme ai loro cari e alle altre vittime che ci si impegna a non dimenticare.
Dopo l'intervento del vescovo di Locri, Francesco Oliva, che al presidente della Repubblica ha detto "insieme a lei noi diciamo no alla 'ndrangheta, che è una delle cause delle crisi sociali del nostro tempo", tocca proprio ai familiari delle vittime innocenti delle mafie, rievocarle e farle rivivere nella lettura dell'interminabile elenco che negli anni Libera si è impegnata a stilare. Ci vogliono più di 20 minuti per rievocare i 950 uomini, donne e bambini che nella storia sono morti per mano delle mafie. Uomini delle istituzioni, giudici, poliziotti, ma anche tanta troppa gente comune, più di cento bambini. "A loro e a tutte le vittime innocenti di cui non abbiamo notizia va la nostra memoria e il nostro impegno", dicono.
E chi, come il presidente di Libera don Luigi Ciotti, ha fatto di quell'impegno una ragione di vita, prende la parola per spiegare il perché di tanta, storica, dedizione.  "La speranza di cambiamento diventa forza di cambiamento. Questo procedere uniti verso questo obiettivo è urgente oggi. Per questo è necessario mettere da parte gli egoismi, i protagonismi, per costruire insieme il bene comune. Sono stati fatti passi avanti, ma ci sono anche ritardi, timidezze, promesse non mantenute". E ancora – spiega don Ciotti – troppe ambiguità. "Insieme alle mafie, il male principale del nostro paese è la corruzione. E questo significa che fra criminalità organizzata, criminalità politica e criminalità economica è sempre più difficile distinguere. Ce lo dicono quelle inchieste in cui i magistrati fanno fatica a individuare una precisa fattispecie di reato nelle norme esistenti". E se per il presidente di Libera "la nostra Costituzione è il primo testo antimafia", lavoro, scuola, cultura, i servizi sociali "restano il primo antidoto alla peste mafiosa, perché tale è, una peste".
Rivolgendosi ai mafiosi poi, don Ciotti dice "Ma che vita è la vostra? Papa Francesco ha chiesto ai mafiosi di convertirsi, di abbandonare il male. Io sono piccolo, piccolo piccolo rispetto alla complessità di quello che ci circonda. Molti familiari hanno perso i familiari e non hanno avuto neanche la possibilità di piangere i loro corpi. E allora uomini e donne della ‘ndrangheta vi chiedo almeno di dirci dove sono sepolti, diteci dove sono sepolti. Questo sussulto di coscienza potrebbe essere l'inizio di un percorso di vita e non di morte".  
Un appello salutato con un lungo applauso, al termine del quale a prendere la parola è il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Capo di Stato, ma anche familiare di vittima innocente delle mafie, che ha sperimentato sulla propria pelle il dolore che conoscono molti presenti in sala, conosce bene il volto della criminalità organizzata. E lo dimostra.  "I mafiosi – afferma - non conoscono pietà né umanità, non hanno alcun senso dell'onore, non hanno alcun senso del coraggio, i loro sicari colpiscono persone inermi e disarmate. Tra le vittime della mafia non ci sono solo quelli che le hanno affrontate, consapevoli del rischio a cui si esponevano, le mafie non risparmiano nessuno. Non esitano a colpire chiunque si frapponga fra loro e i loro obiettivi criminali, che sono denaro, potere, impunità".
Per questo motivo – sottolinea – "la lotta alla mafia riguarda tutti, nessuno può dire "non mi interessa", nessuno può chiamarsene fuori. Lottare contro la mafia non è solo una stringente e certamente dolorosa esigenza morale e civile, è anche una necessità per tutti. È una necessità per una società che vuole essere libera, ordinata, solidale, una necessità per lo Stato, che deve tutelare i diritti dei suoi cittadini e deve veder rispettato ovunque, senza zone franche, legalità e giustizia".


Contro la criminalità organizzata – dice Mattarella – i passi avanti sono stati fatti, sia nella repressione, sia nella costruzione di una cultura che faccia loro da argine.  Ma "la mafia – ammette -  è ancora forte, ancora presente. Controlla attività economiche, legali e illegali, cerca di controllare pezzi di territorio, cerca di infiltrarsi in ogni ambiente. Bisogna azzerare le zone grigie, quelle della complicità, che sono luogo di coltura di tante trame corruttive". Proprio per questo – sostiene – combattere la mafia significa anche "prosciugare le paludi dell'inefficienza, dell'arbitrio, del clientelismo, del favoritismo, della corruzione, della mancanza di diritti che sono l'ambiente naturale in cui le mafie vivono e prosperano. I vari livelli, politico e amministrativi, devono essere fedeli ai propri doveri quindi impermeabili alle pressioni mafiose".
Fedele al precetto del magistrato Giovanni Falcone, secondo cui "la lotta alla mafia non può fermarsi ad una sola stanza, ma deve occupare l'intero palazzo, all'opera del muratore deve affiancarsi quella dell'ingegnere", Mattarella quasi invoca la partecipazione collettiva ad una battaglia che non può essere delegata solo allo Stato e ai suoi rappresentanti. "Le mafie – spiega -  sono la negazione dei diritti di tutti", per questo – afferma -  la battaglia per contrastarle riguarda "tutti noi, nell'agire quotidiano, nei comportamenti personali, nella percezione del bene comune, nell'etica pubblica che riusciamo a esprimere".

Un fronte su cui Libera e altre associazioni antimafia – sottolinea il presidente – sono state avanguardia, ma che deve poter contare sulla 'resistenza civile' di tutti. E se la scuola è il naturale e principale terreno "rafforzare e diffondere perché prevalga questa crescita culturale", si rende necessario anche "un tessuto sociale più solido, dove ci sia un'effettiva possibilità di lavoro e una qualità di servizi sociali e sanitari". Un tasto dolente per il Sud, piegato da arretratezza e mancanza di lavoro, segnato dall'emigrazione e in cui la ‘ndrangheta, sempre di più, riesce a barattare lavoro con schiavitù.
Una condanna per tanti e una sofferenza per la comunità che il presidente ha forse voluto toccare con mano, perdendosi fra la folla che si è alzata in piedi al termine del suo intervento. Una parola e un abbraccio con i familiari, veloci scambi con sindaci e amministratori presenti in sala, strette di mano, qualche selfie con i più intraprendenti fra i presenti che hanno avuto l'ardire di chiederlo, sotto l'occhio vigile – e forse un po' preoccupato dal fuori programma – degli uomini della scorta. Nessuno fra i presenti ha rinunciato quanto meno a tentare un contatto con Mattarella, salutato alla fine del suo discorso quasi come una star. O meglio come un portatore di speranza in una terra che insieme ai suoi abitanti troppo spesso si sente abbandonata.

La Repubblica, 19 marzo 2017

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