Delle circa 50 mila tonnellate
prodotte all'anno nell'isola solo il 10% viene esportato
Se il Salone
degli oli extra vergini tipici e di qualità ha sede fissa a Trieste (quest’anno
in programma dal 4 al 7 marzo) vuol dire non solo che noi meridionali non siamo
in grado di valorizzare una delle nostre eccellenze dell’agroalimentare,
ma siamo anche così stolti da lasciare le redini del business a
chi non ha neanche idea di come si produca l’olio d’oliva. È questo uno dei
paradossi più eclatanti dell’economia del Mezzogiorno e della Sicilia, emblema
dell’incapacità del Sud di promuovere i propri prodotti in un mercato che offre
enormi potenzialità di vendita.
Chi fa impresa
al di sotto della capitale sa che la maggior parte degli eventi fieristici
nazionali si tiene nelle regioni del Nord. La motivazione è ovvia: lì sono
concentrati quasi tutti i più importanti distretti produttivi italiani. E sono
proprio gli imprenditori e le istituzioni del luogo a darsi da
fare per mettere in mostra beni e servizi prodotti in quei territori, attrarre
investitori e buyer internazionali, favorire l’incontro tra offerta e domanda,
richiamare l’attenzione dei media.
Così quando
si dice innovazione tecnologica nelle imprese e degli enti pubblici si pensa
allo Smau di Milano. A Bologna, a pochi passi da Maranello sede della più
prestigiosa casa automobilistica del mondo, si tiene il Motor Show.
La manifestazione è diventata negli anni un appuntamento internazionale per
tutti gli operatori del settore e gli appassionati. A Verona si tiene il Vinitaly,
un evento conosciuto bene delle tante aziende meridionali che producono vino. A
Genova, invece, il Salone Nautico Internazionale. E via dicendo.
Allora
perché il Salone degli oli extra vergini tipici e di qualità viene organizzato
a Trieste, lì dove non crescono gli ulivi e la cucina locale è dominata dalla
presenza del burro? Non in Toscana o in Liguria, dove pure esiste una buona
tradizione di olio d’oliva, ma in Friuli Venezia Giulia. Perché lasciare agli
imprenditori del Nord-Est la possibilità di sfruttare un patrimonio economico e
culturale tipico delle regioni del Mezzogiorno? Perché il Salone
dell’olio extravergine d’oliva non si tiene a Palermo, a Catania o a Trapani?
Sarebbe
troppo facile rispondere scaricando la colpa sempre e solo sulla politica.
E’ evidente, anche lei ha le sue colpe, che si tratti di incapacità o
sciatteria. C’è però una responsabilità diffusa che attiene
all’indole di chi produce e commercializza l’olio d’oliva in Sicilia e di chi
ha il dovere istituzionale di promuoverlo. Un aspetto confermato dai numeri:
delle circa 50 mila tonnellate prodotte all’anno solo il 10% viene
esportato. Sono poche, infatti, le aziende che riescono ad imporsi nei
mercati nazionale ed internazionale.
Nonostante l’alta qualità del prodotto, i premi
ottenuti dagli oli siciliani in giro per il mondo e il riconoscimento
dell’Unione europea del marchio Igp per l’olio prodotto in
Sicilia, il settore stenta a decollare e a diventare una vera e propria
economia di scala per l’Isola, capace di produrre ricchezza e posti di lavoro.
Un vero e proprio sacrilegio per una terra dove gli ulivi da secoli hanno messo radici e producono, neanche senza troppe cure da parte dell’uomo, un frutto straordinario che i siciliani non sanno sfruttare appieno.
Un vero e proprio sacrilegio per una terra dove gli ulivi da secoli hanno messo radici e producono, neanche senza troppe cure da parte dell’uomo, un frutto straordinario che i siciliani non sanno sfruttare appieno.
IlSicilia.it, 03/03/2017
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