PATRIZIA GARIFFO
CARO presidente Crocetta, da qualche settimana lei e la sua giunta
siete al centro di una spiacevole querelle con i disabili a causa
della mancata assistenza. Problematica che si trascina da anni, fra proteste,
accuse e la solita indifferenza della politica e della gente “normale”, che si
interessano a queste persone finché non si spengono i riflettori sulla
questione e tutto torna nell’oblio. Lei ogni giorno prende una posizione sul
problema e poco dopo la modifica. Poiché è bene credere alla buona fede di
tutti, fino a prova contraria almeno, è possibile che lei, presidente, non
abbia piena consapevolezza di quali siano i bisogni dei disabili gravissimi, di
chi molte volte non può muovere neanche un dito. Così, per esperienza
personale, proverò a raccontarle brevemente una giornata di un disabile
gravissimo.
La mattina si sveglia, si lava, si veste e fa colazione o, meglio, ci vuole
qualcuno che lo aiuti a farlo e non può essere una persona qualunque ma, in
base alla gravità della patologia, deve avere determinate capacità
professionali, come il saper utilizzare apparecchi elettromedicali salvavita.
La giornata prosegue e le necessità aumentano. Si deve andare a scuola? Serve
un servizio di accompagnamento, senza parlare di insegnanti di sostegno e
assistenti, che il più delle volte mancano del tutto o arrivano ad anno
scolastico inoltrato. Poi ci sono i disabili gravissimi adulti che hanno un
lavoro, e allora qualcuno deve accompagnarli in auto, visto che i mezzi
pubblici a Palermo sono inaccessibili e i taxi attrezzati un’utopia.
L’assistenza, però, non può mancare neanche se si resta a casa e non si hanno
familiari o amici volenterosi che possano dare un supporto. Naturalmente si
deve anche mangiare, andare in bagno, e non si può provvedere da soli. Infine
si fa sera e bisogna andare a dormire: lavare i denti (è il minimo), indossare
il pigiama e farsi mettere a letto.
In questa breve descrizione ho tralasciato ogni tipo di attività
ricreativa: anche i disabili vogliono divertirsi, diritto che però, a volte, è
considerato quasi come una “gentile concessione” da chi non vive questa realtà.
Si tratta di attività che tutti fanno abitualmente, come andare al cinema o
fare una passeggiata, ma che diventano impraticabili perché non c’è
l’assistenza. E il giorno dopo ricomincia tutto daccapo.
Se ciò che lei ha assicurato qualche giorno fa, l’erogazione di 20mila euro
l’anno, non rendicontabili, per i duemila disabili gravissimi che potranno
scegliere da chi farsi assistere, diventasse realtà in tempi accettabili e
senza trovare ostacoli, sarebbe già un passo avanti. Poter dare del denaro
direttamente a chi deve usarlo per le proprie necessità anziché farlo passare
prima attraverso altre vie è, certamente, il modo migliore per evitare sprechi
e garantire un’assistenza ottimale. Avere un contributo per farsi assistere da
qualcuno scelto da chi vive, giorno dopo giorno, la disabilità sulla propria
pelle e non da qualcuno “imposto” da altri, sarebbe molto importante non solo
per il riconoscimento dei diritti sacrosanti di una persona disabile, ma
soprattutto per la sua dignità.
Molti, infatti, non si rendono conto che farsi aiutare nelle attività
essenziali ma anche più intime della vita quotidiana, non è come entrare in un
negozio e affidarsi alla prima commessa che si incontra, è molto diverso. Oltre
alla professionalità, aspetto essenziale e imprescindibile, con questa
persona si deve instaurare un rapporto di fiducia. Può nascere anche con
qualcuno mandato da altri è vero, ma non è lo stesso che poter valutare e
scegliere personalmente chi deve lavarti, toccarti o darti da mangiare. Non si
senta offeso, quindi, chi lavora nel settore dell’assistenza da anni, come ha
lamentato qualcuno, se non ci si dovrà più rivolgere per forza alle cooperative
ma si potrà scegliere anche altro. Offensivo è arrivare all’Ars e non poter
entrare perché qualcuno ha “dimenticato” di mettere rampe idonee. Offensivo è
dover ricorrere alla tv per essere ascoltati. E offensivo è sentirsi dire, da
anni, frasi del tipo «avete ragione, faremo di più» senza che poi venga fatto
né il «di più» né ciò che in altre regioni d’Italia è normale.
La strada da lei intrapresa sembra quella giusta, efficace e scevra di
cupidigie varie, ma speriamo che non si cambi direzione, a causa di interessi
personali e conflitti, sia dentro le istituzioni che fuori.
La Repubblica, venerdì 24 marzo 2017
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