CORRADO ZUNINO
La ministra e l’allarme di 600 professori: “Non sanno l’italiano? Lo vedo
ogni giorno. Però le elementari funzionano”
ROMA. Ministra Valeria Fedeli, ha letto il
documento dei seicento docenti universitari?
«Sì».
Dice: «Molti studenti alla fine del
percorso scolastico scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a
esprimersi oralmente».
«Me ne accorgo tutti i giorni e ne avevo consapevolezza prima di diventare
ministra. Non ci sono solo studenti così, intendiamoci. Ne ho accompagnato
cento ad Auschwitz, di recente. Preparati, bel linguaggio».
I seicento prof, che d’altro canto
replicano i pareri già conosciuti dell’Ocse, aggiungono: «Non si vede una
volontà politica adeguata alla gravità del problema».
«Un po’ di cose le stiamo organizzando, altre sono state fatte nel recente
passato. Non siamo all’anno zero. Con 180 milioni del Programma nazionale
rafforzeremo le competenze di base e combatteremo le disuguaglianze. Da sette
stagioni il sistema delle Olimpiadi d’italiano porta nuovi studenti a
impegnarsi per eccellere. Quest’anno si sono iscritti in cinquantasettemila,
erano meno di quindicimila nel 2014».
Tullio De Mauro, suo predecessore,
recentemente scomparso, avvistò per tempo i rischi linguistici della nostra
gioventù.
«Rilanceremo la figura di De Mauro, attiveremo uno studio vivo del suo
pensiero didattico. Fu lui, in un incontro negli Anni Ottanta, a farmi capire
la necessità del buon italiano e di una sua diffusione corretta e capillare tra
i giovani. Ancora nel 2013, De Mauro ha messo in luce i nostri ritardi
scolastici rispetto all’Europa. Con il ministero dei Beni culturali, a
questo fine, organizzeremo una promozione della lettura dei libri
extrascolastici, con la Federazione della stampa porteremo i giornali nelle
classi. La scuola, va detto, non può fare tutto, anche l’università deve farsi
carico del problema della lingua scorretta».
Veramente, già se ne fa carico: diverse
facoltà trascorrono il primo anno accademico a organizzare corsi di recupero di
lingua italiana per studenti sgrammaticati.
«Incontrerò a breve i promotori della raccolta delle seicento firme,
ascolterò da loro quali sono i punti di crisi. Mi do quindici giorni di tempo,
poi partirà il primo avviso pubblico per le competenze di base».
Secondo lei, quali sono i punti di crisi?
«La scuola media, un problema conosciuto. Le elementari, in Italia,
funzionano. È alle medie che dobbiamo far crescere la lettura, la scrittura, la
capacità di sintesi. I nostri docenti delle superiori e gli esperti
dell’Invalsi ci aiuteranno a capire».
Si potrà intervenire sulla scuola media in
tempi brevi?
«Abbiamo due deleghe aperte in Parlamento, sistema di valutazione e
reclutamento. Se saremo rapidi si possono fare miglioramenti per metà marzo».
La scrittrice Paola Mastrocola dice che
ortografia e sintassi iniziarono a sgretolarsi con il ‘68, quando si iniziò a
chiedere più libertà alla didattica.
«Nel 2017 non si possono dare ancora colpe al ‘68».
Massimo Cacciari dice: se un ragazzo non
sa scrivere, non saprà neppure divulgare le sue idee.
«Non fa una piega. Cacciari sbaglia, però, quando sostiene che la scuola
italiana oggi è solo tesa a professionalizzare. Non sono due aspetti
contrapposti: il buon italiano e l’insegnamento tecnico-pratico. D’altro canto,
siamo indietro anche nell’insegnamento tecnico-pratico».
Ministra, come sono stati questi primi due
mesi trascorsi in Viale Trastevere?
«Difficili, faticosi. Ho guardato tutti i dossier aperti, li ho
approfonditi con il dialogo, il più possibile li ho condivisi. Molte cose
impostate dalla Buona scuola restano giuste, sto cercando di realizzarle con i
necessari miglioramenti».
Quali saranno, allora, i prossimi
miglioramenti?
«A maggio faremo una conferenza europea sull’adolescenza e, comunque,
lavoriamo per avere tutti gli insegnanti necessari in classe a settembre».
Volete riavvicinare un corpo docente che
ha contestato la Buona scuola per due anni.
«Quel mondo è molto segnato. Un passo dopo l’altro proviamo a ricucire e a
tenere in equilibrio il diritto primario degli studenti con i diritti dei
docenti».
La
Repubblica, 6 febbraio 2017
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