La cattedrale di Palermo |
UMBERTO SANTINO
Palermo è stata riconosciuta capitale della cultura perché lo è da sempre,
per essere stata crocevia delle culture storiche del Mediterraneo: dalla
punico-romana alla giudaico-cristiana, alla musulmana; per il suo patrimonio
monumentale, ma anche per la sua disponibilità all’accoglienza di profughi e
migranti, in controtendenza con le politiche attuali, dall’Europa a Trump. Non vorrei che questi riconoscimenti portassero a nuove divisioni, per
esempio tra amici e nemici della contentezza, tra gli apostoli dell’autostima e
i devoti del fatalismo. La contentezza non può portare a ignorare i problemi di
una città che rimangono irrisolti: dalla disoccupazione al degrado di gran
parte del patrimonio monumentale (non ci sono solo i monumenti arabo-normanni
con il cartello dell’Unesco), ai disservizi permanenti: dai trasporti pubblici
ai rifiuti a pochi passi dai monumenti più celebrati (uno degli spettacoli più
avvilenti a cui capita di assistere sono i turisti che fotografano i mucchi di
immondizia). Così pure la scontentezza non può significare fare sempre e
comunque il bastian contrario, vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto, ignorare
quel tanto di buono che c’è e potrebbe esserci, se contenti e scontenti invece
di specchiarsi nei loro umori si dessero da fare.
Palermo capitale italiana della cultura è soprattutto un impegno e una
sfida. Cultura vuol dire archivi, biblioteche e musei che non dovrebbero essere
depositi chiusi per anni e frequentati da pochi addetti ai lavori, ma spazi
aperti e accoglienti; monumenti visitati non solo dai turisti ma soprattutto
dai cittadini (c’è chi va alla Cappella Palatina la prima volta per il
matrimonio, Serpotta è stato “scoperto” come un grande artista da Donald
Garstang e rimane uno sconosciuto per buona parte dei concittadini). “Le vie
dei tesori” hanno indicato una strada e bisogna continuare e rafforzare questa
bella esperienza. Ma cultura è pure, o soprattutto, servizi pubblici efficienti
e comportamenti quotidiani civili. Insomma: una comunità in cui è bello vivere
e che si riconosce come bene collettivo. E se vuole essere realmente capitale
dei giovani, la città non può non mettere al centro la disoccupazione
giovanile, che negli ultimi anni ha superato il 45 per cento, con un 63 per
cento di laureati. Potrebbe essere una buona idea quella di assegnare ai
giovani palermitani borse di studio per farli vivere per un certo periodo
all’estero, ma molti giovani, con laurea e dottorato, si sono già trasferiti in
altre città o in altri Paesi, e in ogni caso è qui che dovrebbero vivere e
trovare un lavoro dignitoso, non contentarsi di un’occupazione umiliante,
precaria e sottopagata. Anche se la dotazione finanziaria per la “capitale
della cultura” non è certo esaltante, le risorse invece di essere sprecate nella
solita pioggia, dovrebbero essere impiegate in base a un progetto che individui
delle priorità. In agenda ci sono parecchie iniziative, forse troppe. Si parla,
tra l’altro, di circuiti water front ed etno-antropologici, dei cantieri
culturali della Zisa da rivitalizzare, di Manifesta, la biennale di arte
contemporanea che sarà in città l’anno prossimo, dell’ex convento San Francesco
che dovrebbe ospitare un centro delle culture arabe e mediterranee. Mi pare che
si riprendano alcuni progetti che componevano il paniere della candidatura
europea, bocciata proprio per la sua onnicomprensività. Ma non si parla del
Memoriale laboratorio della lotta alla mafia, previsto da una delibera della
Giunta comunale del dicembre 2015. L’amministrazione comunale deve decidere: si
vuole realizzare un grande progetto, a respiro nazionale e internazionale, che
rispecchi una realtà che non può essere rimossa e le grandi lotte che hanno
assunto le caratteristiche di una lotta di liberazione, o si pensa a
un’iniziativa minore, marginale nell’offerta culturale, un contentino per chi
l’ha proposta? Se si vuole avviare una rivoluzione culturale a Palermo, perché
di questo si tratta, non ha molto senso distinguere tra amici e nemici della
contentezza, o replicare la geremiade dell’irredimibilità. Occorrono scelte
coraggiose, un sano realismo, risorse adeguate e una seria volontà di aprire un
percorso, difficile ma praticabile.
La Repubblica Palermo, 7 febbr. 2017
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