I mafiosi si rivolgono al Tribunale dei minori perché allontani i ragazzi
dalla Calabria
FRANCESCO VIVIANO
REGGIO CALABRIA. Giuseppe ha 42 anni, è un boss della ’ndrangheta, da oltre 10 anni è in
carcere sottoposto al regime del 41 bis: sta scontando una pena a 18 anni per
associazione mafiosa ed è anche condannato in primo grado all’ergastolo, per
omicidio. Forse non uscirà mai più di galera e non potrà mai più riabbracciare
suo figlio che adesso ha 12 anni. Qualche settimana fa ha scritto al presidente
del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, 53 anni, il
giudice che gli ’ndranghetisti temono e minacciano perché quattro anni fa si è
messo in testa, come prevede la legge, di togliere loro i figli per sottrarli
al contesto mafioso in cui sono destinati a crescere.
“Scrivo da padre, un padre che soffre per il proprio figlio, per tutta la
situazione familiare. Sono d’accordo con Lei, solo allontanandolo da questo
ambiente il mio bambino avrà un futuro migliore. Se avessi avuto io le stesse
possibilità forse non sarei dove sono ora. Decida Lei e stia tranquillo che,
visto il mio passato e presente, non farei mai qualcosa che possa influire o
danneggiare la vita di mio figlio. Io voglio soltanto il suo bene e mi
impegnerò con tutte le mie forze a rispettare le prescrizioni che mi impartirà
per il futuro”.
Ma non è soltanto Giuseppe a rivolgersi al Tribunale dei minori perché
salvi i figli di ’ndranghetisti, destinati a diventare anche loro mafiosi e
killer. Sul tavolo del presidente Di Bella ci sono altre lettere. Quella, per
esempio, di una madre che da quattro anni vive insieme al figlio di 11 anni
fuori dalla Calabria, allontanata proprio da quel Tribunale, e quella di una
ragazza di 14 anni, con padre e madre in galera per ’ndrangheta, che dopo
essersi rifiutata di essere allontanata dal suo paese della Locride adesso
ringrazia e scrive: “Non ritornerò mai più in Calabria”. Dunque l’esperimento,
per ora unico in Italia, di togliere i bambini alle famiglie dei clan, dopo
quattro anni trova d’accordo anche i boss. Oltre alle lettere dal carcere dei
mammasantissima, tante mogli madri bussano alla porta di Di Bella chiedendo
aiuto. E persino i ragazzini che già da qualche anno hanno trovato una nuova
vita in una famiglia adottiva sentono il bisogno di ringraziare quei giudici
che hanno dato loro un’altra possibilità.
Ecco le loro voci. “Gentilissimo presidente, io e mio figlio auguriamo
a lei ed alla sua famiglia un Santo Natale di pace e serenità e un nuovo anno
ricco di soddisfazioni. Ogni volta che guardo negli occhi il mio bambino, e
leggo la sua gioia nel trovarsi in questa città dove tutto lo rende felice, il
mio pensiero corre da lei. Per questo non finirò mai di ringraziarvi. Il
bambino è sereno, si fa apprezzare dalle maestre e i suoi voti sono alti, si
impegna molto nello studio e spero che un domani anche Lei possa essere
orgoglioso di lui. Sono contenta della scelta che ho fatto anche se i sacrifici
non mancano. Io e mio figlio siamo in compagnia di persone affettuose,
lontane da quel mondo di prima e abbiamo incontrato una famiglia speciale che
ci aiuta e con cui passeremo il Natale. Presidente, grazie di tutto. Ringrazio
Dio per averla messa sulla nostra strada”.
Maria (non è il suo vero nome, ndr) adesso ha 14 anni, il padre
’ndranghetista è in galera e anche la madre è finita in carcere. Due anni fa su
disposizione del Tribunale dei minori Maria ha lasciato il suo paese in
Calabria e adesso vive presso un’altra famiglia in Nord Italia. «Quando il
poliziotto che l’ha accompagnata ha fatto la relazione, ha raccontato che Maria
– dice il giudice Di Bella – durante il tragitto piangeva, non voleva andare
via, voleva restare nel suo paese. È stato un racconto drammatico. Per me e per
gli altri colleghi del Tribunale e della Procura, sono momenti di vera
sofferenza, con un costo emotivo non indifferente. Noi non siamo contro le
famiglie, noi vogliamo soltanto aiutarle e aiutare i loro figli». A Natale
Maria ha scritto a Di Bella questa lettera: “Gentile presidente, dove sono ora
ho iniziato un’altra vita, sono rinata. Sono molto affezionata alla famiglia
cui voi mi avete affidata. Mi vogliono bene e mi danno tutto l’affetto
possibile. Mi piace studiare. A scuola mi trovo bene e anche con le mie nuove
amiche. Non voglio più tornare in Calabria. All’inizio è stata dura ma ora sono
felice. Grazie”.
Anche il Garante dell’infanzia di Reggio Calabria, Antonio Marziale, ha
riconosciuto che si tratta «di un esperimento che ha polarizzato l’attenzione
di tutto il mondo, e che nel tempo sta registrando notevole successo». Ma
alcuni boss della ’ndrangheta continuano a “criticare” l’opera del Tribunale
dei minori, che agisce in sintonia con la Procura e la Direzione Distrettuale
Antimafia di Reggio. Qualcuno ha scritto a Di Bella: “Tutti hanno figli. Ho
passato tutta la vita in carcere e non ho nulla da perdere. Chi vuole intendere
,intenda”.
La Repubblica, domenica 12 febbr 2017
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