Sergio Staino, direttore de "L'Unità" |
Caro Sergio
Staino, ora so perché hai scritto l’editoriale contro Camusso e la Cgil. Era
l’incipit del tuo nuovo romanzo satirico
Caro Sergio, ho letto e riletto più
volte il tuo editoriale dal titolo “Camusso dimentica la tradizione di Lama e
Trentin”, di sabato 7 gennaio sull’Unità, il giornale fondato da quel signor
intellettuale che entrambi amiamo, Antonio Gramsci. Ti confesso che all’inizio
sono rimasto “basito” (aggettivo che oggi si usa moltissimo), amareggiato,
sorpreso, dalle frasi e dal tono che tu usi nei confronti della Cgil e
soprattutto di Susanna Camusso. Poi, però, ho pensato che l’editoriale non
fosse tuo, che non l’avessi scritto tu, che l’avessi solo firmato, e che una
mano maligna avesse scritto cose che tu non pensi davvero. Ma alla decima
lettura, finalmente ho capito.
Hai voluto rendere pubblico l’incipit di un
nuovo capitolo del tuo prossimo romanzo satirico, il cui protagonista è un uomo
di sinistra che smarrisce la memoria, e si ritrova a vivere in un presente
eterno, e guarda la realtà così come accade in quell’istante, senza riuscire a
collegarla alle cause effettive che l’hanno generata. Dunque, il protagonista
del tuo romanzo, caro Sergio, può rimproverare Susanna Camusso e la “sua” Cgil
di non fare altro “che ripetere attacchi al governo di turno, senza offrire al
contempo un progetto, una prospettiva e una conseguente azione politica”. Ad un
certo punto, il tuo protagonista scova in un ripostiglio nascosto un saggio
breve su due dirigenti sindacali del passato, Luciano Lama e Bruno Trentin. Lo
legge, e si dice “perbacco, questi sì che sono grandi sindacalisti”. Ma poiché
la memoria gli fa enorme difetto, il tuo protagonista si confonde, e confonde
le storie, la cronologia, i tempi. Confonde il presente e quel passato che egli
vive come una sorta di nebulosa. Così, pensa: il sindacato di questa Camusso
corre “il rischio terribile di diventare una vociante folla indifferenziata,
senza più alcuna connotazione di classe e soprattutto una classe responsabile
nei confronti della società e delle sue istituzioni democratiche”.
Confesso di aver riso molto quando
ho letto le dotte riflessioni del protagonista del tuo romanzo satirico.
Divertentissimo il passaggio dal consiglio di non “lasciare il sindacato sulle
barricate” all’accusa di non avere più “una connotazione di classe”. Ho pensato
che, come accade ad ogni grande eroe di qualunque romanzo, anche il tuo è pieno
di grandi contraddizioni, spesso insanabili. Credo che perfino Antonio Gramsci
avrebbe quanto meno sorriso dinanzi a questo arditissimo racconto di questo
coraggiosissimo eroe borghese. Ma poi ti avrebbe chiesto: scusa Sergio, ma
forse andrebbe definita la barricata, chi c’è dall’altra parte e perché spara,
e chi sta da questa parte, a quale classe sociale fai riferimento. E qui il
discorso si sarebbe fatto serio, caro Sergio. Perché dalla satira si sarebbe
passato al dramma.
Magari se avessi risposto a questi
due interrogativi non banali, il tuo romanzo avrebbe preso un’altra piega,
sarebbe tornata la memoria nella testa del tuo eroe. E cosa avrebbe scoperto?
Ad esempio, che dai primi mesi del 2014, nella nazione in cui il tuo eroe vive,
è andato al potere un governo che ha sparato contro il sindacato e contro
quella classe, di cui tu cerchi connotazione. Quel governo ha compiuto almeno
tre riforme che hanno costretto ad alzare le barricate, ed è stato sordo a
qualunque tentativo di dialogo proprio con quel sindacato che il tuo
protagonista bastona. Ad esempio, caro Sergio, quel governo ha toccato uno dei
segmenti più importanti, strategici e delicati della nazione, come direbbe
l’amato Gramsci, ovvero la scuola, introducendo elementi che ne hanno ridotto le
forme di partecipazione democratica, ha costruito una ideologia del “saper
fare” congeniale a quella specifica classe dei padroni contro cui abbiamo
combattuto tante battaglie, contro la “conoscenza critica”, arma importante per
saper stare al mondo con dignità e consapevolezza. Quel governo ha
paradossalmente battezzato quella riforma “Buona scuola”, contro tutti,
rifiutando il dialogo con chi a scuola ci lavora e con chi rappresenta i
lavoratori. E i risultati, caro Sergio, si sono dimostrati pessimi. Poi, quel
governo ha attaccato i lavoratori nei suoi diritti fondamentali, a non essere
licenziati senza giusta causa e ad ottenere il giusto salario, come d’altro
canto recita la Costituzione. L’ ha chiamato Jobs Act, ma è la grande
fregatura, contro la quale un sindacato “di classe” (anche nel suo significato
di “stile”) non può che alzare barricate, come e ovunque occorra, col
referendum e nei tribunali. E ricordo al tuo eroe, caro Sergio, che per effetto
della decontribuzione, il Jobs act ha avuto il merito di regalare al sistema
delle imprese (era questa la classe di riferimento del governo) quasi venti
miliardi di euro. Infine, quello stesso governo ha deciso che in fondo la
Costituzione era troppo democratica, e troppo democratiche le sue leggi elettorali.
Andavano cambiate, contro ogni obiezione di metodo e di merito, senza confronto
autentico. E così, quel governo ha spaccato gli italiani, e ha perso, anche
grazie a quella classe sociale e generazionale che la Cgil e la Camusso grazie
al cielo rappresentano, e molto bene.
Per questo, infine, ho pensato che
la chiusura dell’incipit del tuo romanzo avesse dovuto trovare una chiave
narrativa comica. E infatti, ecco la puntuale citazione dei voucher utilizzati
dalla Cgil emiliana. A quel punto è scattata una sonora risata. Grazie, Sergio.
Pino Salerno
http://www.jobsnews.it,
7 gennaio 2017
Nessun commento:
Posta un commento