Lo scrittore Enzo Russo |
di ENZO RUSSO
Allora, si
può sapere dov’è finita la mafia? Se lo chiedono in tanti, mentre gli
ergastolani invecchiano e muoiono, i cosiddetti pentiti si annoiano nelle loro
nuove e opache identità, i migliori film sul tema diventano dei classici e i
cronisti specializzati si specializzano in altri settori.
Tutte le mafie fin qui censite, da quella nota solo a Joe Petrosino e a pochi
altri fino ai boati di Capaci e via d’Amelio, passando per cosche, faide,
cupole, lupare bianche, droga, padrini americani e palermitani, hanno avuto un
denominatore comune e assolutamente obbligatorio: la violenza e il sangue, che
hanno generato una paura quasi genetica, meglio nota come omertà. Ma le due
stragi, orrendamente spettacolari, anziché imporre definitivamente il potere
mafioso, hanno portato all’annientamento dell’impero corleonese, dalle cui
ceneri, a poco a poco, sono fioriti comitati d’affari prima asserviti alla
brutalità dei padroni e via via, increduli per tanta fortuna, sempre più
arroganti, sicuri di sé fino all’imprudenza e all’impudenza, capaci di diramare
metastasi in tutti gli organi vitali della società. Ecco, la nuova mafia
sarebbe questa.
E il sangue? Senza il sangue si può ancora definirla così? E con quale altro nome si potrebbe ribattezzarla, mantenendo fermo il certificato di nascita criminale dal quale tutto ha avuto avvio? Torna alla memoria un celeberrimo, geniale caso di trasformismo linguistico entrato ormai dai decenni nel linguaggio internazionale. Alla fine della Seconda guerra mondiale, quando i due blocchi cominciarono ad affrontarsi con le armi dello spionaggio, della propaganda, delle accuse, venne coniata una definizione bizzarra: Guerra fredda, in contrapposizione a quella vera e devastante conclusa da poco.
Oggi si potrebbe definire l’azione di questi comitati d’affari, da Mafia capitale alla falsa antimafia siciliana, Mafia fredda? No, decisamente suona male. Ma è già qualcosa, in attesa di proposte migliori.
29/1/2017
MAFIE/Da un'idea di Attilio Bolzoni
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