Fonderie Riunite: prima serrata Le Fonderie Riunite,
costruite nel 1938, facevano parte del gruppo Orsi, che comprendeva settori
come metallurgia e servizi, e conobbero un grande sviluppo, dovuto soprattutto
alle commesse pubbliche in seguito alla politica di riarmo condotta dal regime
fascista. La figura di Adolfo Orsi era controversa: era diventato il numero uno
della Confindustria modenese e uno dei più potenti imprenditori nazionali.
Grazie a lui si è avuto il trasferimento della Maserati da Bologna a Modena. Di
fronte alle nuove condizioni del dopoguerra, molte di queste imprese entrarono
in crisi e la maggioranza degli industriali reagì non con lo sforzo di
ammodernare gli impianti, ma scatenando un'offensiva contro il lavoratori. Il
1948 fu un anno denso di avvenimenti. La Democrazia Cristiana vinse le elezioni
politiche di aprile e a luglio si verificò l'attentato a Togliatti, segretario
del Partito Comunista. Alla sconfitta politica delle sinistre, gli imprenditori
lanciarono un'offensiva contro le conquiste operaie, sia in termini salariali
sia in termini di organizzazione sindacale all'interno delle fabbriche.
Nell'ottobre del 1947 si verifica la prima crisi tra Fonderie e Fiom, e la vertenza
sui 26 operai si concluse con il licenziamento in tronco di tutto il gruppo.
Adolfo Orsi, sottraendosi alle trattative con il sindacato, diede disposizioni
di impedire l'ingresso in fabbrica ai 26 lavoratori licenziati. Il 23 giugno i
lavoratori che si presentarono regolarmente in fabbrica per andare a lavorare
trovarono i cancelli chiusi e la polizia a presidiare lo stabilimento. A Modena
si verificava così la prima serrata, che consisteva nella chiusura della
fabbrica e nella riassunzione di altro personale. Il padrone metteva in atto
questo strumento per rivendicare il diritto della proprietà privata e del suo
pieno controllo sullo stabilimento. La vertenza si concluse con il successo del
sindacato e il 26 giugno le Fonderie vennero riaperte.. Nelle fabbriche si
procedeva ad assunzioni discriminate e la "celere", la polizia
inventata da Romita e perfezionata da Mario Scelba si dimostrò da subito come
un efficace strumento da usare contro il mondo del lavoro.
1948: un'Italia di manifestazioni e repressioni. Nel
luglio del 1948, con l'attentato a Togliatti, si parlò di un'Italia sull'orlo
della guerra civile e la "celere" di Scelba non esitò ad intervenire
contro diverse manifestazioni. In questo contesto si inserirono le repressioni
contro i lavoratori e i contadini di Melissa in Calabria, Montescaglioso in
Basilicata e Torremaggiore in Puglia dove la 'celere' intervenne con le armi da
fuoco e uccise 7 braccianti. Il 9 gennaio del 1949 la Camera del Lavoro
proclamò uno sciopero di solidarietà per difendere gli operai licenziati alla
Maserati, ma in piazza Roma a Modena la 'celere' cominciò a sparare, provocando
alcuni feriti. Nonostante questo clima di tensione, causato anche dalla serrata
alla Maserati, la classe operaia continuò a battersi soprattutto in difesa
dell'occupazione e contro i licenziamenti. I salari italiani erano i più bassi
d'Europa, dopo quelli greci e spagnoli. Proprio sul controllo del collocamento
cominciò la lunga vertenza fra il gruppo Orsi e la Fiom.
1949: seconda serrata. Nella primavera del 1949 Orsi
cominciò a lamentarsi del bilancio passivo e del cottimo collettivo e iniziò
un'altra vertenza lunga quasi tutta la primavera. Si arrivò a una tregua
soltanto a luglio, interrotta poi a novembre con la decisione di licenziare 120
dipendenti. Tutta Modena reagì all'ennesimo schiaffo di Orsi, manifestando per
le vie cittadine; inoltre la direzione delle Fonderie fissò per il 19 novembre
la cessazione di ogni attività dello stabilimento alla Crocetta. Orsi ruppe le
trattative con il sindacato, e il 5 dicembre effettuò la seconda serrata alle
Fonderie, appoggiato da un grande dispiegamento di forze dell'ordine. Dopo 25
giorni, nel pieno delle festività natalizie, Orsi precisò il suo piano: in un
manifesto fatto affliggere indica nel 9 gennaio, la riapertura delle Fonderie,
con il particolare che a sua piena discrezione solo 250 dipendenti su 560
sarebbero stati riassunti. Della complicata situazione se ne discusse anche in
Comune. Il sindaco Corassori incontrò Orsi, ma non si giunse ad alcun accordo,
intanto in città cominciarono ad arrivare rinforzi per presidiare la riapertura
della fabbrica fissata per il 9 gennaio.
La mattina del 9 gennaio 1950. Con l'inizio del 1950 si
avvicinò il giorno di riapertura delle Fonderie Riunite. La mattina del 9
gennaio occorrevano accordi scritti tra direzione e sindacati, ma Orsi si
trovava fuori Modena e il prefetto non si impegnava a concludere l'accordo. I
sindacati proclamarono allora sciopero generale in piazza Roma dalle 10 alle
11, in solidarietà con i lavoratori delle Fonderie, ma alla Crocetta
l'atmosfera era ormai tesa. Era una fredda mattina invernale, con il sole, e la
questura, prevedendo l'afflusso di numerosi manifestanti e il tentativo di
occupare non solo le Fonderie Riunite ma anche altre fabbriche, aveva disposto
misure rigidissime. Lo stabilimento era presidiato, circondato dalla polizia, e
tutto il quartiere era blindato da posti di blocco nei punti cruciali. Rinforzi
erano arrivati da Cesena, Bologna, Ferrara, Parma, Reggio Emilia. Ventimila
persone cominciarono a radunarsi nella zona industriale. La 'celere', dopo aver
allontanato alcuni operai che tentarono di entrare nelle Fonderie, cominciò a
scatenarsi con il suo repertorio fatto da caroselli, manganellate, lacrimogeni.
La polizia cominciò ad aprire il fuoco da diversi punti contro i manifestanti.
Sei persone uccise. Angelo
Appiani, meccanico ed ex-partigiano, di 30 anni, venne ucciso proprio
davanti alle Fonderie; Renzo Bersani,
un ragazzo di 21 anni, operaio metallurgico, venne colpito a morte in un punto
lontanissimo dagli scontri, mentre cercava di fuggire dalla zona; Arturo Chiappelli, spazzino
disoccupato, anni 43, venne invece colpito vicino alla Fonderia, dalla parte
della linea ferroviaria, mentre attraversava i binari; Ennio Garagnani faceva il carrettiere nelle campagne di Gaggio.
Aveva 21 anni. Anche lui trovò la morte mentre cercava di allontanarsi dalla
zona calda degli scontri. Sempre un ragazzo, Arturo Malagoli, 21 anni, operaio ed ex-partigiano, venne colpito
davanti al passaggio a livello; Roberto
Rovatti, operaio metallurgico di 36 anni, venne circondato dalla celere,
colpito coi calci dei fucili, gettato in un fosso e finito con un colpo sparato
a distanza ravvicinata. Secondo le cifre ufficiali vennero ferite quindici persone, ma in verità furono molte di più, quasi duecento. I feriti non andarono
all'ospedale per la paura di essere incarcerati e discriminati poi
successivamente sul posto di lavoro. L'inchiesta dell'opposizione di sinistra
al governo parla di un vero e proprio tiro al piccione, a freddo, premeditato.
In tutto il paese ci furono scioperi, manifestazioni di solidarietà, prese di
posizione. Negli anni seguenti al 1950 non si verificarono più fatti così
cruenti, anche se la repressione della celere continuava a colpire e a uccidere
operai e manifestanti. Fin dai primi telegrammi, il prefetto Laura, parlò degli
scontri in termini di un attacco preordinato da parte degli operai contro la
forza pubblica schierata in difesa dello stabilimento, mentre per il ministro Scelba
il paese esigeva ordine e tranquillità. L'undici gennaio la popolazione di
Modena si presentò unita ai funerali delle vittime e da quel momento si aprì
una pagina di riflessione nella storia d'Italia.
CIRCOLO DI INIZIATIVA PROLETARIA “GIANCARLO LANDONIO”, BUSTO
ARSIZIO
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