Da sinistra: l'attuale sindaco di San Giuseppe Jato Davide Licari, Andrea Palmeri |
Martedì 3 gennaio il comune di San Giuseppe Jato ha festeggiato i 100 anni di Andrea Palmeri, che fu sindaco del paese jatino dall’agosto del ’48 all’agosto del ’50. Sulla figura di Palmeri, sulla “storia semplice e speciale” di questo sindaco-barbiere, pubblichiamo un piccolo saggio storico significativo e profondo del prof. Pierluigi Basile, che ringraziamo per questo contributo al nostro giornale. (dp) di PIERLUIGI BASILE
Cento
anni fa, nei giorni a cavallo tra il 1916 e il 1917, nasceva uno dei migliori
protagonisti della politica nella valle Jato. Si chiama Andrea Palmeri ed è
stato celebrato dall’amministrazione comunale di San Giuseppe per il suo
illustre passato. Un’esperienza di militanza e impegno civile culminata negli
anni 1948-50 con la carica di primo cittadino. Un
illustre passato che solo all’apparenza stride con la sua umiltà: perché
Palmeri è stato per molti anni un barbiere ed ha sempre assunto un atteggiamento
pacato, disteso e dubbioso. Tutte virtù lontane anni luce dall’arroganza e
dalla supponenza dei giorni nostri. D’altra
parte la storia della rinascita democratica nella nostra valle, come in ogni
altra parte d’Italia nel periodo del secondo dopoguerra, si intreccia e si
alimenta delle vicende personali e delle azioni collettive di persone semplici,
espressione del “popolo” sempre sottomesso e subalterno ed invece chiamato in
questo frangente, prima con la guerra partigiana e poi nella lotta contadina, a
recitare nel ruolo di protagonista.
Un'altra immagine della cerimonia |
Qui
in clandestinità, con la guerra in atto e gli eserciti alle porte nasceva il
primo nucleo del Partito comunista. A notte fonda infatti, spente le luci e abbassata
la saracinesca, Andrea e i suoi compagni ascoltavano Radio Londra, voce delle forze alleate che stavano combattendo
contro l’asse di Mussolini-Hitler. Le trasmissioni erano espressamente vietate
e tutti sapevano di rischiare la detenzione e il confino. Ma, attraverso le
notizie dai fronti di guerra e i commenti che ne seguivano, si prefigurava già
una nuova stagione per l’Italia.
Quando
la riconquistata libertà consentì nuovamente di organizzarsi e far politica
alla luce del sole, quel piccolo salone restò comunque una sorta di seconda
sezione, o meglio una succursale della Camera del Lavoro e della sede del
partito. Lì si discuteva animatamente, si leggevano i quotidiani più diffusi
(il Giornale di Sicilia, La voce della Sicilia, L’Unità) e si organizzavano le attività
di propaganda, gli incontri sindacali e le iniziative del partito.
Il
Blocco del Popolo, formato da socialisti e comunisti, si pose da allora alla
guida delle rivendicazioni dei ceti più poveri – per lo più contadini e piccoli
artigiani – e nel 1946 condusse vittoriosamente la battaglia referendaria a
favore della Repubblica e le prime elezioni amministrative. La rivoluzione
della “Valanca” si era realizzata, un antico sogno di liberazione si era d’un
colpo avverato: gli “animali parlanti”, i miseri e gli oppressi che vivevano
nella zona bassa e più povera del paese – la cosiddetta “Valanca”, oggi
corrispondente al quartiere circostante la via dello Stadio - avevano alzato la
testa, i “rossi” avevano avuto la meglio su cattolici, liberali e separatisti.
I
consiglieri appena eletti designavano come Sindaco un giovane studente di
medicina, Biagio Ferrara. Per partiti costituiti per la stragrande maggioranza
da gente incolta ed analfabeta si trattava degli “intellettuali” (bastava la
semplice maturità liceale per esserlo), un vero fiore all’occhiello da esibire e
sfruttare all’occorrenza per scompaginare gli schemi dello scontro di classe. A
cavalcare in testa all’esercito di straccioni che occupava le terre dei
latifondisti in quei tempi non era infrequente incontrare tali personaggi.
Il
sign. Ferrara Biagio, sindaco di S. Giuseppe Jato, è uno studente
universitario, di carattere assai impulsivo e fanatico (almeno apparentemente)
cultore delle teorie comuniste che cerca di inculcare o rafforzare nell’animo
degli iscritti al P.C. di S. Giuseppe, con frequenti discorsi (in occasioni di
riunioni o cerimonie) durante i quali si compiace di assumere atteggiamenti da
tribuno ed, occorrendo, dar segni di interiore commozione.
Allievo
personale dell’onorevole Li Causi (del quale si vuole prenda direttamente istruzioni)
non difetta di ambizione e non disdegna sovente di diventare fazioso,
ricorrendo a qualsiasi arma morale per colpire gli avversari politici, ovvero a
qualunque espediente per fomentare e alimentare nell’animo dei suoi compagni di
fede – generalmente poveri analfabeti – l’odio di classe.
Così
il giovane sindaco veniva descritto da un funzionario di Polizia nel 1947,
all’indomani della strage di Portella delle Ginestre, che aveva insanguinato la
sua comunità. In quel frangente – come pure sottolineava il rapporto –
mostrando grande coraggio, si contraddistinse come «pubblico accusatore»,
segnalando alle autorità senza riserve i nomi di avversari politici
«generalmente affiliati alla maffia», i quali rappresentano una costante
minaccia per lui. Tanto che veniva giorno e notte accompagnato da alcuni
compagni armati nei suoi spostamenti, specialmente dopo che il venerdì Santo di
quello stesso anno una bomba era stata lanciata contro la sua abitazione.
Il
cerchio delle minacce d’altra parte si faceva sempre più stretto attorno a lui,
così il partito decise – come avrebbe fatto con alcuni testimoni del I maggio
(la famiglia Borruso tra queste) – di allontanarlo dal pericolo: a Ferrara fu
pertanto “consigliato” di completare gli studi a Padova e lasciare
l’incarico.
Giungeva
così inattesa nell’agosto 1948 la svolta che avrebbe cambiato la vita di
Palmeri: a lui, che sino ad allora aveva ricoperto la carica di assessore,
venne affidata la guida del comune. Erano anni terribili segnati come detto
dallo scontro aperto tra movimento contadino e il blocco sociale e criminale
costituito da mafia/bandistismo/agrari; ma anche dal cammino lungo e faticoso
della ricostruzione post-bellica, che doveva rimettere in piedi comunità
piegate dalla fame, dalla distruzione e dalla miseria.
Da
uomo mite, ma tenace, seguì subito l’orientamento della sua “ideologia” e
difese gli interessi degli strati popolari, affrontando il problema del
risanamento della zona bassa, quello dell’acquedotto e delle strade comunali.
Ma il suo grimaldello rimase la vicenda legata alla riscossione della “imposta
di famiglia”, corrispondente all’antico focatico. Perché in quel caso
opponendosi all’ingiusto principio di distribuire tra tutta la popolazione tale
tassa – considerata l’estrema indigenza di un gran numero di concittadini –
riuscì con moderazione e buonsenso a convincere le famiglie più agiate a
sostenere per intero il suo carico.
Non
fu un passaggio facile e per questo dai democristiani e dalle destre fu
accusato e costretto a difendersi di fronte ad una commissione prefettizia.
Secondo loro stava difendendo interessi “di parte”, quelli dei suoi elettori.
Avevano colpito nel segno: faceva proprio quello che ogni politico dovrebbe,
applicando i principi della neonata Costituzione, che impone di tutelare i più
deboli e seguire la logica della contribuzione progressiva (ognuno contribuisce
in ragione e rapporto a quel che ha). Dopo aver incassato i complimenti
dell’ispettore inviato da Palermo – fazioso ma non stupido evidentemente –
Palmeri continuò ad essere il rappresentante dei “poveri cristi” jatini finché
gli fu chiesto, ovvero fino all’agosto del 1950. Fece appena in tempo per
proporre un atto formale contro la guerra in Corea – condiviso e votato poi da
maggioranza e opposizioni – e ricordare il profondo valore della pace.
Poi
si ritirò in buon ordine, ritornando al suo lavoro di barbiere e alla sua vita
di ogni giorno, senza rimorsi né ambizioni, continuando a credere negli ideali
che lo avevano sempre animato. E oggi rappresenta per tutti noi una rara
testimonianza e una lezione vivente di come la politica possa essere una cosa
straordinaria se fatta con passione e umiltà, libertà e schiena dritta. Anche
se a farla sono gente semplice come Andrea, speciali eroi della
quotidianità.
Pierluigi Basile
2 commenti:
Capite perché tanti di noi negli anni '70 divennero e ancora rimangono comunisti ? Per Palmeri di S. Giuseppe Jato,Pinuzzu Italiano di S. Cipirello,Turiddu Termine e Cola Geraci di Partinico,Andrea Tranchina di Balestrate,Pino Di Stefano di Terrasini .Tanto per citare i Comunisti del nostro piu' vicino territorio che costruirono il PCI
Toti Costanzo
Capite perché tanti di noi negli anni '70 divennero e ancora rimangono comunisti ? Per Palmeri di S. Giuseppe Jato,Pinuzzu Italiano di S. Cipirello,Turiddu Termine e Cola Geraci di Partinico,Andrea Tranchina di Balestrate,Pino Di Stefano di Terrasini .Tanto per citare i Comunisti del nostro piu' vicino territorio che costruirono il PCI
Toti Costanzo
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