GIULIANO PISAPIA
È APPENA cominciato il nuovo anno, dunque è tempo di auguri e di
auspici. Mi sono chiesto quale potrebbe essere l’augurio migliore da fare a
tutti noi e devo confessare che ci ho messo un po’ a trovare la risposta. Il
2016 non è stato un anno semplice. E anche il 2017 si annuncia come un anno
difficile. Non c’è una ricetta facile per risolvere le grandi questioni e non
ce n’è nemmeno una condivisa per quelle più piccole. A casa nostra, in questo
momento, domina l’incertezza. Si faranno le elezioni a giugno? Quali saranno le
risposte della Corte Costituzionale sull’Italicum e sui referendum della Cgil?
Quali conseguenze produrranno? Come si sbroglierà la matassa dei voucher? Come
uscire da una crisi economica, ma anche politica e di valori? Come sarà la
nuova legge elettorale?
C’è tanto da fare, ci sono temi, problemi, bisogni e speranze che non
possono attendere. Quali sono le priorità per il Paese? Graduatoria difficile
da comporre… nella mia al primo posto vedo il lavoro. Ho letto, da fonti
diverse, dati contraddittori: crescita del “posto fisso” ma calo
dell’occupazione giovanile; una persona su quattro a rischio di povertà e un
divario crescente tra Sud e Nord, ma anche un maggior clima di fiducia dei
consumatori. Dati e numeri letti e interpretati in maniera diversa, spesso
opposta. In un contesto del tutto nuovo, al quale è impossibile applicare le
vecchie ricette: il lavoro di oggi e di domani non è, e non sarà più, il lavoro
che abbiamo conosciuto fino ad ieri. Bisogna esserne consapevoli e avere il
coraggio di mettere in discussione le proprie certezze anche cambiando rotta,
ascoltando e confrontandosi con chi rappresenta il nuovo.
Poi vedo il tema dei profughi e dell’immigrazione. Gli italiani e le
istituzioni hanno dimostrato di essere capaci di grande solidarietà e
generosità nei confronti di chi scappa dalla guerra, dalla violenza, dalla
tortura, dalla fame. L’arrivo di popolazione dal sud del mondo è diventato un
fenomeno strutturale ed è comprensibile che, con i disagi e le difficoltà,
cresca la paura: l’assistenza e la solidarietà non bastano. Ci sono degli
obblighi che ci derivano dalle Convenzioni internazionali verso chi ha diritto
allo status di rifugiato, che però riguarda una percentuale limitata di
migranti. Ma questo si può sapere solo dopo che quelle persone sono state
salvate dalla morte. È vergognoso dire “ributtiamoli in mare”, ma è anche
difficile, e spesso impossibile, rimandare nel loro Paese coloro che non hanno
diritto a rimanere nel nostro. Bisogna trovare una soluzione, ma, ancora una
volta, partendo dalla realtà e non dall’odio o dalla propaganda.
In parte legato a quello dell’immigrazione, c’è il tema della sicurezza.
Che è un diritto, mentre l’accoglienza è spesso un dovere. I dati ufficiali ci
dicono che i reati, negli ultimi anni, sono diminuiti e che gli episodi di
illegalità sono più numerosi nelle zone centrali. Quello che indubbiamente
aumenta, però, è la percezione di insicurezza. E su questo bisogna puntare, non
dando immagini e numeri parziali e fuorvianti.
Alla fine, mi è venuto in mente quale può essere il vero augurio: riuscire
ad avere un approccio diverso, da parte di tutti, ai problemi. Che si basi
sull’analisi dei dati reali e sulla consapevolezza della complessità e delle
difficoltà. In questi ultimi tempi raramente si è discusso sui dati di fatto:
spesso non si è visto il buono dov’era e neppure i difetti, dov’erano. In
tante occasioni ha prevalso la partigianeria preconcetta, o la mera ricerca del
consenso, non sulla realtà delle cose e sulla possibilità effettiva di
cambiarle. In un’epoca che ha visto il crollo delle ideologie, si è come
sviluppata un’ideologia soggettiva, sorda, cieca e impermeabile alla
complessità dei problemi da affrontare. Senza generalizzare è una riflessione
che riguarda politici, media, cittadini.
Non ho dubbi: l’augurio è che la politica torni ad avere il ruolo
fondamentale che le spetta, oltre le secche della faziosità. Non è un invito
all’ecumenismo, il contrario. È un elogio della politica contro la
partigianeria preconcetta; non sono le stesse conclusioni, quelle a cui si deve
arrivare, ciò che conta è elaborare il proprio pensiero a partire dai dati di realtà.
Ognuno dia risposte — le più diverse, frutto delle differenti opinioni
politiche — ma dia risposte senza strumentalizzazioni e sulla base della realtà
e delle difficoltà. L’analisi, il più oggettiva possibile, è il primo antidoto
contro il populismo.
E c’è un altro auspicio, per illuminare il 2017: quando si critica, o si
contesta una proposta di altri, si proponga un’alternativa realistica e
percorribile e non ci si limiti a proposte irrealizzabili o alla mera critica
distruttiva. È troppo facile, a ogni livello, dire sempre “no, non va bene” o,
come si sente spesso, “il problema è un altro”. La speranza deve guidare il
cammino, ma senza il bagno nella realtà la risposta è la demagogia, non la
realizzazione di un sogno. Ritroviamo la strada perché la politica torni ad
essere, come diceva Vittorio Foa, lo strumento per pensare, oltre a se stessi,
anche agli altri, e oltre all’oggi anche al domani.
La Repubblica, 2 gennaio 2017
1 commento:
Un articolo che tutti dovrebbero leggere con attenzione, per superare partigianerie, preconcetti e faziosità e tuffarsi nella cruda realtà per elencare, oltre che ai problemi che tutti vediamo, anche e soprattutto le soluzioni per risolverli. Spero, veramente, che quanto letto possa essere un punto di partenza per la formazione di una forte e coesa coalizione di centrosinistra.
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