La sede della Calcestruzzi Belice a Montevago (Ag) |
di MATTEO SCIRÈ
Incredibilmente dichiarata
fallita per un semplice debito di trentamila euro un'azienda che ha un volume d’affari superiore al milione e duecentomila euro l’anno. Licenziamenti per gli indici dipendenti
Anche
il sogno della Calcestruzzi Belice Srl di Montevago (Agrigento) sembra
infrangersi contro il muro delle difficoltà con cui si scontrano la maggior
parte delle aziende confiscate una volta che vengono sottratte ai boss. La
società, un tempo di proprietà dell’imprenditore di Partanna Rosario Cascio, condannato per
associazione mafiosa, è stata rilanciata dallo Stato sotto il segno della
legalità e dello sviluppo. Tuttora è gestita dall’Agenzia nazionale per
l’amministrazione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. Ma lo
scorso 29 dicembre il tribunale di Sciacca l’ha dichiarata fallita. I giudici
hanno accolto l’istanza dell’Eni Spa creditrice di circa 30 mila euro. Al
provvedimento ha fatto seguito la comunicazione del preavviso di licenziamento
per gli 11 dipendenti.
Un
sconfitta bruciante non solo dal punto di vista imprenditoriale, ma anche
culturale. Perché a fallire non è soltanto l’azienda, ma la stessa lotta alla
mafia. Il messaggio che rischia di passare è quello secondo cui lo Stato, al
contrario della criminalità organizzata, non riesce a garantire il lavoro.
Anche perchè la società ha un buon fatturato, che supera il milione di euro.
“La
Calcestruzzi Belice – spiega il sindaco di Montevago
Margherita La Rocca Ruvolo – è un’azienda sana, che ha
un volume d’affari superiore al milione e duecentomila euro l’anno, non è
possibile che l’agenzia per i beni confiscati non trovi una soluzione,
lasciando undici padri di famiglia in mezzo la strada”.
“Un provvedimento assurdo”, aggiunge il sindacalista Vito Baglio, segretario provinciale della Fillea Cgil, per il quale “la lotta alla mafia si fa incrementando i posti lavoro, non togliendo il lavoro a chi ce l’ha”.
“Un provvedimento assurdo”, aggiunge il sindacalista Vito Baglio, segretario provinciale della Fillea Cgil, per il quale “la lotta alla mafia si fa incrementando i posti lavoro, non togliendo il lavoro a chi ce l’ha”.
La
notizie è stata diffusa ieri nel giorno in cui la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, si trovava a Sciacca
per commemorare il 70esimo anniversario dell’omicidio del sindacalista Accursio
Miraglia. La leader del sindacato ha incontrato una delegazione della
Calcestruzzi Belice di Montevago. “Parleremo con l’agenzia
nazionale – ha detto – che amministra i beni sequestrati alla criminalità,
affinché riveda questa assurda decisione”.
Contro
la decisione del Tribunale di Sciacca “l’Agenzia nazionale per
i beni confiscati ha proposto reclamo davanti alla corte d’Appello, che verrà
esaminato il 2 febbraio. Nel frattempo, visto che l’attività di estrazione è
boccata, abbiamo dato autorizzazione a continuare a vendere il materiale”. A dirlo è il direttore dell’Agenzia,
Umberto Postiglione.
“Le
caratteristiche di questo fallimento sono singolari –
commenta Postiglione – tutto il debito per il quale la magistratura
ha stabilito che l’azienda va fallita è di 30 mila euro, debito che la
Calcestruzzi prima del sequestro aveva nei confronti dell’Eni, la quale si è
sottoposta a verifica dei crediti. Il credito è molto modesto per mandare a
gambe all’aria una struttura”.
“Nel
settore delle costruzioni la mafia ha buon gioco – dice Postiglione –
e non c’è mercato; più facile è invece rimettere in sesto gli alberghi, con
alcuni dei quali abbiamo ottenuto grandi risultati fino a migliorarne qualità,
fatturati e numero di ospiti. Il settore delle costruzioni è più delicato, vede
purtroppo concentrati molti investimenti dei mafiosi”.
Per il deputato del Pd Davide
Mattiello, relatore alla Camera della riforma del Codice Antimafia, il problema è
strutturale e la soluzione risiede in Parlamento: “se il nuovo Codice
Antimafia fosse stato legge, questa assurdità non sarebbe stata possibile,
invece il testo è fermo in Senato dal Novembre del 2015″.
“Questa vicenda – spiega Mattiello – va chiarita: perché una azienda confiscata da anni, era ancora direttamente amministrata dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati? Cosa ha fatto l’Agenzia per ricollocare sul mercato questa azienda, tutelando i livelli occupazionali? Come è possibile che l’ENI abbia chiesto il fallimento di questa azienda per avere soddisfazione di un credito di 30 mila euro? In altre parole: un pezzo dello Stato avrebbe chiesto (e ottenuto!) il fallimento di un altro pezzo di Stato per 30 mila euro senza tenere in alcun conto né il devastante valore simbolico né il devastante valore occupazionale di una simile scelta. Fino a che la confisca di una azienda capace di stare nel mercato si trasformerà in disoccupazione e fallimento, lo Stato non chiuderà la partita contro la mafia”, conclude il deputato Dem.
“Questa vicenda – spiega Mattiello – va chiarita: perché una azienda confiscata da anni, era ancora direttamente amministrata dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati? Cosa ha fatto l’Agenzia per ricollocare sul mercato questa azienda, tutelando i livelli occupazionali? Come è possibile che l’ENI abbia chiesto il fallimento di questa azienda per avere soddisfazione di un credito di 30 mila euro? In altre parole: un pezzo dello Stato avrebbe chiesto (e ottenuto!) il fallimento di un altro pezzo di Stato per 30 mila euro senza tenere in alcun conto né il devastante valore simbolico né il devastante valore occupazionale di una simile scelta. Fino a che la confisca di una azienda capace di stare nel mercato si trasformerà in disoccupazione e fallimento, lo Stato non chiuderà la partita contro la mafia”, conclude il deputato Dem.
Nell’attesa
che il Parlamento si decida a varare la riforma e che la giustizia faccia il
suo corso la mafia brinda. E’ questo l’inizio
d’anno peggiore che i lavoratori della Calcestruzzi Belice e la società civile
impegnata nella lotta alla criminalità si potevano aspettare.
Dal
blog evonomico siciliano: Secolo Ventuno, 5/1/2017
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