UMBERTO ECO
Scrittura e memoria tutti i segreti e gli errori delle biblioteche
COME si inventa la scrittura nasce il problema del supporto dove
applicarla. Come ci racconta Platone nel Fedro, quando il dio Theuth
propone al faraone quello strumento che si chiama scrittura il faraone si
inquieta perché pensa che con questo strumento gli uomini perderanno il dono
della memoria. Non sapeva che solo grazie alla scrittura avremmo avuto le
migliaia di pagine di Alla ricerca del tempo perduto. Ma certamente
Theuth aveva inventato la scrittura per supplire alla labilità della nostra
memoria e per trovare un modo di conservare l’informazione in modo non perituro
e non privato (bensì collettivo, in quanto infinitamente riproducibile). Però
c’era un terzo requisito che probabilmente Theuth aveva in mente: che si
trovasse un supporto che non fosse solo duraturo ma anche facilmente
maneggevole.
Il faraone non pare avere compreso il problema nel suo insieme: gli egizi
iniziavano a scrivere incidendo su steli e sappiamo quanta fatica costi
trasportare un obelisco. Il fatto è che il problema era duplice: uno concerneva
la materia del supporto, e riguardava la sua resistenza al tempo, l’altra la
forma del supporto, e riguardava la sua trasportabilità e consultabilità. E non
era detto che i due problemi si potessero risolvere insieme. Per esempio le
tavolette d’argilla su cui incidevano i sumeri erano trasportabili o almeno
archiviabili (alcuni testi come il poema di Gilgamesh venivano scritti su più tavolette
numerate raccolte in un contenitore), però erano fragili. In compenso, siccome
erano piccole credo abbiano incoraggiato l’invenzione di quella stenografia che
era in fondo il cuneiforme.
Per ovviare alla fragilità, è stata certamente una bella invenzione la
tavoletta cerata, che nasce anche prima dei romani, la quale non solo non è
delicata come l’argilla, ma è anche cancellabile e usabile più volte.
Naturalmente è buona per gli appunti e non per consegnare ai posteri opere
immortali. A quelle si penserà col papiro, probabile invenzione aramaica, usato
sin dal III millennio a.C. Siamo già a un sistema di trasmissione
dell’informazione che è simile ad alcuni che ancora usiamo, o che almeno
usavano i nostri padri: c’è una penna (il calamo, segmento di canna di palude,
appuntito di sbieco e spaccato a una estremità) e l’inchiostro (che varia a
seconda delle epoche o dei luoghi: per esempio gli egizi, i greci e i romani
usavano una soluzione di nerofumo prodotto bruciando resina, sciolto in una
soluzione acquosa di gomma a cui si aggiungevano miele e noce di galla).
Il difetto, ma all’epoca non lo si sapeva, era la labilità: basta fare il
conto di quanti manoscritti su papiro ci sono arrivati, sia pure tenendo conto
del fatto che le biblioteche dell’antichità bruciavano con facilità. I testi in
circolazione erano migliaia eppure non ce ne sono pervenuti moltissimi, e in
malo stato (se i manoscritti del mar Morto hanno resistito meglio è stato
grazie a condizioni climatiche e ambientali eccezionali). Si tenta di ovviare
alla labilità del supporto già in Egitto producendo il cuoio scrittorio usato
per testi religiosi: pelli di capra assottigliate e conciate con succo di
frutti d’acacia ricchi di tannino, e poi tagliato in strisce come quelle del
papiro. Il materiale non si putrefaceva ma si essiccava e frantumava col
tempo (la maggior parte di queste strisce sono andate perdute).
Dopo il cuoio si è tentato con la pergamena, sempre fatta con pelli di
animale (per lo più pecora ma anche vitello o capra) macerate nella calce,
quindi tese, rasate, asciugate, levigate, tagliate e rifilate. La pergamena è
più flessibile e meno deperibile del cuoio. È verosimile che sia stata
inventata a Pergamo tra III e II secolo a.C. Tuttavia per lungo tempo il papiro
viene considerato più elegante e ancora sant’Agostino si scusa di avere scritto
una lettera su pergamena e non su papiro. Però il papiro era quasi trasparente,
non poteva essere scritto su ambedue le pagine del foglio e richiedeva un
inchiostro molto leggero, che si cancellava più facilmente. La pergamena
poteva essere scritta su ambo le pagine e reggeva inchiostri indelebili.
Su di essa risultavano meglio eventuali miniature. Insomma, che piacesse o
meno a
sant’ Agostino, sino a circa il milletrecento vince la pergamena.
Comunque, papiro o pergamena, se i fogli vengono incollati tra loro a
formare un rotolo nasce il volumen (di cui troviamo le prime testimonianze
nel XIV secolo a.C. e che resiste come sistema di trasporto dell’informazione
più di tremila anni, perché in fondo era il modo in cui sino ai nostri anni
Ottanta gli architetti trasportavano ancora i loro progetti). Il volumen può
essere trasportato e riprodotto: diventa pertanto oggetto di mercato nel
VI secolo a.C., quando amanuensi specializzati iniziano a metterli in vendita
per acquirenti facoltosi. Nascono così l’officina e il mercato del libro.
Manca solo il libro. Esso appare come codex tra III e IV
secolo d.C. (anche se ne abbiamo rari esempi nei secoli precedenti). La
pergamena consente di comporre un libro a fogli ripiegati e poi rilegati. Il codex ha
questa meravigliosa qualità: se il rotolo permetteva una lettura bidimensionale
(dall’alto in basso e da destra a sinistra, o viceversa), esso introduce nella
lettura la terza dimensione perché può essere sfogliato ed è così che si
possano consultare quasi contemporaneamente la prima e l’ultima parte del testo
(il volumen non poteva essere “percorso” rapidamente). Non solo il codex è
ideale per la consultazione, ma facilita la lettura. Si dice che esso sia stato
diffuso in ambiente cristiano per differenziare il testo del Nuovo Testamento
da quello dell’Antico, soprattutto perché permetteva la consultazione di
vangeli sinottici. Rilegato bene e con buona pergamena il codex poteva
essere trasportato; non parlo dei pesantissimi formati in folio, ma si pensi a
libri d’ore miniati, grandi come una nostra agendina. Riprodurli era molto
costoso, è ovvio.
Ultima invenzione prima del libro a stampa, nel tardo medioevo, la carta
(fatta con stracci) sostituisce la pergamena. E se qualcuno pensa che la carta
fosse materiale di supporto più labile della pergamena è perché non ha mai
sfogliato un bell’incunabolo, che ancora oggi crocchia quando si tenta di
sgualcire il foglio.
Purtroppo verso la metà circa dell’Ottocento si è passati dalla carta di
stracci alla carta di legno, ben più deperibile. Se la carta non è di altissima
qualità, un libro moderno ha una vita media di settant’anni, e dopo inizia a
sbriciolarsi. [...] Certamente io sono felice che esistano degli e-book con cui
un magistrato che debba consultare di continuo le migliaia di pagine degli
atti di un processo possa portarsi dietro l’informazione che gli serve senza
dovere usare un tir, così come io sono lieto di aver riversato su una memoria
portatile di 250 GB buona parte della letteratura universale e dei testi
filosofici, così che mentre lavoro posso recuperare in un istante un canto
della Divina Commedia o una questione della Summa Theologica senza
dovermi alzare e tirar giù volumi ingombranti dallo scaffale. Ma so anche che
basterebbe, come mi è accaduto l’estate scorsa, un fulmine in giardino per
smagnetizzare la mia memoria, che se ci fosse un blackout continuato non potrei
più usare quella informazione, che se ho pur registrato sulla mia memoria
elettronica tutto il Don Chisciotte non posso leggerlo in tal modo a
letto, alla luce di una candela, su di una amaca, in barca, nella vasca da
bagno, in altalena, mentre un libro mi consente di farlo anche nelle condizioni
più disagiate. E se mi cade il computer o l’e-book dal quinto piano sono
matematicamente sicuro di aver perso tutto mentre se mi cade un libro al
massimo si sfascia, ma il testo di cui è supporto rimane integro. Chi può
ancora leggere sui computer oggi in circolazione, un floppy disk degli anni
Ottanta? E, se riuscissimo a trovare ancora il lettore adatto, non si sarebbe
nel frattempo smagnetizzato? [...] Pertanto, o voi che vi occupate della
distribuzione e vendita dei libri, sappiate che a voi è affidata la
conservazione della memoria culturale che, almeno per ora, i vari supporti
meccanici, magnetici, elettrici ed elettronici non hanno ancora dimostrato di
garantire. Il problema è che i supporti moderni sembrano mirare più alla rapida
diffusione dell’informazione che alla sua conservazione. Il libro è stato
strumento principe della diffusione dell’informazione (pensate al ruolo che ha
avuto la Bibbia a stampa per la riforma protestante) ma al tempo stesso anche
della sua conservazione.
Sì, ho detto che le biblioteche sono preoccupate del fatto che la carta di
legno non dura più di settant’anni. Ma ecco un libro del 1951, quando gli
editori francesi di opere scientifiche usavano forse il peggior tipo di carta
mai esistito. È vero, se non faccio attenzione a sfogliarlo le pagine si
spezzano agli angoli, alcune addirittura si sbriciolano. Non potrei, a causa
dell’arrossamento della carta, scannerizzarlo. Eppure, dopo quasi sessant’anni,
il libro è ancora consultabile e se esso fosse l’unica copia di quest’opera, in
qualche modo, magari ricopiandolo a mano, potrei salvarne il contenuto. Nessuna
scienza mi assicura che tra sessant’anni questa chiavetta che porto così
facilmente in tasca non si sia smagnetizzata. Di fronte a questa prospettiva
angosciosa, teniamoci cari i libri. E il tenerceli cari non significa che non
si possano far circolare a buon prezzo.
La Repubblica, 26 gennaio 2017
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