di CLAUDIA BRUNETTO
Sei profughi scampati alle traversate aprono la loro
cooperativa agricola con il supporto della Caritas
Mostra con orgoglio gli ortaggi e la frutta che ha raccolto dopo mesi di
duro lavoro. Sorride alle persone che vogliono acquistarli e accompagna ogni
sacchetto della spesa con un “grazie” ben scandito. Accanto a lui c’è la figlia
Prospery che oggi ha tre anni. La foto della piccola con l’orsacchiotto in
mano, in braccio al suo papà al porto di Palermo, un anno e mezzo fa fece il
giro del mondo. Alpha e Prospery erano appena sbarcati dopo un terribile
viaggio in cui la mamma della bambina aveva perso la vita. Oggi è tutto
cambiato. Alfa è uno dei sei migranti della cooperativa “La carità non finisce
mai”, partita grazie al supporto della Caritas di Palermo. Ha finalmente
un lavoro che gli consente di guadagnare uno stipendio alla fine del mese e di
mantenere una casa in affitto. I migranti si occupano di tutto: dal lavoro
della terra alla vendita dei prodotti. «Sono felice — dice Alpha, originario
della Sierra Leone — la ma vita a Palermo è cambiata».
Da ieri e per tutta la giornata di oggi, i prodotti della cooperativa sono
in vendita nei locali della parrocchia di Falsomiele, retta da don Sergio
Mattaliano, a capo della Caritas di Palermo. Ieri pomeriggio c’erano già tante
famiglie della zona e non solo pronte ad acquistare i prodotti.
«In un anno — dice Mattaliano — abbiamo fatto passi da gigante. I ragazzi
lavorano nei terreni che abbiamo in affitto nella nostra fattoria solidale
a Ciminna, ma anche in altri terreni che affittiamo di volta in volta. Abbiamo
coltivato, per esempio, ben 18 ettari pomodoro, ma abbiamo anche fatto il vino,
l’olio e il limoncello».
Tommaso, come si fa chiamare da quando ha deciso di intraprendere un
cammino di fede e di battezzarsi, è arrivato dalla Costa D’Avorio. Nel 2015 è
sopravvissuto per miracolo a bordo del barcone in cui un gruppo di migranti
musulmani decise di gettare in mare i cristiani presenti a bordo. Kolly,
invece, del Mali ha visto morire tutti i suoi parenti nel viaggio che due anni
fa l’ha portato in Sicilia. Adesso ha trovato una seconda casa. Parla siciliano
e conosce tutti i nomi dei prodotti locali. «Voglio guardare avanti — dice
Tommaso — E questo lavoro mi dà la possibilità di farlo. Coltivo, raccolgo i
frutti e poi li vendo. Così ho uno stipendio che mi consente di vivere in una
casa tutta mia». A Palermo, Abu Bacar del Senegal, ha trovato anche l’amore. Ha
sposato Fatima con cui ha un figlio di 11 mesi: Sergio, in segno di gratitudine
verso don Sergio Mattaliano. «Quando sono arrivato a Palermo — racconta Abu —
pensavo di continuare il viaggio verso l’Europa. Invece qui ho trovato tutto.
Lavoro, affetto e tanta solidarietà. Quando finalmente ho ottenuto i documenti,
non sapevo come muovermi per trovare un lavoro. Fino a quando non è arrivata la
possibilità della cooperativa. Abbiamo tutto in regola e anche la licenza per
vendere come ambulanti. Il lavoro mi appassiona e dà dignità alla mia vita».
Fatima, al suo fianco, non smette di ringraziare tutti quelli della parrocchia
di Falsomiele che l’hanno accolta. «Sono felice — dice Fatima — qui ho avuto
tutto. Nel mio Paese sono stata costretta a sposarmi tre volte e sono scappata.
Qui ho trovato la serenità. Adesso spero di poter far venire qui anche i miei
tre figli che sono rimasti in Africa».
Repubblica Palermo, 20 nov 2016
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