Alcuni mafiosi nigeriani arrestati |
SALVO PALAZZOLO
Il primo pentito racconta come è nata la base
siciliana Pestaggi, stupri, spaccio, prostituzione: 17 arresti
«Lo faccio per i miei figli - ha esordito - non voglio che passino quello
che ho vissuto io. Per questo ho deciso di raccontarvi tutto». Sembrano le
parole di un pentito della mafia siciliana. Invece, sono le parole del primo
collaboratore di giustizia della mafia nigeriana a Palermo. Il trentenne
Austine Johnbull ha fatto la sua scelta in pieno agosto, era rinchiuso nel
carcere di Pagliarelli, per scontare una condanna a 12 anni. Ed ha iniziato un
lungo racconto che stanotte ha fatto scattare un blitz della squadra mobile
diretta da Rodolfo Ruperti contro 17 persone: sono i capi e i gregari della
“Black Axe”, uno dei gruppi più agguerriti della mafia nigeriana.
«A Palermo c’è un forum dal 2009», dice Johnbull. «E un capo zona che opera
a Ballarò, il cuore di tutto. Lui si chiama Sylvester Collins detto Evans». È
il capolista dell’indagine condotta dal procuratore aggiunto Leonardo
Agueci e dai sostituti Sergio Demontis e Gaspare Spedale. «Arrivarono da tutta
Italia per la costituzione del forum di Palermo - spiega ancora il pentito, che
oggi vive in una località segreta - prenotammo un intero pub alla Vucciria per
la riunione, si chiama “Il Covo”». Per l’occasione, arrivò anche il capo
dei capi della “zona italiana”, Pedro Erhonmosele detto Pedro, è stato
arrestato la scorsa notte a Padova. «Facemmo una colletta per ospitarlo in un
buon albergo». E dopo il summit per la creazione della filiale palermitana, fu
organizzata una festa.
«In questi anni sono diventati uno “stato parallelo” - dice Agueci -
all’organizzazione Black Axe contestiamo il reato di associazione mafiosa,
perché come mafiosi operavano». «Chi si ribellava alle regole
dell’organizzazione veniva picchiato in modo brutale», ha proseguito
il pentito. Un altro nigeriano, in procinto di entrare nel clan, ha confermato.
Adesso, è un testimone di giustizia, anche lui è stato trasferito lontano da
Palermo. «Le punizioni erano esemplari - ha proseguito Johnbull - attraverso
violenze ses- suali e pestaggi». È una mafia violenta quella che si è
impossessata di Ballarò e teneva sotto ricatto la comunità nigeriana. «La mafia
tollerava - dice Ruperti - abbiamo prova che i nigeriano fornivano droga e
altro tipo di servizi criminali agli italiani ». Di sicuro, i Black Axe erano
imbattibili nella tratta di esseri umani, spiega il questore Guido Longo: «Dopo
gli sbarchi, in molti finivano nella loro rete. Vittime erano soprattutto le
donne, costrette a prostituirsi ».
Era una struttura ben organizzata. «A livello nazionale,
Head è il capo supremo - spiega il pentito - Spiritual interviene
nelle procedure di punizione, il ministro della difesa è incaricato delle
operazioni sul campo». A livello locale c’erano «il Cif Asa, si
occupa della cassa, il Cif eye, incaricato di controllare la
sicurezza delle riunioni. Poi ci sono i Bucha, i picchiatori». Una
struttura verticistica, come quella di Cosa nostra, che a Ballarò ha avuto una
roccaforte fino a qualche anno fa, poi i blitz hanno decapitato la famiglia di
Alessandro D’Ambrogio.
Dice Johnbull: «Sono loro che sceglievano chi affiliare a Ballarò. Il first
match, lo chiamavano. La prima partita. Chi si rifiutava veniva picchiato: un
giovane fu violentato per tutta la notte con un tubo di ferro perché non voleva
essere affiliato. Sono davvero un gruppo pericoloso. A un certo punto ci fu anche
una guerra fra noi». Qualche mese fa, un’esclalation di pestaggi seminò il
panico a Ballarò. I Black Axe furono costretti a fronteggiare una scissione.
«”Ti taglio la testa”, urlavano in strada. Camminavano armati. E le vendette
scattavano anche nei confronti dei parenti in Niger. Soprattutto per le ragazze
che si rifiutavano di prostituirsi ».
L’indagine è ancora in corso. Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire
gli affari di droga gestiti dai boss nigeriani a Palermo. C’è anche una donna
fra gli arrestati: «Le donne non fanno parte dei Black Axe», ha spiegato il
pentito. Lei era l’insospettabile per tanti affari dei mafiosi nigeriani a
Palermo. I boss puntavano a nuovi investimenti, nel settore del commercio.
La Repubblica/Palermo, 19 nov 2016
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