ATTILIO BOLZONI
L’Europa accoglie il ricorso presentato dall’Italia che aveva chiesto di
far togliere la parola dalle insegne dei locali intitolati a Cosa Nostra. “È
contrario ai principi di moralità”
GIÀ STANNO pensando a come smontare le gigantesche sagome di don Vito
Corleone e oscurare le foto di Lucky Luciano, a sostituire i ritratti di
Calogero Vizzini e di Giuseppe Genco Russo. E come rimpiazzare il menu di San
Valentino, quello che non ricorda solo la festa degli innamorati ma anche Al
Capone e la strage di Chicago del 14 febbraio del ‘29. In Spagna, per ordine
dell’Europa devono rifare il look alle vetrine e cambiare un nome: “Mafia”. Non
possono più spacciare il buon cibo italiano associandolo a quel marchio
sinistro. TROPPO «contrario ai principi di moralità» chiamare con quella
parola una catena di ristoranti. Sarà magari solo una questione di affari, sarà
— almeno nelle intenzioni — solo l’insolente uso di un brand commerciale, ma
l’Unione europea non vuole che il vocabolo in questione figuri ancora nelle
insegne di una quarantina di fast food di alta fascia che risplendono dai Paesi
Baschi fino a Gibilterra.
Anche se ormai è la parola italiana più famosa al mondo — più di pizza e
più di spaghetti — basta con la mafia e il suo malinteso senso dell’onore,
basta con le cialtronerie sul valore sacro della famiglia e dell’amicizia, con
le leggende che si raccontano sulla mafia e che la stessa mafia alimenta
generazione dopo generazione.
Dopo un ‘indagine conoscitiva (l’occasione l’ha offerta un reportage di Repubblica del
febbraio 2014) e una battaglia della presidente della commissione antimafia
Rosy Bindi, i ristoranti spagnoli “La Mafia” (nome per intero “La Mafia se sienta
a la mesa”, la mafia si siede a tavola) sono stati fortemente censurati
dall’Ufficio Marchi e Disegni - Divisione Cancellazioni - dell’Unione europea
che ha deciso di annullare il contrassegno numero 5510921 accogliendo un
ricorso dell’Italia «per l’invalidità del marchio». No Mafia.
Tutto è cominciato con una protesta formale partita dalla Bindi e
indirizzata a Emma Bonino quando era ministro degli Esteri, seguita da una
corrispondenza fitta fra gli uffici dell’Antimafia, la Farnesina e l’ambasciata
italiana a Madrid. In Europa il caso si è chiuso con tutte le motivazioni del
ricorrente (l’Italia, rappresentata dall’ex ambasciatore Pietro
Sebastiani) recepite. Un’infinità di buone ragioni. La prima: «L’accostamento
del termine “mafia” manipola l’immagine estremamente positiva della cucina
italiana. Inoltre la locuzione “se sienta a la mesa” è un tentativo di volere
attribuire un carattere di benignità al nome di una delle organizzazioni più
pericolose mai esistite in Italia». E soprattutto: «Le organizzazioni criminali
di tipo mafioso sono una chiara e presente minaccia per tutta l’Unione europea
perché non sono attive solo in Italia ma anche in altri Stati membri: la Spagna
è uno dei Paesi preferiti da molte di loro».
Corposa la documentazione inviata dalla commissione antimafia all’Europa.
Relazioni della Dia e della procura nazionale antimafia, foto delle stragi di
Capaci e di via D’Amelio, dossier dell’Fbi, articoli sull’uccisione del
presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella (assassinato il 6
gennaio 1980 a Palermo, fratello del Capo dello Stato), interrogazioni parlamentari
alla Commissione europea sui ristoranti spagnoli. E, infine, la segnalazione di
come il Touring Club Italiano abbia già provveduto a cancellare dalla sua guida
il riferimento a uno dei locali “Mafia”, quello di Valencia. Come hanno reagito
i proprietari della catena sott’accusa — che ha sede legale a Saragozza — alle
rimostranze dell’Italia? Contestando tutto. Lamentandosi «del fatto che il
consumatore medio che andrebbe preso in considerazione è la normale famiglia
spagnola che desidera andare in un ristorante italiano». E che l’Ambasciatore
italiano, «dovrebbe essere considerato nell’ambito di quel pubblico, in qualità
di rappresentante dell’Italia, che può offendersi facilmente e che di
conseguenza di lui non si dovrebbe tenere conto». L’Ufficio europeo ha però
sentenziato: «Il marchio deve essere dichiarato invalido per tutti i beni e
servizi in contestazione ». Gli spagnoli hanno presentato appello. Anche perché
ai 38 ristoranti in franchising già sparsi dai Pirenei all’Andalusia, se ne
stanno aggiungendo altri tre. A Granada, a Santa Cruz de Tenerife, a Las
Palmas. Più di 400 dipendenti, nella Spagna della depressione questi luoghi che
ammiccano alle gesta dei boss sembrano immuni dalla crisi.
«La mafia crea empleo», la mafia crea lavoro, è uno degli slogan preferiti
dai loro “creativi”, odiosa battuta ben conosciuta anche dalle nostre parti.
Nessuna meraviglia, in Spagna hanno costruito il business tutt’intorno alle
“virtù” dei boss. In quei ristoranti c’è anche una “zona infantil” dedicata a
“los Piccolinos de la Mafia”, un menu speciale a 8,50 euro. E ai bimbi vengono
offerte pure caramelle. Avvolte in una carta nera con la solita scritta: “La
Mafia”.
La Repubblica, 20 ottobre 2016
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