Eugenio Scalfari |
EUGENIO SCALFARI
Oligarchia
democratica o dittatura: questo è stato, è e sarà il sistema politico
dell’Occidente
SONO stato
molto contento come vecchio fondatore di questo giornale che il nostro
direttore Mario Calabresi abbia deciso di aprire un dibattito sulle varie tesi
che riguardano il referendum costituzionale che sarà votato dai cittadini il 4
dicembre prossimo e la vigente legge elettorale che molti (e io tra questi)
considerano malfatta o addirittura pessima. Il dibattito
sulle nostre pagine è avvenuto anche perché Repubblica ha
ricevuto una quantità di lettere e di messaggi via web su quei medesimi
argomenti, esprimendo variamente il loro atteggiamento sul voto Sì o il voto No
o l’astensione attiva (come l’ha definita Fabrizio Barca in un suo memorandum
in circolazione nelle sezioni del partito democratico).
Sono infine
molto grato a Gustavo Zagrebelsky che ha dato il via a questa discussione nel
suo incontro televisivo di qualche giorno fa con Matteo Renzi.
Desidero subito
chiarire un punto: io non sono contrario al referendum per ciò che contiene e
che in sostanza consiste nell’abolizione del bicameralismo perfetto. Esso
esiste già in quasi tutti i Paesi democratici dell’Occidente, rappresenta un
elemento a favore della stabilità governativa che non significa necessariamente
autoritarismo: può significarlo però se la legge elettorale è fatta in modo da
conferirgli questa fisionomia. Ragion per cui mi sembra onesto dichiarare fin
d’ora quale sarà il mio voto al referendum.
SE IL GOVERNO cambierà
prima del 4 dicembre alcuni punti sostanziali della legge elettorale o quanto
meno presenterà alla Camera e al Senato una legge elettorale adeguata che sarà
poi approvata dopo il referendum, voterò Sì; se invece questo non avverrà o se
eventuali modifiche a quella legge saranno di pura facciata, allora voterò No.
Coloro che non
vedono (o fanno finta di non vedere) la connessione che esiste tra un
Parlamento monocamerale e l’attuale legge elettorale sono in malafede o
capiscono ben poco di politica ed oppongono il renzismo all’antirenzismo, cioè
la simpatia o l’antipatia verso l’attuale presidente del Consiglio in quanto
uomo. Evidentemente questo è un modo sbagliato di pensare. Ricordo a chi non lo
sapesse o lo avesse dimenticato che Napoleone Bonaparte difese da capitano
d’artiglieria dell’esercito francese (lui era stato fino ad allora di
nazionalità corsa) il Direttorio termidoriano eletto dalla Convenzione dopo la
caduta di Robespierre che aveva provocato la reazione di piazza dei giacobini.
Questo avvenne nel 1795. Pochi anni dopo il 18 brumaio Napoleone decise di
sciogliere il Direttorio, lo sostituì con il Consolato composto da tre Consoli
due dei quali non contavano nulla e il terzo che era lui aveva tutti i poteri.
Di fatto era l’inizio dell’impero che fu dopo un paio d’anni definito come
tale.
Come vedete e
già sapete gli umori cambiano secondo le circostanze sicché votare pro o contro
deve riguardare soltanto il merito e non il nome di chi lo propone.
***
Fatte queste
premesse debbo ora affrontare le questioni dell’oligarchia e della democrazia,
che hanno diviso Zagrebelsky e me. Crazia è un termine greco che
significa potere. Olisignifica pochi, demos significa molti,
cioè in politica popolo sovrano. Il potere a pochi o il potere a molti. Così
dicono i vocabolari, così pensa la maggior parte della gente e così ha
sostenuto Zagrebelsky nel suo dibattito con Renzi prima e con me due giorni
dopo.
Al contrario io
penso che la democrazia, di fatto, sia guidata da pochi e quindi, di fatto,
altro non sia che un’oligarchia.
Una sola
alternativa esiste ed è la cosiddetta democrazia diretta che funziona
attraverso il referendum. In quella sede infatti il popolo si esprime
direttamente, ognuno approva o boccia con un voto di due monosillabi, il Sì
e il No, il suo parere su un quesito. I singoli cittadini quando raggiungono il
numero previsto dalla legge, possono presentare quesiti sotto forma di domanda
e sottoporli al voto.
Naturalmente
quel Paese è uno Stato che ha una sua Costituzione la quale, preparata dai
partiti o da un gruppo dei saggi, viene sempre approvata per via referendaria.
Tutto ciò premesso
riguardo alla democrazia diretta, va detto che dirigere un Paese soltanto con i
referendum è tecnicamente impossibile in Stati la cui popolazione ammonti a
milioni di abitanti e convive con miriadi di Stati diversi con i quali esistono
complessi rapporti di amicizia o di conflitto, scambi economici o sociali, pace
o guerra. Pensare e supporre che tutta questa vita pubblica possa essere
governata attraverso i referendum è pura follia e non si può parlare neppure in
astratto di questa ipotesi.
Il dibattito
dunque è un altro e le posizioni sono già state presentate: io sostengo che la
vera democrazia non può che essere oligarchica, molti invece e Zagrebelsky
per primo sostengono che quei due temi sono opposti e che non possiamo da veri
uomini liberi che preferire i molti ai pochi. Quindi: partiti dove tutti i
militanti determinano la linea, il Parlamento (bicamerale o monocamerale che
sia) è la fonte delle leggi. Chi rafforza il Parlamento, eletto dalla totalità
dei cittadini aventi diritto o comunque dagli elettori che usano il loro
diritto di voto, rafforza la democrazia, cioè il governo dei molti.
Questo è dunque
il dissenso che personalmente giudico soltanto formale e non sostanziale poiché
non tiene conto della realtà. Naturalmente questa mia affermazione va
dimostrata.
Gli elettori il
giorno del voto hanno davanti a loro la lista dei candidati dei vari partiti.
Qualche nome lo conoscono perché sono rappresentanti di quei partiti, ma la
maggior parte di quei nomi è sconosciuta. Se comunque hanno scelto il partito
per cui votano condividendone il programma o addirittura l’ideologia, votano
quel partito e anche il nome di uno dei candidati. Ma chi ha scelto quei
candidati?
Dipende dalla
dimensione dei singoli partiti. Se sono di molto piccole dimensioni la scelta
viene fatta dai leader e dai suoi consiglieri. Così avvenne quando Fini e poco
dopo Casini decisero di abbandonare Berlusconi e così avvenne allo stesso
Berlusconi che non ha mai avuto un partito. Forza Italia non fu mai un partito
ma un gruppo di funzionari della società di pubblicità dello stesso Berlusconi.
Così avvenne anche per Vendola e per i radicali di Pannella. Ma se il partito è di
ampie dimensioni, come la Dc, il Partito socialista e quello comunista, la
scelta avveniva nel Comitato centrale. Il Congresso, una volta terminato, si
scioglieva dopo avere appunto eletto il Comitato centrale. Era questo il solo
organo governante di quel partito, che eleggeva la direzione che a sua volta
eleggeva il segretario.
Ho già fatto un
elenco di nomi che guidarono quei partiti e quindi non mi ripeterò. Ricordo
soltanto che mettendo insieme il Comitato centrale, i sindaci delle maggiori
città ed i loro più stretti collaboratori, si trattava al massimo di un
migliaio di persone. Il ponte di comando era quello, che decideva la linea del
partito, i candidati e i capilista nelle elezioni amministrative e in quelle
politiche.
Un migliaio di
persone cioè indicavano i loro rappresentanti in Parlamento il quale
rappresentava e tuttora rappresenta i milioni di cittadini che li hanno votati.
Non è un’oligarchia di pochissimi che determinano la partecipazione di
moltissimi i quali nel loro insieme rappresentano la sovranità del popolo e
quindi il Demos che chiamano democrazia?
È sempre stato
così, nella civiltà antica, medievale, moderna. L’alternativa è la dittatura.
Oligarchia
democratica o dittatura: questa è stata, è e sarà il sistema politico
dell’Occidente. Nelle altre parti del mondo la dittatura è la normalità con
rare eccezioni di Paesi a struttura federale come l’India e l’In-donesia.
Per quanto mi
riguarda non ho altro da aggiungere a quanto qui ho scritto. Se Zagrebelsky
vorrà prendere atto o contestare queste mie conclusioni siamo ben lieti di
leggerlo.
La Repubblica, 9 ottobre 2016
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