La foto a figura intera di Matteo Messina Denaro |
di SALVO PALAZZOLO
Il personaggio. Ripreso a figura intera: aveva vent’anni. E ora anche i servizi segreti gli
danno la caccia
PALERMO - La sigaretta in mano, fuma da sempre Marlboro rosse. L’orologio d’oro ben
in mostra, ha una passione per i Rolex. Gli immancabili occhiali Ray-ban a
goccia. Eccolo, Matteo Messina Denaro, il padrino che sembra diventato
imprendibile ormai dal 1993, come mai l’abbiamo visto. In doppiopetto, le
scarpe dello stesso colore dell’abito, grigio. E l’aria spavalda di chi vuole
mettersi sempre in posa. Per la prima volta, una fotografia lo ritrae a figura
intera. E il fantasma di Castelvetrano sembra prendere forma. Sarà alto un
metro e 75, corporatura esile, non a caso lo chiamano
u siccu. Ha vent’anni in questa foto che risale al 1982: l’anno del primo omicidio
per il rampollo di don Ciccio Messina Denaro, campiere della famiglia D’Alì
(quella del futuro sottosegretario agli Interni di due governi Berlusconi) e
mafioso fra i più autorevoli della provincia di Trapani. La foto di un
fantasma, diventato il protagonista di una grande caccia che va avanti ormai da
anni.
E, adesso, il governo Renzi ha deciso di mettere in campo anche l’Aisi, i
servizi segreti, per provare a chiudere questo capitolo della lotta a Cosa
nostra. Perché il fantasma di Castelvetrano è diventato uno smacco per
l’antimafia che dopo le stragi del 1992-1993 ha rinchiuso al 41 bis tutti i
capi della Cupola. Tutti tranne lui, condannato a sei ergastoli, anche per le
stragi di Roma, Milano e Firenze. È diventato l’erede di Totò Riina («Suo padre
l’ha affidato a me», diceva il capo dei capi intercettato in carcere), il
custode dei suoi segreti («Conserva lui l’archivio di Riina », ha spiegato il
pentito Giuffrè), il traghettatore nella seconda repubblica mafiosa, quella
degli affari. Una latitanza scandalo costruita sui segreti del passato: dieci
anni fa, Bernardo Provenzano gli trasmise anche il nome di un misterioso
politico tramite un pizzino riservato. Un altro giallo nella sua veloce
carriera.
Del giorno del primo omicidio, un pentito ha detto che faceva caldo. Matteo
scende dall’auto e corre deciso verso la sua vittima. Ora, il fantasma di
Castelvetrano prende forma e si muove pure, quasi si sente. Urla, spara. Un
colpo, un altro, e un altro ancora. Non c’è scampo per un ragazzo che ha la
colpa di avere fatto rapine in banca senza autorizzazione. Ma l’assassino di
quel giorno resta un’immagine sfocata.
Di Messina Denaro non c’è davvero più traccia, nonostante la procura
di Palermo gli abbia fatto terra bruciata negli ultimi otto anni: l’inchiesta
della procuratrice aggiunta Teresa Principato e dei sostituti Paolo Guido,
Marzia Sabella e Carlo Marzella ha portato all’arresto di un centinaio di
parenti e amici del latitante, sono tre i miliardi di euro sequestrati a
insospettabili prestanome. Un’indagine complessa. Due squadre d’eccellenza, 160
persone in tutto, continuano a dargli la caccia. Da una parte, il Servizio
centrale operativo guidato da Renato Cortese, che nel 2006 arrestò Provenzano.
Del gruppo fanno parte i poliziotti delle squadre mobili di Palermo e Trapani.
Dall’altro, i carabinieri del Ros con il generale Giuseppe Governale e gli
investigatori del comando provinciale di Trapani. Dal dicembre 2014 c’è un
protocollo d’intesa fra polizia e carabinieri, progettato dall’allora direttore
dello Sco Raffaele Grassi e dal capo del Ros, il generale Mario Parente,
attuale direttore dell’Aisi. Un’architettura investigativa per provare a
superare le tante, troppe rivalità del passato che hanno appassionato gli
scrittori siciliani, da Sciascia a Camilleri. L’anno scorso, il nuovo modulo ha
ottenuto un risultato importante: sono stati intercettati alcuni segnali del
padrino. Il fermo posta dei pizzini era sotto una pietra, nelle campagne di
Mazara. «Sono arrivati stanotte con la carrozza», dicevano i postini. Il gran
messaggero era un imprenditore siciliano pluripremiato al Vinitaly, Mimmo
Scimonelli, attivissimo consigliere nazionale della Dc di Angelo Sandri.
L’indagine è arrivata vicinissima ai pizzini, ma il contenuto è rimasto
misterioso. E da agosto 2015, da quando è scattato il blitz, non c’è più
neanche quella traccia. Forse il boss è ancora in Sicilia. Forse no, e viaggia
molto. Intanto, i finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Palermo e la
Dia provano a seguire le tracce dei soldi gestiti da alcuni insospettabili. Uno
di loro, forse, fa da bancomat al fantasma.
Di sicuro, lo cercano anche i mafiosi. Come fosse la soluzione per
qualsiasi problema. Lo cercano, ma lui non c’è neanche per il popolo di Cosa
nostra. «Non c’è nessun accenno, nessun movimento», sussurrano in
un’intercettazione. E si lamentano. «Ma questo che fa?», dice uno. «Fa solo i
suoi interessi». La microspia ha svelato la strategia del fantasma, che il
popolo di Cosa nostra non comprende. E per la prima volta la leadership del
padrino sembra in crisi. Dice un altro mafioso: «Arrestano i tuoi fratelli, le
tue sorelle. E tu non ti muovi? Ma fai il bordello ».
Parole che rimbalzano da un capo all’altro della Sicilia. Dice un altro
mafioso: «Qualche giorno, a meno che non l’abbia già fatto, si ritira. E gli
altri vanno a fare cose a nome suo». Però, fino ad oggi, un capomafia che si ritira
non c’è mai stato. Quattro anni fa, dice il pentito Galatolo, aveva pure
ordinato un attentato al pm Nino Di Matteo, l’esplosivo era arrivato dalla
Calabria. Poi, Messina Denaro è tornato ad essere un fantasma.
La Repubblica, 16 ottobre 2016
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