Federico II di Svevia: una figura di monarca complessa, che non ha mai
smesso di alimentare discussioni, sin dal tempo in cui egli visse e dominò la
scena dell’Impero romano-germanico, quando per i papi e i loro partigiani
guelfi era la bestia dell’Apocalisse e l’anticristo mentre per altri era lo stupor
mundi. Chi fu realmente? Un cristiano autentico o un laico e illuminista ante
litteram? Un campione dell’interculturalità? Un anticipatore dello Stato
moderno o un regnante del medioevo? Quale il peso effettivo che egli ebbe nella
vicenda intellettuale del XIII secolo? Questi i quesiti cui, traendo spunto da
un convegno tenutosi a Buccheri (SR) l’estate scorsa, rispondono Ferdinando
Maurici, Ferdinando Raffaele, Carlo Ruta e Teresa Sardella, autori del libro Federico
II e il suo tempo. Il Regnum e l’impero, il papato, le etnie, le culture,
appena uscito in libreria per le Edizioni di Storia e Studi Sociali. Teresa Sardella, docente universitaria di Storia medievale, esamina le
radici storiche e giuridiche dell’impero federiciano e alla luce di questo excursus spiega
le ragioni del lungo contenzioso politico che oppose il regnante svevo ai pontefici
di Roma, nel duplice ruolo di imperatore e di signore feudale del Regnum
Siciliae, che formalmente restava dominio dei papi.
La studiosa fa il punto, in particolare, sui conflitti politici e militari che corsero, per vari decenni, tra Federico, che mirava a incorporare il Regnum nell’impero, e i pontefici Gregorio IX e Innocenzo IV, che richiamavano il monarca al rispetto dei patti, per mantenere il loro dominio sui loro «patrimoni» peninsulari e insulari.
A partire da una disamina sulla discussione storiografica di età
contemporanea su Federico II, da Kantorowicz ad Abulafia, Carlo Ruta, saggista
e studioso di storia del Mediterraneo, definisce le complessità, le ambivalenze
e gli eclettismi che caratterizzarono la condotta dell’imperatore svevo. Ravvisando
in tali elementi un rilievo paradigmatico, il saggista focalizza il rapporto
difficile dell’imperatore con i pontefici di Roma, ma anche i contatti ondosi e
ambivalenti con altre religioni e altri mondi culturali, densi di
contaminazioni intellettuali e agevolati forse, in qualche misura, dal lungo
tirocinio giovanile del monarca nella Palermo multietnica, capitale del Regnum.
Ferdinando Maurici, storico e archeologo medievalista, propone un esame a
tutto campo della vicenda federiciana, da una serie antefatti di epoca normanna
alla decadenza del disegno universalistico dell’imperatore svevo. L’autore
intende porre nondimeno l’accento sui rapporti travagliati che Federico di
Hohenstaufen ebbe con la Sicilia: dalla lunga guerra contro i musulmani in rivolta,
che si concluse con lo sradicamento dell’Islam dall’isola e la deportazione dei
superstiti a Lucera, alla rivolta di Messina e di altre città dopo la
promulgazione delle Constitutiones Augustales di Melfi del
1231, che ridefinivano in maniera rigidamente centralistica l’ordinamento
giuridico del Regnum Siciliae.
Delle politiche culturali di Federico II e, in particolare, della Scuola
poetica siciliana, che con il sostegno dell’imperatore si espresse dagli anni
trenta fino alla metà del secolo, argomenta infine Ferdinando Raffaele,
filologo e storico di letterature romanze, ponendo in risalto i contenuti di
questa lirica, incardinati soprattutto sull’amor cortese, a fronte di una
maggiore varietà di temi proposta da quella provenzale. L’autore focalizza
inoltre il problema delle fonti, dei testi dei poeti federiciani, che giungono
in una certa misura tradotti e «toscanizzati»: cosa che rende ancora oggi
difficile una esaustiva definizione morfologica e filologica del volgare
illustre dei Siciliani.
Ferdinando Maurici, Ferdinando Raffaele, Carlo Ruta, Teresa Sardella, Federico
II e il suo tempo. Il Regnum e l’Impero, il papato, le etnie,
le culture, pp. 144.
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