Enrico Fierro |
ENRICO FIERRO
Grillo, grillismi e dintorni.
Terrorizzati dall’ascesa di Grillo e dei suoi five stars, tutti lanciano il
grido: Annibale è alle porte, ma nessuno (un editorialista, un sociologo della
politica, un politico intellettualmente onesto, almeno con se stesso), si
chiede perché. Premessa d’obbligo: non provo alcuna simpatia per Grillo e i
suoi, mi sento lontanissimo da loro per formazione politica, modo di vedere,
approccio ai problemi, sono un uomo di sinistra e mai e poi mai potrei votare
per qualcuno che teorizza che destra e sinistra non esistono. In aggiunta, alle
ultime elezioni comunali a Roma, di fronte a due candidature che consideravo al
limite del ridicolo, ho annullato la scheda: né con Bobo Giac, né con Virginia.
Era un mio diritto e l'ho esercitato. Grazie. Ma non è questo il punto. Beppe
Grillo vince non perché ha capito il web, la rete e altre stronzate del genere
(i filmati postumi della Casaleggio & soci su un futuro dominato da intelligenze
artificiali andrebbero bene per un filmetto americano di genere degli anni
Cinquanta), vince per altri motivi. Uno, in primo luogo: aver intercettato i
rumori provenienti dalla pancia del Paese, avergli dato forma e corpo, sbocco
politico, rappresentanza istituzionale.
Il comico (non più tale ma capo partito vero) ha assorbito per anni i discorsi che si sentono nei bari, in una fila alla Asl o alle Poste, oppure al collocamento. Lamentazioni (giuste), recriminazioni (giustissime), disagi e bisogni, fallimenti di intere categorie sociali, insieme a fallimenti individuali, rabbia sociale e rabbia dei singoli, rancori collettivi e rancori personali, insomma, ha preso tutto questo e lo ha trasformato in movimento (partito) lanciandosi nell’avventura della conquista del Paese. Se si riflette un po’ è l’operazione iniziale di Silvio Berlusconi e della sua Forza Italia, è l’intuizione di Bossi e della Lega della prima ora. Entrambe le operazioni, però, avevano dei limiti (quelli che li hanno poi costretti alla marginalità politica).
La forza iniziale di Berlusconi si è
trasformata in sistema di potere aziendale e personale, l’idea di Bossi era
limitata ad una parte dell’Italia, il Nord, la Padania. Grillo, invece, si
offre come elemento unificante di tutti i rancori, da Nord a Sud. Il suo
movimento è interclassista, la sua forza è la disperazione sociale, lo schifo
(più che giustificato) che la gente prova nei confronti dei partiti e delle
oligarchie. Con chi parla l’operatore del call center chiuso, il precario
impiccato ai voucher, il lavoratore stanco che vede sempre più allontanarsi
l’età per una pensione da fame, il maestro trasferito a mille chilometri da
casa sua, la casalinga costretta a vivere in un quartiere degradato? Sono
soggetti soli, senza punti di riferimento, senza un partito, un sindacato, uno
straccio di intellettuale che gli indichi la strada, un poeta, uno scrittore,
un musicista che sappia emozionarlo e consolarlo. C’è la tv, un talk show e un
divano su cui sedersi e tifare. Un computer, internet, i social da usare come
sfogatoio. Ecco perché Annibale è già oltre le porte. E non basta urlare alla
democrazia in pericolo e al populismo. Quelle porte le ha spalancate chi ha
ridotto i partiti a comitati d’affari e club di amici e clientele rottamando
partecipazione, entusiasmi e volontariato, chi a Roma ha visto crescere Mafia
Capitale senza ribellarsi e chiedere conto a futuri ministri delle cene con
esponenti della destra e dei Casamonica, chi sbeffeggia austeri professori
colpevoli di difendere la Costituzione. Il movimento di Grillo ormai partito è
un ventre enorme dove c’è tutto e il contrario di tutto, quindi facilmente
scalabile, condizionabile. Quello che sta avvenendo a Roma la dice lunga. Nella
giunta Raggi (che non è affatto una ingenua, ma un personaggio politico che
risponde a diversi input con una impressionante capacità di mediazione) c’è
posto per l’assessore ex iscritto Pd ma fedelissimo, e per l’altro che invece è
gradito da Casaleggio & soci e che fino a poco tempo fa nutriva simpatie
per gli indipendentisti veneti. Alla faccia del tutti a casa e della
rivoluzione, il sistema affaristico che ha dominato sulla Capitale riconquista
i suoi spazi. Forse è questo il vero Partito della Nazione. Una Nazione malata
e sola.Il comico (non più tale ma capo partito vero) ha assorbito per anni i discorsi che si sentono nei bari, in una fila alla Asl o alle Poste, oppure al collocamento. Lamentazioni (giuste), recriminazioni (giustissime), disagi e bisogni, fallimenti di intere categorie sociali, insieme a fallimenti individuali, rabbia sociale e rabbia dei singoli, rancori collettivi e rancori personali, insomma, ha preso tutto questo e lo ha trasformato in movimento (partito) lanciandosi nell’avventura della conquista del Paese. Se si riflette un po’ è l’operazione iniziale di Silvio Berlusconi e della sua Forza Italia, è l’intuizione di Bossi e della Lega della prima ora. Entrambe le operazioni, però, avevano dei limiti (quelli che li hanno poi costretti alla marginalità politica).
Dal profilo facebook di Enrico Fierro
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