Bianca Stancanelli durante l'incontro con i volontari |
BIANCA
STANCANELLI
Ci sono almeno
tre motivi che hanno riempito di emozione la presentazione del mio La città marcia nel salone della “Cooperativa
Lavoro e non solo”, giovedì 29 settembre. La prima, grande emozione è stato
venire a Corleone per parlare di un libro che descrive l’ascesa della mafia di
Totò Riina nella Palermo degli anni Ottanta e racconta come e quanto quella
mafia pretese di dettar legge alla politica, all’economia, alla società. La
seconda, grande emozione è stata parlarne a una platea di ragazze e ragazzi
venuti da Firenze, la città che dalla violenza della mafia di obbedienza
corleonese è stata sfregiata e ferita con la strage di via dei Georgofili – e
parlarne in una palazzina confiscata ai nipoti di Riina, trasformata in un
presidio di legalità.
Guardando
quei ragazzi, non potevo fare a meno di pensare che nessuno di loro era nato
negli anni delle stragi e che il racconto della lunga, feroce dittatura di
Riina, degli affari di Vito Ciancimino, degli intrighi della politica al tempo
di Lima e di Andreotti doveva sembrare loro lontano nel tempo, quasi remoto.
“Noi siamo una nazione di smemorati” scrive
Salman Rushdie ne I figli della
mezzanotte – e parla dell’India. Anche l’Italia è una nazione di smemorati.
Per questo rincuorano gli sguardi limpidi di questi ragazzi che hanno voglia,
invece, di coltivare la memoria, di condividere esperienze come il campo di lavoro
“LiberArci dalle spine”, di guardare con i loro occhi luoghi come Portella
della Ginestra e di ragionare sulla nostra storia.
E che questi
studenti siano venuti a Corleone e vendemmino nei feudi che furono dei mafiosi
e ridano e scherzino e suonino la chitarra nei luoghi dove i mafiosi imponevano
il silenzio è il segno che la Sicilia è cambiata, che la mafia di Riina e
Ciancimino non ha vinto. E questa è stata la terza ragione d’emozione, la più
forte.
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