ALBERTO FLORES D’ARCAIS
Un monumento in Michigan per le cento vittime di uno dei più grandi
disastri ferroviari degli Usa. I loro corpi furono gettati in una fossa comune
NEW YORK. Quel 27 novembre 1901 era la vigilia di Thanksgiving, un
freddo e cupo pomeriggio d’autunno che in Michigan significa inverno inoltrato.
Vicino a Seneca, piccolo villaggio a poche miglia dal confine con l’Ohio, la
Wabash Railroad aveva un solo binario. Il Continental Express viaggiava spedito
alla volta di Detroit con il suo carico di famiglie che andavano a celebrare la
festa del Ringraziamento, il treno numero 13 invece arrivava da New York, due
carrozze letto di prima classe per i ricchi passeggeri, un vagone più economico
e tre carri-bagaglio. Negli ultimi due, «ammassati come sardine», c’erano un
centinaio di poveri immigrati italiani (diversi con mogli e figli al seguito)
che nel Midwest e nelle miniere di Colorado e California cercavano un futuro più
umano.
Erano le 6 e 45 del pomeriggio, l’impatto fu terribile. I vagoni di
legno, frantumati in mille pezzi, presero fuoco per le lampade a cherosene,
l’incendio e i detriti impedirono la fuga, la temperatura raggiunse i mille
gradi, i vagoni si trasformarono in una trappola mortale. Sul Continental, per
tanta fortuna e la presenza di spirito di un macchinista, si salvarono quasi
tutti. Nei carri-bagaglio del treno numero 13 gli immigrati italiani vennero
ridotti in cenere, cremati senza scampo in pochi minuti. Le cronache dell’epoca
parlano di «terrificante olocausto», i primi soccorritori assistono impotenti a
quella scena infernale con le fiamme che consumano i rottami, un fuoco
devastante che era visibile a otto chilometri di distanza.
Le case di Seneca e Sand Creek, i due paesi più vicini, vennero trasformate
in ospedali di fortuna, da Adrian (il centro più grande della zona) arrivarono
medici ed infermieri. Nel giro di 24 ore, con la notizia (e qualche dettaglio
raccapricciante) diffusa da tutti i giornali, migliaia di curiosi invasero i
binari. I dirigenti della ferrovia diedero ordine di riaprire la linea «il più
velocemente possibile » e quello che negli anni divenne noto come il “Wreck on
the Wabash” — uno dei più grandi disastri ferroviari nella storia degli
Stati Uniti — lasciò una scia di dubbi e qualche mistero. Una rapida inchiesta
stabilì che l’incidente fu colpa del Continental Express, al treno numero 13,
che aveva avuto una giornata particolarmente tribolata (ore di ritardo, un
motore rotto) era stata data la precedenza. Nell’elenco ufficiale delle vittime
la Wabash mise solo i 23 passeggeri con biglietti di prima e seconda classe,
quel centinaio di immigranti italiani che avevano viaggiato come animali
divennero morti-fantasma.
Per oltre un secolo nessuno ha saputo nulla di loro. Uomini, donne e
bambini spesso ai margini della società, gli immigrati italiani che nei
primi anni del Novecento raggiungevano la loro Terra Promessa erano considerati
dei “diversi” nell’America vittoriana. Abitudini, religione, lingua, cibo e
modo di vivere erano troppo distanti da quella “società perbene” che li
considerava solo carne da lavoro. Per cento di loro quella vigilia di
Thanksgiving e quel treno dal numero maledetto (negli Stati Uniti il 13 equivale
al 17 napoletano) fu sinonimo di oblìo definitivo. Le ceneri e i pochi resti
raccolti da qualche mano pietosa vennero ammassati in cinque piccole bare e
portati — all’insaputa di tutti — nel cimitero di Oakwood ad Adrian. Nessuno si
preoccupò di mettere un segno o di scrivere qualcosa su quelle casse di legno,
che vennero abbandonate in una specie di fossa comune nella parte meno
frequentata del cimitero (Oakwood ha oltre ventimila tombe). Ci sono
voluti 115 anni. Alla fine, grazie all’impegno di una storica locale (Laurie
Perkins, autrice del libro “Wreck on the Wabash”), di Kyle Griffith
(sovrintendente in una scuola media della contea) che per anni ha insegnato ai
suoi studenti la storia dell’immigrazione attraverso il locale disastro
ferroviario, del sindaco di Adrian Jim Berryman e del consolato italiano a
Detroit il mistero è stato risolto. «Ero imbarazzato per la mancanza di
rispetto verso gli uomini che hanno perso la vita in quel tragico incidente e
per le loro famiglie», ha raccontato Berryman che una volta scoperto il luogo
della informale sepoltura, il 7 giugno scorso ha lanciato un crowdfunding
(obiettivo 12mila dollari, raccolti 13mila nel giro di poco più di due mesi)
per una scultura a ricordo delle vittime. Affidata all’artista italo-americano
Sergio De Giusti.
Questa mattina nel cimitero di Oakwood la scultura-monumento verrà svelata
durante un Memorial Service dedicato agli immigranti italiani. Il sindaco ha
già pronte le parole: «Dopo 115 anni è arrivato il tempo di onorare la memoria
di uomini, donne, madri, padri, figli e figlie che hanno perso la vita in uno
dei più tragici incidenti della storia degli Stati Uniti».
La Repubblica, 24 settembre 2016
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