L'ospedale S. Raffaele-Giglio di Cefalù |
di ALESSANDRA ZINITI
La favola triste del Giglio va ko l’ex ospedale
gioiello. Adesso il futuro è un’incognita. “Ma qui l’assistenza va garantita”
La favola della sanità d’eccellenza a casa nostra non promette alcun lieto
fine, il miraggio dello stop dei viaggi della speranza e, al contrario, dell’arrivo
di pazienti da tutta Italia è scomparso senza mai diventare realtà, i 70
miliardi di vecchie lire elargiti dalla Regione più centinaia di milioni di
euro di rimborsi non sono bastati ad evitare la voragine di un buco da 400
milioni di euro. E persino l’appeal politico di ambite poltrone da distribuire
deve essersi appannato se oggi l’ospedale Giglio di Cefalù sembra destinato ad
un inarrestabile declino.
«Non pensavamo che si arrivasse a questo.
La situazione è drammatica», ammette sconsolato il presidente della Fondazione
Giovanni Albano, medico radiologo di stretta osservanza cuffariana alla
guida del Giglio da un anno e mezzo, l’ultima di una lunga serie di nomine con
la quale la politica ha marcato un territorio che faceva gola a tutti dopo il
disimpegno del gruppo imprenditoriale lombardo che fa capo a Giuseppe Rotelli
che ha preso in mano la fondazione San Raffaele dopo il crac del 2011. Sembrano
lontanissimi i tempi sfolgoranti in cui, nella sala conferenze dell’ospedale
tirata a lucido, Don Verzè osannato dai politici di pressoché tutti gli
schieramenti riceveva la cittadinanza onoraria dall’allora sindaco di Cefalù
Simona Vicari sotto lo sguardo compiaciuto di Umberto Veronesi, allora (era il
2005) presidente della Fondazione San Raffaele. Oggi, in quella stessa sala,
mentre il personale si riunisce in assemblea per decidere una linea d’azione
contro la chiusura di cinque reparti annunciata dall’assessore regionale
alla Sanità Baldo Gucciardi, il presidente della Fondazione Albano fa quattro
conti e dice: «La chiusura di queste divisioni porterà inevitabilmente alla
chiusura dell’ospedale. Il primo step sarà al 31 dicembre dove si rischia di
mandare a casa da 300 a 400 persone. Questa struttura supera i 20.000
accessi di pronto soccorso annui, ne registra 23 mila ed ha un bacino di utenza
di 600.000 persone. I ricoveri nell’ultimo anno sono stati 7.100. L’indice di
complessità delle attività effettuate in tutte le discipline è superiore
alla media regionale. Abbiamo azzerato i debiti con le banche e abbiamo chiuso
il nostro bilancio con un attivo di 500 mila euro. Siamo una Fondazione solida
e di eccellenza. Come si fa con questi parametri — mi chiedo e chiedo — a
trasformare un ospedale di primo livello a presidio di base?».
Pubblico e privato insieme, un tandem che neanche a Cefalù è riuscito a
sottrarsi alla tentazione di trasformare la sanità in una enorme macchina
mangiasoldi, strumento di moltiplicazione di rimborsi e di prestazioni pagate a
peso d’oro come fu per Villa Santa Teresa di Michele Aiello a Bagheria,
meccanismo collaudato per drenare indebitamente fondi europei. E così non c’è
voluto molto a che quel laboratorio di tecnologie oncologiche che avrebbe dovuto
essere il fiore all’occhiello del Giglio finisse oggetto di indagine per contributi
indebitamente acquisiti per 36 milioni di euro e che gli ispettori dell’Asp si
accorgessero di quei numeri a troppi zeri poco proporzionati alle prestazioni
assistenziali a carico del servizio sanitario erogate dalla Regione e che hanno
portato ad un contenzioso da più di 40 milioni di euro ancora irrisolto.
Inchieste che comunque non hanno, fino ad ora, mai portato ad alcuna
provvedimento.
Che la buona sanità del Nord Italia potesse veramente “attecchire” in
Sicilia grazie alla Fondazione San Raffaele e al suo sponsor numero 1 che fu
Silvio Berlusconi è stata forse, per qualcuno, una speranza durata pochi anni,
quelli in cui accanto a Don Verzè avevano messo la faccia nel progetto nomi di
rilievo come Veronesi prima ed Ettore Cittadini poi. Decine di ottimi medici,
qualche luminare, primari accettarono di trasferirsi a Cefalù tranne poi
fuggire nel 2011 prima che la barca della Fondazione San Raffaele
affondasse definitivamente. «Stavamo uscendo dal tunnel. Abbiamo visto la luce
e ora cercano di farci tornare indietro di circa 15 anni — dice ancora Albano —
Abbiamo azzerato i debiti con le banche e abbiamo chiuso il nostro bilancio con
un attivo di 500 mila euro». Oggi, allora, il tema non è più nè l’ospedale
d’eccellenza, nè il San Raffaele. Oggi la scommessa di un ospedale ormai
interamente pubblico è quello di garantire ad un territorio vasto come quello
di Cefalù e delle Madonie dei servizi essenziali per la salute, a cominciare
dall’oncologia. Ecco perché, tutti insieme, sindacati, vertici e medici dell’ospedale,
e gli amministratori di 12 comuni chiedono alla Regione di rivedere il piano
dei tagli.
La Repubblica-Palermo, 10 settembre 2016
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