domenica, agosto 14, 2016

Lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Corleone è un fatto gravissimo

di ELISABETTA MARINO
Lo scioglimento del Comune di Corleone per infiltrazioni mafiose è un fatto gravissimo, più grave dello scioglimento di qualsiasi altro comune italiano. Io sono nata qui e qui sono cresciuta. Me ne sono allontanata, sono tornata, voglio ripartire perché il paese mi sta stretto, provo un sentimento ambivalente, lo odio per quel che non mi dà ma Corleone è sempre il mio paese.  Da sempre devo fare i conti con il fardello che pesa sul mio paese perché è stato (e in parte è ancora) terra di mafia. Da sempre devo affrontare pregiudizi, insinuazioni, proclamare il mio essere corleonese diversa da quei concittadini scomodi, ripugnanti e antitetici al mio sistema di valori. Da sempre mi ritrovo a protestare perché la parola “corleonese” sia affrancata dalla connotazione criminale che ormai le viene attribuita correntemente. Quanto mi ripugna che una stessa parola possa indicare me, cittadina corleonese, e loro, “i corleonesi”!
Se sei nato a Corleone, non puoi essere indifferente al tema mafia, semplicemente non puoi permettertelo: devi prendere una posizione. Io l'ho fatto e come me gran parte della comunità. Molti, moltissimi ma non tutti. Certo, nessuno è schierato apertamente dalla parte della mafia (chi lo farebbe?) La mafia si nutre di un consenso tacito. C'è gente che non prende posizione, che preferisce starsene in quella zona grigia in cui la mafia non esiste o non la riguarda, una zona in cui tutto può accadere, ad esempio che un boss sanguinario sia riscattato dalla morte che lo renderebbe “umano”; che il figlio di un boss altrettanto sanguinario narri in un libro, tra l’altro presentato alla tv nazionale (vergogna!), l' “epopea” della sua famiglia e incontri il plauso dei concittadini. In questo caso sì che escono dalla zona grigia e lo fanno  per prendere le difese dei figli che “non possono pagare per le colpe dei padri” (sic!). Poco importa che questi figli siano stati a loro volta condannati o che non abbiano mai preso le distanze dalla mafia: nella zona grigia non si vede la contraddizione. E, invece, rispetto alla mafia bisogna essere manichei: o si è dentro o si è fuori! Non c’è spazio per sfumature né per inopportune “aperture” mentali. Si sceglie da che parte stare e si adotta uno stile di vita conseguente senza compromessi di alcun tipo. Essere fuori non significa innalzare il vessillo dell’antimafia. Più vado avanti nella riflessione, più mi rendo conto di come tante parole abbiano perso la loro verità, la loro capacità di “significare”: la libertà è diventata “licenza” di tutelare interessi particolari, la democrazia è usata dalle élite per giustificare scelte politiche assunte senza aver consultato o ascoltato il “popolo” . E si potrebbe continuare all’infinito.  La parola “antimafia” non fa eccezione e, ormai, provo un certo imbarazzo ad usarla: le cronache narrano di associazioni “antimafia” colluse con la mafia, di amministrazioni comunali che non hanno perso occasione per sbandierare un’antimafia di facciata sciolte per infiltrazioni mafiose. In questo cortocircuito  tra significanti e significati ci si sente smarriti: se alle parole corrispondono azioni di segno opposto il rischio è quello di perdere fiducia nella nostra capacità di distinguere tra verità e finzione. Quando un’amministrazione come quella di Corleone (che non mi ha mai rappresentato, ma questo poco importa) espone il paese tutto all’onta dello scioglimento per mafia, si assume responsabilità gravi. L’amministrazione di un comune come Corleone ha il dovere morale di essere la più onesta, trasparente, “pulita” delle amministrazioni. Lo deve fare per ragioni storiche. Lo deve alla comunità. Attendiamo di leggere le motivazioni che hanno indotto il ministero a decretare lo scioglimento nella speranza che siano chiare, che le responsabilità siano inequivocabili e che i collusi paghino per aver infangato ulteriormente il nome di un paese che negli ultimi decenni si era impegnato a spalare via da sé il fango della sua tristissima fama.   Ma il punto non è solo quello di “ripulire” il nome di Corleone dall’ennesima macchia, di renderlo presentabile ad occhi esterni. La vera sfida è quella di sradicare la mentalità mafiosa, di per sé vischiosa e resistente al cambiamento. Lo si ammetta o no, nel paese (ma il discorso si può estendere, ovviamente, ad altre realtà vicine e lontane) è ancora presente una subcultura mafiosa, alimentata dall’ignoranza, dalla mancanza di strumenti culturali, unita alla mancanza di condizioni materiali che permettano di condurre una vita dignitosa (lavoro e di servizi). Penso alla periferia di Corleone, diventata una sorta di “ghetto”, di terra di nessuno. Talvolta ad alimentare la subcultura mafiosa è l’adesione consapevole a una visione del mondo in cui occorre la protezione di qualcuno per vedersi riconosciuti diritti fondamentali. In questo caso il mio pensiero va a chi è riuscito a costruire una carriera “politica” sfruttando una mancanza di lavoro ormai cronica nel nostro territorio, ai clientelismi, ad una politica “parassitaria”,  avvitata su se stessa e incurante della mancanza di servizi di base (viabilità disastrosa, erogazione dell’acqua intermittente, solo per citare alcune emergenze).  In questi giorni in molti ripetono che c’è il rischio di tornare indietro di trent’anni. Può darsi. Io mi sentivo già indietro di parecchio rispetto ad altre realtà con le quali mi sono confrontata.  Corleone è senza “nocchiero”? Di certo non era guidata bene e sapremo presto se era semplice incompetenza, inadeguatezza rispetto al compito o malafede e connivenza.  Al di là delle posizioni politiche e delle opinioni personali sull’operato di questa amministrazione, tutti accogliamo il decreto di scioglimento con amarezza e indignazione.  Da cittadina corleonese, spero che questa pagina triste sia l’occasione per riflettere seriamente sulla direzione da dare alla nostra comunità. La lotta alla mafia, come diceva uno degli “eroi” di cui questa terra ha evidentemente bisogno, deve essere un “movimento culturale”  che proceda parallelamente alle inchieste giudiziarie. Il versante culturale della lotta alla mafia è un percorso lento e complesso perché deve agire sulle mentalità. A scuola, ad esempio, si lavora da decenni perché bambini e ragazzi crescano come cittadini liberi. Forse bisogna lavorare su certi adulti, magari partendo dal significato del voto come momento di esercizio della democrazia e non come mezzo per ottenere favori personali. E, visto che ancora sul cartello di ingresso al paese campeggia la scritta “Corleone, capitale mondiale della legalità”, enfatica, inverosimile e smentita dai fatti (non ce n’era bisogno), magari lavoriamo sulle parole: non è una questione formale. Ripartiamo da lì.  
Elisabetta Marino
CORLEONE

 

2 commenti:

Giuseppe Ceravolo ha detto...

Analisi perfetta della realtà corleonese e dei paedei paesi limitrofi. Brava.

Giuseppe Ceravolo ha detto...

Analisi perfetta della realtà corleonese e dei paesi limitrofi. Brava.