Abbiamo trascorso una giornata con i ragazzi volontari della
cooperativa sociale di Corleone (Palermo) "Lavoro e non solo".
Ogni anno ne arrivano tantissimi da tutta Italia per partecipare ai
Campi della Legalità e impegnarsi nell'attivismo
antimafia coltivando le terre sottratte ai boss mafiosi. Reportage di una
giornata all'insegna dell'impegno civile.
Fa molto caldo nei campi di Corleone. Il sole alto batte
violentemente su ogni lembo di terra, mentre le mani asciugano il sudore sulla
fronte. Ci accoglie Selenia, coordinatrice dei
campi di lavoro e legalità organizzati dalla
cooperativa sociale "Lavoro e non
solo". La volontaria dell’Arci Sicilia ci spiega le
finalità del progetto: accogliere i ragazzi tra i 16 e i 20 anni che ogni
estate vengono da tutta Italia a lavorare nelle terre confiscate ai boss
mafiosi. Dietro, in lontananza, si vedono loro, i volontari di questa sessione
di giugno. Brandiscono zappe e attrezzi, con le magliette smanicate e i
cappellini per difendersi dall'afa.
Tra stereotipo e
riscatto
La cooperativa, nata nel 2000 dal progetto associativo di Arci Sicilia gestisce
da anni terreni e strutture confiscati e assegnati al Consorzio
Sviluppo e legalità. Sui quei terreni non lucrano più boss, ma lavorano i giovani volontari
che ogni anno decidono di passare due o più settimane
all'insegna dell’impegno antimafia. Coltivano grano duro, pomodori,
olive, lenticchie che poi verranno messi in vendita attraverso i gruppi
d’acquisto solidali e la rete associativa che aderisce al
progetto. Attorno c'è un paese tristemente legato alla ferocia
mafiosa. L'immortale stereotipo di Don Vito Corleone, malcelato dal
cartellone pubblicitario dell’amaro "Il Padrino", campeggia
davanti un balcone vicino al municipio, insieme alla sequela di calamite e
magliette col faccione di Marlon Brando che riempiono le vetrine dei
negozi, mentre la lunga fila di turisti cerca di vivere le “emozioni
mafiose” del film di Coppola che – ci dispiace per i visitatori - non è mai
stato girato a Corleone. Il ricordo del dominio sanguinario dei Corleonesi
che misero sotto scacco la Sicilia e lo Stato non è così lontano e si respirava
nell'aria sino a poche settimane fa, quando la processione religiosa si è
fermata proprio in via Scorsone 24, appena di fronte al
balcone di Ninetta Bagarella, moglie di Totò "u
Curtu". Dall’altro lato ci sono invece i cittadini
onesti che s’impegnano per contrastare la subcultura mafiosa con
le azioni quotidiane di legalità, come quella di insegnare ai giovani venuti da
lontano la storia della mafia oltre lo stereotipo.
«Un campo della legalità
a Corleone è fare della vera antimafia»
"Abbiamo imparato molte cose, a lavorare la terra e a
conoscere temi legati alla mafia. Sono nate amicizie che spero
continueranno”, dice Giovanni, 16enne di
Pisa. “È importante parlare di legalità e giustizia nelle
scuole, nella mia non si fa. Alcuni insegnanti dicono che è
inutile perché non è un problema nostro. Come se la Toscana fosse immune a
certe infiltrazioni. Così siamo costretti a riunirci nelle assemblee per
parlare di certi argomenti, ma il tempo non è mai sufficiente”. La sua
esperienza si è quasi conclusa, ma ogni mattina si è alzato presto e insieme a
un gruppo di coetanei siciliani e toscani per lavorare negli ettari di
terreno che un tempo appartenevano alla famiglia Grizzaffi, nipoti del "Capo
dei Capi" Totò Riina.
È l'ora di pranzo e come di consueto i ragazzi
raggiungono la Casa
Caponnetto. La struttura, dedicata alla memoria del magistrato che guidò il
pool antimafia dal 1984 al 1990, un tempo era la casa dei
Grizzaffi. Oggi, al posto dell'ingresso dal quale si affacciavano
sulla strada, c'è una libreria dove spiccano le bandiere dell'Arci, un
manifesto che ricorda i morti innocenti della strage di Portella della Ginestra
e poi quei volumi che raccontano la storia dell'impegno contro la mafia.
Poi un ufficio dell'associazione, la mensa e una saletta dove ogni
giorno i ragazzi si riuniscono per gli incontri formativi sulla storia di Cosa
Nostra e sui personaggi che hanno cercato di cambiare il destino della propria
terra. "Basterebbe dedicare alcune ore all’approfondimento di
questi temi per cambiare le cose", dice Clotilde con un forte accento
toscano. "Ecco perché un campo a Corleone è fare
dell'antimafia. Quella vera”, conclude.
Poi c’è Cosmo di Cremona. Forte accento del Nord e capelli lunghi
raccolti in un codino. Ha deciso di rimanere altre due settimane. “Questa
esperienza ti cambia. Alzarsi la mattina presto, fare colazione insieme, andare nei
campi per lavorare la terra, pranzare e ritrovarsi a parlare di legalità,
sempre insieme condividendo tutto, è qualcosa di unico. Ho deciso di rimanere
perché qui mi trovo benissimo”.
Nella mensa le tavole sono già imbandite e la fame si fa
sentire. Quando il volontario Giovanni Denaro pensionato originario di
Modica, porta una teglia piena di pennette tonno e capperi non c’è più
spazio per le parole ma solo per pasta, polpette, insalata e frutta. E dopo il
pasto il meritato riposo.
Corleone non è Cosa Nostra,
Corleone è casa nostra
Alle 16 il primo a svegliarsi è Giovanni, che attende i suoi compagni
leggendo un libro di Sciascia. Tutto è pronto per il dibattito sulla mafia e le
sue trasformazioni e il valore dell'antimafia. Ai ragazzi consegniamo un
post-it dove scrivere la loro definizione di mafia. “La mafia è
silenzio”, “è un’organizzazione criminale che ha seminato morte e terrore”, “è
un cancro incurabile”. Quest’ultima definizione fa scatenare
il dibattito. “Bisogna crederci – tuona Clotilde – altrimenti perché siamo
qui? Siamo noi l’antimafia. Partecipiamo a questi campi perché crediamo che le
cose possano cambiare. Che la mafia si possa sconfiggere”.
Appena fuori la sala da pranzo c’è un grosso
armadio trasformato in lavagna dove i ragazzi scrivono un
pensiero prima di tornare a casa. Colpisce un messaggio: “Corleone non
è Cosa nostra, Corleone è casa nostra”.
Articolo pubblicato il 05
luglio 2016 da Cafè Babel Palermo
Nessun commento:
Posta un commento