Giuseppe Di Vittorio |
L'11 agosto 1892 è una data storica, di quelle che in altre realtà
diventerebbe appuntamento fisso in calendario: l’11 agosto del 1892, infatti,
nella città di Cerignola nasceva Giuseppe Di Vittorio. Figura di alto profilo,
simbolo indiscusso della lotta dei lavoratori, fondata sul rispetto dei diritti
e della dignità di ogni uomo, è stata una personalità di spessore
internazionale, oltre ad esser stato il più grande e il più seguito dirigente
sindacale italiano del XX secolo. Di Vittorio orfano di padre a 8 anni, “Peppino”, come veniva
chiamato dal popolo, si avvia al durissimo lavoro bracciantile nei campi di
Cerignola, nelle mani dei latifondisti. A 12 anni è membro del sindacato dei
contadini; a 13 è nel direttivo della Lega dei contadini; a 16 anni fonda il
Circolo giovanile socialista di Cerignola. Nel 1910 Di Vittorio è eletto
segretario della Federazione giovanile del PSI pugliese. Nel 1911 si schiera
col sindacalismo rivoluzionario e, nel 1914, è alla testa dei moti della
“settimana rossa” di Bari. Nel 1915 parte per la Grande guerra ma viene ferito
gravemente. Al termine del conflitto, Di Vittorio torna a dirigere la Camera
del Lavoro di Cerignola e poi quella di Bari.
Sono gli anni dello squadrismo fascista foraggiato dagli agrari e,
nell’aprile del 1921, il popolare dirigente dei lavoratori pugliesi finisce in
carcere a Lucera. Ne esce perché è presentato, come candidato a deputato, dal
PSI (partito al quale non era iscritto). Eletto, Di Vittorio sfida i fascisti
di Cerignola, che gli avevano proibito l’accesso al suo paese natale, e
continua a combatterli anche dopo la “marcia su Roma”.
A Bari è alla testa dei lavoratori che difendono la CdL, che verrà
espugnata, non dai fascisti ma dall’Esercito. Gli squadristi tentano allora di
portarlo dalla loro parte, offrendogli di entrare nei sindacati fascisti, ma Di
Vittorio respinge sdegnosamente le loro offerte. Aderisce invece, nel 1924, al
Partito comunista e nello stesso anno è rieletto deputato. Nel 1925, nonostante
l’immunità parlamentare, è di nuovo arrestato. Rilasciato nel 1926, per
sfuggire alle Leggi eccezionali espatria clandestinamente, inseguito da una
condanna a 12 anni di reclusione. Dal 1928 al 1930, Di Vittorio è a Mosca, dove
partecipa alla direzione (era già stato segretario, in Italia, della
“Associazione nazionale dei contadini poveri”, promossa con Ruggero Grieco),
della “Internazionale contadina”.
Organizza a Parigi la Confederazione generale del lavoro e si
dedica al rafforzamento del movimento antifascista tra gli emigrati italiani.
Membro del Comitato centrale e dell’Ufficio politico del PCdI, nel 1934 Di
Vittorio partecipa alla stipula del Patto d’unità d’azione tra comunisti e
socialisti. Quando Francisco Franco attacca la Repubblica democratica spagnola,
eccolo (col nome di Mario Nicoletti), combattere come commissario politico
della XI e poi della XII Brigata Internazionale. Ferito a Guadalajara,
trascorre la convalescenza in Francia, dove dirige il quotidiano La voce degli
Italiani. Guarito, torna a combattere in Spagna. Alla fine della guerra civile,
ecco di nuovo Di Vittorio in Francia, ad occuparsi de La Voce degli Italiani,
sino a che il foglio non è soppresso dalle autorità dello Stato transalpino.
Arrestato il 10 febbraio 1941, il sindacalista italiano è trattenuto dai nazisti,
che lo consegnano poi alle autorità fasciste. In Italia Di Vittorio è
incarcerato a Lucera e poi, il 24 settembre 1941, avviato al confino di
Ventotene. Con la caduta di Mussolini, è il Governo Badoglio a nominare Di
Vittorio commissario alle Confederazioni sindacali e ad affidargli la
segreteria della Federazione nazionale dei lavoratori agricoli. Con
l’armistizio, l’avvio della Resistenza, che vede, ancora una volta, il
sindacalista pugliese in prima fila. È lui che tratta col generale Carboni per
fornire di armi i patrioti nelle vana difesa di Roma; è lui che continua la
lotta nella clandestinità.
Alla liberazione della Capitale, nel 1944, il comunista Di
Vittorio firma il Patto d’unità sindacale con democristiani e socialisti. Nasce
così la CGIL, che Di Vittorio dirigerà sino alla morte. Presidente della
Federazione sindacale mondiale, è il sindacalista pugliese (membro della
Costituente, eletto deputato del PCI nel 1948 e nel 1953), che in Italia si
batterà conseguentemente per il riscatto dei lavoratori e per la ripresa
dell’economia; è sempre lui che varerà il “Piano del lavoro”, che affronterà,
con coraggio e spirito unitario, le scissioni seguite all’attentato a
Togliatti, le crisi della sconfitta alla Fiat, del XX Congresso del PCUS, degli
eventi drammatici di Polonia e d’Ungheria. Morirà sulla breccia, stroncato da
un infarto (ne aveva superato un altro l’anno prima, ma non si era
risparmiato), durante una riunione con gli attivisti sindacali lecchesi.
Di Vittorio è un esempio non solo per il sindacato ma anche per la
sinistra italiana e per chi vuole rilanciarla anteponendo il noi all’io, la
comunità all’individualità.
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