di SALVATORE
PARLAGRECO
Corleone non
è solo una piccola città della Sicilia, ma è sinonimo della mafia.
Un marchio indelebile, che i cittadini di Corleone non meritano, e che la
Sicilia e l’Italia subiscono perché la storia di mafia è quella che è. Ed il
cinema ne ha fatto una icona.
Fuori dai
confini nazionali, accanto a Venezia, Milano, Firenze, Roma, Bologna sanno tutto di Corleone.
Il Padrino portava con fierezza questo nome, e i corleonesi sono
l’organizzazione criminale che ha dettato legge in Sicilia per mezzo secolo.
Corleone,
del resto, ha perfino utilizzato la ventura di essere diventata il simbolo di
Cosa nostra,
incoraggiando il turismo matrimoniale. C’è infatti chi è venuto a convolare a
nozze o trascorrere la luna di miele nella terra del Padrino per potere
raccontarlo agli amici prima ed ai figli poi.
Lo
scioglimento del comune di Corleone per mafia, perciò, è come un bollo di
autenticità. Corleone non
è soltanto una icona, ma ancora oggi la patria della mafia. Il fatto che le
cose non stiano affatto così, e che il grave provvedimento assunto dal
Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro degli Interni, il siciliano
Angelino Alfano, pur avendo un fondamento, non ospiti le mafie di oggi – quelle
che corrompono mezzo mondo, fanno il bello e il cattivo tempo nei mercati
finanziari, e sono installate saldamente nella City, o a Panama, tanto per
citare – appare irrilevante. Quel che conta è la storia di ieri, raccontata da
cinema, libri e tv, e la cronaca di oggi.
Ecco perché
lo scioglimento del comune di Corleone non va semplicemente incasellato come l’ennesimo caso di
malgoverno locale influenzato da capibastioni di paese, ma è un evento
tragicamente grave, che farà pagare costi pesanti alla Sicilia, alla sua
immagine nel mondo.
Forse si
sarebbe dovuto intervenire per tempo. Forse sarebbe stato necessario usare un
trattamento speciale per Corleone, monitorando gli eventi, i sospetti,
l’evoluzione delle cose, alfine di evitare che il “pregiudizio”, Corleone
uguale mafia, fosse accreditato autorevolmente, e che la mafia siciliana fosse
ancora viva e vegeta, al lavoro e alla lotta, in quella cittadina e nella
stessa Sicilia come una volta. La magistratura e le polizie hanno inferto colpi
mortali alle cosche siciliane, tagliando molte teste. Un grande lavoro, costato
molta fatica e molti lutti.
Investigatori,
esperti, autorevoli magistrati hanno preso atto, analizzando il fenomeno, che Cosa nostra siciliana è stata
“declassata” dalla ‘Ndrangheta, e che le famiglie calabresi hanno invaso il
pianeta. Ciò non significa che in Sicilia siano scomparsi i boss, gli
intrallazzi mediati dai capibastoni, ma che “quella” mitica mafia siciliana non
esiste e che Corleone non è la capitale di Cosa nostra.
Tutti danno
per scontate queste verità elementari, così come danno (giustamente) per
scontato che il
provvedimento abbia le sue buone motivazioni, ma pochi prendono coscienza del
danno provocato dal fatto che il marchio d’infamia sia stato riconosciuto dallo
Stato e può perciò essere sbandierato come un virus che da Corleone può
contagiare il mondo.
Lo
scioglimento del comune di Corleone entrerà nei libri di storia senza averne
diritto, mentre
Londra, sede della City, una delle capitali del riciclaggio e degli affari
delle mafie, resterà solo la patria della Regina Elisabetta e la capitale
dell’ex impero britannico.
siciliainformazioni,
12 agosto 2016
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