LILLO MICELI
Corleone, dai “fratuzzi” allo scioglimento
Il destino infame del paese di Riina e Provenzano, che non riesce a liberarsi dallo status di «sinonimo di mafia»
Dalle lotte del sindacato alla primavera col sindaco di sinistra, fino agli scivoloni e alle parentele scomode di oggi
Palermo. Forse i corleonesi non si libereranno mai del sinonimo di “mafiosi”. Un destino infame per un paese dove la vera storia non l’hanno scritta i boss, ma sindacalisti come Placido Rizzotto e il primo sindaco socialista, Bernardino Verro. Corleone, paese dal doppio volto: patria di feroci assassini votati all’arricchimento, ma anche centro spirituale dove da anni operano i padri dell’Ordine dei francescani rinnovati, che predicano la povertà.
Nonostante fossero corleonesi i capi della cupola di Cosa nostra, stranamente, non era mai stato sciolto per infiltrazioni mafiose il comune di Corleone. Non perché prima la mafia si tenesse lontana dal centro di potere, ma probabilmente perché i mafiosi e i loro referenti politici erano molto accorti. Nel 1993, dopo la stagione delle stragi targata “i corleonesi”, il ministro dell’Interno lasciò intendere che avrebbe inviato gli ispettori prefettizi. Cinque consiglieri dell’opposizione (1 ex Pci e 4 Psdi) si dimisero, denunciando in una conferenza stampa all’Ars, che a Corleone comandava sempre Vito Ciancimino. Per scongiurare lo scioglimento, il sindaco, la giunta e i consiglieri comunali si dimisero precipitosamente, “salvando” il comune. In quella consiliatura la Dc aveva la maggioranza assoluta in aula , ma offrì la poltrona di sindaco al socialista Peppino Siragusa. Democristiano il vice, Mariano Maniscalco che non faceva mistero della sua amicizia con Ciancimino.
Una storia in chiaroscuro quella di Corleone, dove mafia ed antimafia si sono sempre combattute. Uno dei primi paladini della lotta alla mafia di fine ottocento e degli inizi del novecento fu il socialista Bernardino Verro: mobilitò grandi masse, che organizzò nel fascio contadino e nella cooperativa “Unione agricola”. Verro arrivò ad accusare i “fratuzzi” (così allora si chiamavano i mafiosi) di avere ridotto la città di Corleone a sede della Cassazione della mafia siciliana. E i “fratuzzi” ricambiarono, assassinandolo il 3 novembre 1915, mentre era sindaco.
Nel secondo dopoguerra lo scontro fu tra il movimento contadino guidato da Placido Rizzotto e la mafia di Michele Navarra, il medico-boss, difensore dell’antico ordine sociale dei grossi feudatari e della politica conservatrice. Anche Rizzotto fu assassinato dal più feroce killer della cosca di Navarra, il giovane Luciano Liggio, che da lì iniziò la sua carriera criminale. Alla sua scuola crebbero Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella. E in stretti affari con loro fu il giovane figlio del barbiere, Vito Ciancimino, che era sbarcato a Palermo, dove divenne assessore ai Lavori pubblici ed ispiratore (con Salvo Lima) del “sacco di Palermo” degli anni 60, checancellò la famosa “conca d’oro”.
Negli ultimi trent’anni la società civile corleonese ha provato in tutti i modi a scrollarsi di dosso il marchio di paese di mafia, a cui l’avevano condannato capi clan dello spessore di Navarra, Liggio, Riina e Provenzano e l’epopea della trilogia del “Padrino”.
I giovani, il sindacato e la sinistra negli anni ’80 e ’90 riscoprirono le radici antimafiose di Corleone, ricordarono e celebrarono eroi come Verro e Rizzotto. E, dopo oltre trent’anni di egemonia democristiana, riuscirono ad eleggere sindaco di Corleone Pippo Cipriani, giovane esponente della sinistra. Iniziò la “primavera” di Corleone che, d’allora, è stata visitata da ben tre presidenti della Repubblica (Scalfaro nel 1999, Ciampi nel 2000 e Napolitano nel 2012). Il culmine fu raggiunto nel 2012 con la celebrazione dei funerali di Stato per Placido Rizzotto.
Con l’elezione del sindaco Leoluchina Savona, che si è sempre definita antimafiosa, gli “scivoloni” sono arrivati uno dietro l’altro. Tramontana la stella dei Riina e dei Provenzano, i loro epigoni non si sono dimostrati all’altezza dei compiti criminali. Le indagini della magistratura hanno messo in evidenza le dinamiche all’interno del mandamento di Corleone, dove ci sarebbe una guerra sotterranea tra seguaci di Riina e seguaci di Provenzano. Tra i seguaci del primo pare che addirittura ci sia il fratello del sindaco, Giovanni Savona, che le forze dell’ordine descrivono come “intraneo” a Cosa Nostra. Legami che sicuramente avranno fatto pendere la bilancia verso la tesi dello scioglimento per mafia.
La Sicilia, 12 agosto 2016
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