La presidenza del convegno su Federico II e la Sicilia |
Un successo in piena regola: il convegno storiografico su Federico e la
Sicilia, realizzato a Buccheri nell’ambito del MedFest, ha avuto esiti
brillanti, prima di tutto sul piano della partecipazione, con l’aula consiliare
affollata da oltre un centinaio di ascoltatori partecipi provenienti da diverse
aree della Sicilia e oltre. E a coinvolgere i presenti, tantissimi fino alla
conclusione, è stato il taglio insieme discorsivo e scientifico delle quattro
relazioni, che hanno offerto non pochi spunti originali e innovativi.
Dopo i saluti dell’assessore Francesco Interlandi e del vicesindaco Vito
Dipietro, a entrare nel vivo della discussione è stato Carlo Ruta, saggista e
studioso di fonti odeporiche, con una ampia disamina sullo stato della
discussione storiografica su Federico II, da Kantorowicz a David Abulafia, e
sulle complessità che hanno caratterizzato l’esperienza dell’imperatore svevo,
che già nella sua epoca veniva da un lato demonizzato come “sultano
battezzato”, dall’altro denominato Stupor Mundi. Ruta ha posto in
rilievo alcuni significativi elementi di “laicità” della condotta di Federico,
tanto nei riguardi dei pontefici di Roma, con cui si scontrò con un’asprezza
inusuale nell’Europa cristiana dell’epoca, quanto nei riguardi di altri mondi
religiosi, come l’ebraismo e l’Islam, ravvisando in questi casi una condotta
ondosa, scarsamente ideologica, densa di suggestioni intellettuali, frutto di
un lungo tirocinio giovanile a Palermo di tipo interculturale, ma fortemente
segnata anche da atteggiamenti radicalmente aggressivi, a difesa soprattutto
del proprio imperium.Il pubblico presente |
Teresa Sardella, docente di Storia medievale all’università di Catania, ha
esordito con una approfondita analisi sulle radici storiche e giuridiche
dell’impero federiciano. E alla luce di questo excursus, ha spiegato le ragioni
del lungo contenzioso che oppose Federico ai pontefici di Roma, nella duplice
funzione di imperatore e di signore feudale del Regnum Siciliae,
che formalmente era dominio dei papi. La relatrice ha spiegato quanto necessitasse
agli imperatori del Sacro romano impero uno sbocco a mare, lungo la penisola
italiana, che permettesse, tra l’altro, una gestione più produttiva degli
attraversamenti crociati in direzione della Terra Santa, e quanto gli Stati
della Chiesa costituissero un ostacolo materiale non indifferente a tutto ciò.
Essa ha fatto il punto quindi delle politiche divergenti tra Federico, che
voleva incorporare ilRegnum Siciliae nell’impero e papi che si
opponevano, per mantenere il loro dominio sui loro “possedimenti” peninsulari e
insulari.
È stata poi la volta di Ferdinando Maurici, storico e archeologo
medievalista, che ha passato al vaglio soprattutto la drammatica situazione che
venne a crearsi, dopo il 1220, tra Federico e gli arabo-berberi di Sicilia, fino
all’esito dello scontro totale. Il relatore ha spiegato le movenze dei
musulmani, che, lungo le linee dello Jato, erano già passati sin dalla morte di
Guglielmo II alla ribellione aperta, con l’emanazione di proprie leggi e la
designazione di proprie autorità politiche, che proprio nella fase sveva
giunsero a coniare addirittura proprie monete, in contrapposizione con quelle
del regnum. Maurici ha dato conto della lunga guerra che
l’imperatore condusse contro l’emiro ribelle, Ibn Abbad, fino allo sradicamento
totale dell’etnia araba dalla Sicilia e la deportazione dei superstiti nel
Tavoliere di Puglia, inadatto a ogni tipo di rivolta e resistenza, e in
Calabria. Il relatore ha illustrato infine alcune linee della politica militare
e di fortificazione di Federico nell’isola.
La discussione è stata chiusa dal filologo Ferdinando Raffaele, componente
del laboratorio Artesia dell’Università di Catania, con una relazione sulle
politiche culturali di Federico II e, in particolare sulla Scuola poetica
siciliana che l’imperatore promosse dagli trenta fino al 1250, anno in cui egli
morì. Raffaele ha spiegato i caratteri linguistici e gli stilemi della lirica
dei siciliani, mettendo in risalto anche la univocità sostanziale dei
suoi contenuti, incardinati soprattutto sull’amor cortese, a fronte di una
maggiore varietà di temi proposta da quella provenzale. Da quest’ultima
produzione lirica – spiega il relatore – i poeti di Federico trassero peraltro
spunti non indifferenti, con una discreta quantità, anche, di prestiti
linguistici. Raffaele ha fatto infine il punto sul problema delle fonti, dei
canzonieri siciliani che giungono sino a noi, che rivelano un lavoro di
traduzione e, per così dire, di “toscanizzazione” che rende ancora oggi
difficile una definizione morfologica e filologica esaustiva della lingua dei
siciliani.
In definitiva, un convegno di altissimo profilo, cui, come hanno assicurato
le autorità comunali, si cercherà di dare un seguito e una maggiore organicità
con la creazione a Buccheri di un Istituto di alti Studi Medievali, attraverso
la costruzione di relazioni sinergiche con atenei e istituzioni di ricerca
italiani ed esteri.
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